Metà carne, metà ricordoHektor è un artista di candele. La sua bottega in via dei Martiri pare un luogo di culto, a volte tetro, a volte luminoso. I suoi clienti non sono acquirenti qualsiasi, sono anime. Nel covo del candelaio si illuminano vite e zone scure, si raccontano solitudini e speranze. A far luce sulle verità c'è Hektor, abbandonato da piccolo alla cura dei nonni. E c'è il suo gemello mai nato: la malattia. Hektor è un borderline. O bianco, o nero. Come l'arte delle sue candele. Tra Carne (i clienti, il presente) e Ricordo (il passato, la malattia) giunge zia Sara, una psicologa con un passato da farsi perdonare. Attraverso i clienti della bottega, conoscerà Hektor e la sua malattia, tentando di ricucire una ferita lunga una vita. |
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Un romanzo così puoi solo scalfirlo poco per volta, fino a quando non acchiappi quella “linea di confine” e inizi a farne parte con tutto te stesso. Ho letto con curiosità la storia di questo assurdo personaggio, per poi scoprire alla fine che si trattava di un malato, di un borderline, precisamente. Mi sono informata allora che tipo di malattia fosse e, dalle tante testimonianze lette, ho capito che si trattava di una patologia emozionale, che riguardava i sentimenti. Di qui quella fantastica poesia di Ritsos che si legge all’inizio.
Il tuo corpo tagliato
da una lama di luce –
per metà carne,
per metà ricordo.
Illuminazione obliqua,
il grande letto
intero,
il tepore lontano,
e la coperta rossa.
Chiudo la porta,
chiudo le finestre.
Vento con vento.
Unione inespugnabile.
Con la bocca piena
di un boccone di notte.
Ahi, l’amore.
Si tratta di amore e di paura, si tratta di ricordo, di impressioni, di abbandono. Così scopro che uno ad uno, tutti i personaggi del racconto, vivono di amore e di abbandono: i nonni, amorevoli verso il piccolo Hektor e abbandonati dalle figlie (Concetta e Sara); Sara, abbandonata da Filippo e il Agostino; il Fioraio, abbandonato da Amelie; Pierrot, che non vuole lasciar andare via i suoi orfanelli; il Mezzo Piede, lontano dal suo malleolo; il PiegaPiaghe che non vuol allontanarsi dal suo Hektor; ed Hektor, emblema di queste anime amate e abbandonate, vittime di un passato ma fieri di un presente che in fondo, non può far paura, perché all’interno della bottega del candelaio, trovano le risposte per ciascun angolo buio non ancora chiaro. E’ un romanzo duro, uno stile non comune forse per il fatto stesso che invita ad abbassarsi per entrare nella bottega di Hektor in punta di piedi, scalfendo poco per volta, gli angoli ostili di un personaggio senza dubbio vittima della sua stessa malattia.
Una storia unica nel suo genere che si chiude con un colpo di scena: la verità. Infatti a scrivere la storia è “Hektor” stesso, questo borderline che si nasconde attraverso personaggi, per simulare e decifrare la malattia che vive. In qualche modo credo che la affronti e le dia un nome… a differenza dei nomi assurdi che incolla ai suoi personaggi. E allora credo ci sia più di un motivo, più di senso da leggere dietro le vicende di “Hektor” perché, tra le tante ‘curiosità’ ho scoperto che proprio la paura dell’abbandono crea nei borderline il motivo scatenante dei loro raptus emozionali. Mi chiedo quindi, quanto di borderline ci sia in ciascuno di noi, quanta gelosia, quanta avarizia, quanta prepotenza nei rapporti, al solo fine di non perdere la persona amata.
(P.)