Luce nera. Strindberg, Paulhan, Artaud e l'esperienza della materia

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Medusa Edizioni, 2006 - 236 pagine
"C'è una luce che viene da Dio e una luce che è Dio stesso. Questa seconda luce è nera". Henry Corbin invitava a considerare in questi termini l'espressione persiana "nur-e-syah" (luce nera). D'altronde, già dai primi anni del '900, partendo dall'idea che fosse possibile individuare un "rovescio della luce" e che il nero rappresentasse tutt'altro che l'assenza di colore, una schiera di artisti, scrittori, uomini di teatro e scienziati si misero al lavoro per sondare quello che sembrava uno dei più enigmatici misteri della materia e delle sue metamorfosi. Strindberg, a Parigi, iniziò a studiare i processi chimici di trasformazione dei minerali, e a verificarli nel campo della fotografia. Le sue "cristallografie" influenzarono artisti e scrittori che diedero vita a una comunità eccentrica che univa figure molto diverse tra loro come Daumal, Michaux, Paulhan, Le Bon, Braque, Queneau fino a Breton, Aragon e Dalì.

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