Elogio dell'autodisciplinaEdizioni Mondadori, 27 set 2011 - 300 pagine Com'è possibile che negli Stati Uniti e nell'Occidente industrializzato metà della popolazione muoia perché mangia troppo, fuma troppo, beve troppo, è troppo sedentaria e cede a tante altre pulsioni, che pure riconosce come molto nocive? La risposta è semplice: controllarsi costa fatica, in particolare in un'epoca come quella attuale, quando possiamo avere, basta che lo vogliamo, più calorie, più sesso, più droghe, più distrazioni, più di tutto. Siamo a dieta, ma a ogni angolo c'è una macchinetta che distribuisce snack; accendiamo il computer per lavorare, e dallo schermo occhieggiano le nuove sirene che popolano il mare di Internet; e il gioco d'azzardo, solo ieri proibito quasi ovunque, è ormai una pratica diffusa, soprattutto online. Intanto, mentre le tentazioni si moltiplicano, mettendo a dura prova la nostra capacità di resistenza, l'allentarsi dei vincoli sociali - tradizione, famiglia, chiesa, ideologia - spinge gli individui a sentirsi «liberi» di assecondare i propri appetiti, con risultati spesso catastrofici. Sulla base del principio strategico secondo cui per sconfiggere il nemico occorre conoscerlo, Daniel Akst traccia una vivacissima mappa delle infinite vie del desiderio, analizzando con tono brillante e irriverente gli eccessi ai quali troppo spesso ci abbandoniamo, e le mille scuse che riusciamo a inventare per assolverci dalle trasgressioni (per alcuni sarà forse motivo di consolazione scoprire che persino Sigmund Freud, considerato il padre dell'autocontrollo, non riuscì mai a rinunciare ai suoi amati sigari). Facendo appello alla storia, alla filosofia, alla psicologia e all'economia, ma anche alla letteratura, al cinema e al teatro, Akst non si limita a descrivere le conseguenze - invariabilmente negative - dell'incapacità di darsi una disciplina, ma prova a fornirci gli strumenti necessari ad «allenare» e potenziare, proprio come fosse un muscolo, la nostra volontà. Quanto sia importante spezzare il tremendo circolo vizioso che, illudendoci di godere di un'assoluta libertà, ci rende sempre più schiavi delle nostre debolezze è dimostrato dal fatto che in gioco non ci sono soltanto la salute fisica e il benessere materiale, ma il concetto stesso di umanità: dopotutto, a rendere l'uomo un animale «speciale» è proprio la facoltà di tenere a freno gli istinti con la forza della ragione. |
Sommario
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Sezione 10 | |
Sezione 11 | |
Sezione 20 | |
Sezione 21 | |
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