Cosmogonica. Il fegato di Tiāmat e la soglia misterica del tempo. Dai miti cosmologici del Vicino Oriente Antico ad una nuova interpretazione del fegato etrusco di Piacenza.

Copertina anteriore
Antonio Gottarelli - Templa, 1 ott 2017 - 304 pagine
Il grande Poema della Creazione babilonese, il mito di Enmeduranki, il libro dei segreti di Enoc, i rotoli di Qumran. Per la prima volta un unico percorso di ricerca svela le connessioni esistenti tra un piccolo modello bronzeo di fegato rinvenuto a Ciavernasco di Piacenza, all’alba dell’unità d’Italia, e la trama occulta di una delle più custodite discipline misteriche dell’antichità. La soglia del tempo, quella che è stabilmente definita dall’alternanza di stato tra il giorno e la notte e che è indotta dal continuo moto di rotazione del quadro celeste, è l’essenza stessa del principio su cui si fonderà l’intera costruzione cosmologica della dimensione concettuale del sacro, cui corrisponderanno, in luoghi e tradizioni differenti, e declinate solo formalmente in tempi e modi diversi, tutte le teorie dottrinali del mondo antico sulla natura del tempo e sulla sua origine. È in questa costruzione concettuale che l’eredità degli ordinamenti religiosi delle culture mesopotamiche – quella che ritroviamo in occidente ancora espressa all’interno della religione etrusca all’epoca della stesura dei manoscritti di Qumran – si distingue da altre nell’assegnare un ruolo cosmogonico chiave alle funzioni del fegato, in quanto mundus del corpo e “soglia” metafisica posta all’origine della vita e dell’universo stesso. Nella misura in cui i ritmi e le regole del passaggio dei grandi astri e dell’intero quadro celeste sulla soglia tra luce e tenebra costituirono la chiave per avvicinarsi alla comprensione dei Grandi Segreti del Cosmo, era logico immaginare che il Grande Poema della Creazione babilonese indicasse proprio nel fegato di Tiāmat, centro germinatore dell’antica Madre su cui Marduk ricompose il nuovo ordine celeste, la sede vitale per la comprensione “empatica” di quelle leggi. In quanto specchio delle configurazioni “enimmatiche” che il sistema avrebbe assunto nel suo sviluppo temporale futuro, la divinazione basata sull’ispezione del fegato venne considerata in Mesopotamia, e poi ancora presso Greci ed Etruschi, la prima e più importante forma di interrogazione dei destini futuri. Ed è a questa più estesa costruzione cosmologica, e non ai soli e mutevoli esiti delle sentenze da essa derivate, che va più correttamente ricondotta l’interpretazione di uno dei più enigmatici reperti archeologici dell'antichità: il Fegato etrusco di Piacenza.
 

Parole e frasi comuni

Informazioni sull'autore (2017)

Architetto archeologo, è nato a Bologna nel 1957. Ricercatore presso il Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, è stato titolare di numerosi insegnamenti universitari nell’ambito disciplinare di “Metodologie della ricerca archeologica”, tra cui il primo insegnamento italiano di “Archeologia del Rito”. 

Fondatore del Centro di Ricerca Te.m.p.l.a (Tecnologie Multimediali per l’Archeologia), è direttore del Museo Civico Archeologico di Monterenzio e dell’Area d’Interesse Archeologico Naturalistico di Monte Bibele.

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