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Statue in

visse; le quali ciocchè fossero, si dichiara ivi dal medesimo: Id esse cellas quasdam, et cisternas, quæ in area sub terra essent, ubi reponi solerent signa vetera , quce ex eo Templo collapsa essent, et alia quædam religiose donariis consecratis. Tanto riverenti i Romani erano verso le cose sagre, che quanto in quel Tempio per la vecchiaja, o per frattura, o per altro diveniva inutile, in vece di guastarlo 0 abbruciarlo, o farne altro, solevano, come se Cadaveri fossero stati, seppellirlo in quei pozzi; i quali sotto la piazza, o vestibolo avevano perciò fatti.

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Il gran numero di statue ch' erano in quella grandedi piazza, fu tale, e talmente l' impicciavano, che AuguCampido sto per disgombrarla le trasportò nel Campo Marzo, glio. gettate a terra poi da Caligola. Svetonio nel 34 di quel Cesare Statuas virorum illustrium ab Augusto ex Capitolina area propter angustias in Martium Campum collatas ita subvertit, atque disjecit, etc.

Un così ricco, e bello edifizio nel tempo di San Girolamo, che fu sotto Onorio Augusto, era già in terra, così scrivendone il medesimo Santo nel secondo libro contro Gioviniano in fine. Ma che per opera dei Cristiani fosse atterrato io non credo, poichè vietando Onorio nella legge 15. C. Theodosian. de Pagan. il sagrificare più agl' Idoli, vieta insieme il distruggerne i Tempj; le cui parole sono: Sicut sacrificia prohibemus, ita volumus publicorum operum ornamenta servari etc. Più facilmente fu fattura de' Goti nel sacco dato a Roma, dai quali essere stati abbruciati molti edifizj confessa Orosio nel libro settimo (1).

(1) Pare che S. Girolamo nel passo citato dal nostro Au tore voglia alludere alla caduta e squallore del culto di Giove Capitolino, piuttosto che del suo tempio. Imperciocchè ci narra Procopio, (De bel. Vandal. lib. 1. c. 5.) che Genserico lo spogliò della metà delle lamine di bronzo dorato; che lo coprivano. Dunque à quella epoca, cioè molti anni dopo che S. Girolamo avea scritto l' opera citata il tempio di Giove Capitolino era ancora intiero . Anzi dall' Itinerario publicato dal Mabillon (Vet. anal. T. IV. p. 506.) può dedursi, che questo Tempio fosse in gran parte in piedi, anche verso la metà del IX. Secolo; dopo la quale epoca non se ne trova più menzione. Oggi però altri residui non resta

Presso al Tempio di Giove fu quello della Fe- Edes Fide. Così Cicerone scrive nel terzo degli Offizj c. 29. dei in CaQui igitur jusjurandum violat, is fidem violat, quam pitolio. in Capitolio vicinam Jovis Opt. Max. ( ut in Catonis oratione est ), majores nostri esse voluerunt; se però vicina non la dissero Cicerone, e Catone, per essere l'uno e l'altro Tempio sul Campidoglio. Plinio nel decimo del 35. Spectata est et in æde Fidei in Capitolio imago senis cum lyra puerum docentis. Credonlo alcuni fabbricato da Numa coll' autorità di Dionigi nel secondo; ma non dice Dionigi, dove Numa il fabricasse; e forse quel di Numa fu sul Palatino. Questo da Emilio Scauro, e prima da Attilio Calatino essere stato consegrato, Cicerone scrive nel secondo De Natura Deorum c. 23. . . . ut Fides, ut Mens, quas in Capitolio dedicatas videmus proxime a M. Æmilio Scauro, ante autem ab Attilio Calatino erat Fides consecrata; se però quel testo, secondo l'opinione del Vives, non è scorretto, come in breve spero di spiegar meglio, e se da Attilio non fu rifatto quel di Numa sul Palatino. Il medesimo Dionigi nel nono ra, che Tarquinio Superbo fabbricò sul Campidoglio il Tempio alla Fede di Giove Sponsore dedicato poi des Dii da Postumio Console; o piuttosto le parole To New TOU TIOTIOU Sos da Lapo tradotte ædem Jovis Fidei sponsoris vanno intese, come dal Giraldi più verisimilmente si espongono, ædem Dii Fidii sponsoris; secondo il qual senso al Dio Fidio, che come nella Regione stessa dissi, era Dio della Fede, fu quel Tempio fabbricato da Tarquinio. Dionigi scrive, che era presso al bosco di Bellona. Dunque Bellona ebbe an- Lucus Belch'ella colassù bosco sagro.

nar

Fidii spon

lone.

Domiziano che nei Vitelliani rumori si salvò in Campidoglio nella casa dell' Edituo di Giove Capitolino, gettò poi quella casa a terra, e vi fè un Tempietto di Giove Conservatore. Tacito nel terzo delle Istorie c. 74. n'è testimonio: ac potiente rerum patre, dis jecto Editui contubernio, modicum Sacellum Jovi JovisConConservatori, Aramque posuit, casusque suos in mar- servatoris

no di questo famoso tempio, che poche sostruzioni sotto la
gradinata di Araceli composte di massi quadrați
di pe,
perino.

Sacellum

Curia Ca

labra.

more expressit: il quale essere stato perciò non lungi dal Tempietto, o per la meno sulla medesima sommità del Campidoglio può verisimilmente affermarsi .

La Rocca, ed altre cose di sito

incerto.

CAPO DECIMOSESTO.

Nell'altra sommità detta propriamente Rocca fu

tralle più antiche cose la Curia Calabra, di cui Macrobio nel primo de' Saturnali al 15. . . . idem Pontifex calata idest vocata in Capitolium plebe juxta Curiam Calabram, quæ case Romuli proxima est ; e nel quinto libro Varrone c. 4. In Capitolio in Curia Kalabra. Essere stata sulla Rocca presso la casa di Manlio, e presso dove i Galli arrampicatisi per lo sasso Tarpejo furono scoperti dalle Oche, accenną Virgilio nell'ottavo v. 652. e seg.

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In summo custos Tarpeja Manlius arcis
Stabat pro Templo, et Capitolia celsa tenebat,
Romuleoque recens horrebat Regia culmo
Atque hic auratis volitans argenteus anser
Porticibus Gallos in limine adesse canebat :
Galli per dumos aderant, etc.

Ove Servio: (Horrebat Regia culmo) Curiam Ca-
labram dicit, quam Romulus texerat culmis, ad
quam calabatur, idest vocabatur Senatus, vocabatur
et populus a Rege Sacrificulo, ut quoniam adhuc Fa-
sti non erant, ludorum, et sacrificiorum præno-
scerent dies; ma più distintamente Macrobio nel luo-
go allegato narra il convocar del popolo sul Campi-
doglio, e il pronunciare le none: Priscis ergo tempo-
ribus, antequam Fasti a C. Flavio Scriba invitis Pa-
tribus in omnium notitiam proderentur, Pontifici mi-
nori hæc provincia delegabatur, ut novæ Lunæ pri-
mum observaret aspectum, visamque Regi Sacrifi-
culo nuntiaret. Itaque sacrificio a Rege, et minore
Pontifice celebrato, idem Pontifex calata, idest vo-
cata in Capitolium plebe juxta Curiam Calabram,
quæ casa Romuli proxima est, quot numero dies a
Calendis ad nonas superessent, pronuntiabat; dalla
quale osservazione di Luna raccoglie, e con ragione,
il Donati essere stata quella Curia sul più alto luogo

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del Campidoglio, e sul più commodo ad osservarla; ed
io vi aggiungerei, sul più commodo per publicarla al
popolo convocato colassù, se, come pare, che accen-
nino le parole di Macrobio juxta Curiam Calabram
e come sembra verisimile, il popolo fuor della Curia
convocava ; ma altre parole del medesimo Macrobio
nel luogo citato mostrano, che nella Curia il popolo si
raccogliesse: Hinc, et ipsi Curiæ, ad quam voca-
bantur, Calabræ nomen datum est et classi, quod
omnis in eam populus vocaretur. É creduta da mol-
tí l'antica fabbrica; in cui si dispensa il sale sotto le
stanze del Senatore; ma quella essere stata il Tabula-
rio già si è visto; nè quel sito ha eminenza tale, che
per osservar la nuova Luna non fosse sul Campidoglio
luogo più alto, e per pubblicarla al popolo, che nell'in-
termonzio convocar si doveva, più commodo. Nella
Rocca si accenna da Virgilio; e nell'estremo del Clivo
Capitolino par si dica da Livio nel primo della quin-
ta c. 26. Censores. . et Clivum Capitolinum sili-
ce sternendum curaverunt : et porticum ab æde Sa-
turni in Capitolium ad Senatulum, ac super id Cu-
straverunt: non sapendosi, che altra Cu-
ria fosse mai sul Campidoglio: e forse portico della Cu-
ria Calabra fu quello, di cui fa menzione Tacito nel
terzo delle Istorie capo 71. Erant antiquitus porticus
in latere Clivi dextræ subeuntibus, in quorum te-
ctum egressi (gli assediati sulla Rocca) saxis tegulis-
que Vitellianos obruebant, onde la Curia Calabra fa-
cilmente fu sulla bocca del Clivo, e nell'orlo della
sommità del monte dal Palazzo de' Conservatori non
lungi, sicchè verso l' oriente, ed il mezzo giorno aves-
se spazio libero da riguardar la luna nuova.

riam

:

lo.

La Casa, o Capanna di Romolo da Macrobio Capanna nel recitato luogo le si dice appresso; di cui anche di RomoVitruvio nel primo del secondo: Item in Capitolio commonefacere potest, et significare mores vetustatis Romuli casa in Arce sacrorum stramentis tecta; e Seneca nella Consolazione ad Elvia c. 9.: Na tu pusilli animi es, et sordide se consolantis, si ideo id fortiter pateris, quia Romuli casam nosti. Dic illud potius: Istud humile tugurium nempe virtutes recipit; e Seneca Retore nella sesta controversia del primo libro: Inter hæc tam effusa mœnia nihil est humili casa nobilius; e nella prima

Ades Ja

netæ.

del secondo: Colit etiamnum in Capitolio casam vietor omnium gentium populus, cujus tantam felicitatem nemo miratur. Ma non leggendosi aver mai Romolo abitato il Campidoglio, nè prima di Tazio, quando Roma oltre la quadrata non si stendeva, nè con Tazio, quando per il testimonio di Plutarco abitava Romolo nel Palatino, nè dopo Tazio, quando a Roma cresciuta non meno di grandezza che di potenza disdiceva troppo per Regia una capanna, non si può senza difficoltà restarne appagato; per ragionarne ancora d' ogni tempo, se Romolo abitò capanna fatta di paglia, abitarono forse gli altri meglio del Re? se non meglio, il fondar Città con tali edifizj fu impresa da ogni vil pastore, siccome l'incendiarla potè essere opra d' un solfanello. S'ella vi era dunque, fu facilmente piuttosto abitazione di altri, che del Re; e forse d'alcuno di quei primi, che ricoverati nell' Asilo, abitò poi sulla Rocca, la cui antichità fe' crederla, e chiamarla di Romolo, come oggi molte antichità si appellano falsamente, e come dell' asta rinverdita di Romolo pur si finse o se fu di Romolo, gli servì solo di ricovero quando andava sul Campidoglio per alcun fine, o fu la medesima Curia Calabra, che coperta di stoppie, era forse detta Casa Romuli da più d' uno; giacchè con nome di Regia vien chiamata da Virgilio, e spiegata da Servio. Così ancor Ovidio canta nel terzo de' Fasti v. 183. e seg.

Que fuerit nostri, si quaeris, Regia nati,

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Aspice de canna, straminibusque domum. Il quale intendere di quella, ch'era sul Palatino, io non dubito ; ma fosse 0 non fosse veramente, basti a noi, che ne' tempi delle antichità Romane durava, e tale dicevasi. Solevano i Sacerdoti ristorarla con nuove stoppie, ed essersi abbrugiata nel tempo d'Augusto per un certo sagrificio, che da' Pontefici vi fu fatto, scrive nel 48. libro Dione.

Il Tempio di Giunone Moneta, nel cui sito fu nonis Mo- prima la casa di Manlio, era sulla Rocca presso la Rupe Tarpeja, ove essere stata quella casa si è detto: Livio nel settimo c. 20. : Dictator (L. Furius ) . . . . inter ipsam dimicationem ædem Junoni Monete povit, cujus damnatus poti.. dictatura se abdicavit. Senatus Duumviros ad eam

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