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l'archivista canonico e dai suoi colleghi il preziosissimo codice. Da Lipsia il codice una prima volta ritornò ad Udine, certo perché la trama ordita riuscisse meglio. Ma nel 1867 l' Haenel senz'altro, profittando della caduta della dominazione austriaca, gelosa custode delle ricchezze artistiche e bibliografiche dei suoi dominî, propose al canonico Banchieri di vendergli il manoscritto. Non seppe respingere l'offerta l'archivista, dichiarando anzi che a suo parere il codice sarebbe stato meglio conservato in una pubblica biblioteca estera che non nell'archivio della chiesa di Udine. Fissato il prezzo a 200 talleri, ossia a 750 lire (oggi il prezzo venale sarebbe di gran lunga maggiore) la corrispondenza si trascinò per le difficoltà di fare emigrare nascostamente il codice all'estero. È del 24 ottobre 1869 la lettera seguente indirizzata dall' Haenel al canonico udinese, che il Patetta potè, insieme con altre, scovrire e comprare da un antiquario. Essa è la prova sicura che i due complici erano pienamente consapevoli non solo di aver fatto un contratto giuridicamente nullo, ma anche di aver commesso un'azione riprovevole e che poteva avere, almeno per i venditori, conseguenze assai gravi.

Ecco la traduzione della lettera rivelatrice dell' infame complotto:

Passo dunque all' altro argomento della tua lettera, che mi tiene in ansia. Poiché ti confesso in verità di non sapere proprio in che modo si possa agevolmente condurre a termine la faccenda che fra noi si tratta; essendo impedito dalla vecchiaia e dall'inverno di venir di persona a conferirne teco, e non avendo persona a cui commetterla. Cosi stando le cose, stimo non potersi altrimenti conchiudere l'affare, se non si mandi un uomo sicuro e per quel che si attiene ai doganieri molto accorto la forza dell'oro espugna anche le fortezze meglio guernite a mie spese, purché queste non eccedano la somma di quindici talleri prussiani, a Gorizia o Trieste; affinché consegni all'ufficio postale la cosa, che noi sappiamo, involta in un involucro di tela o di carta cerata, col mio indirizzo e con l'indicazione del prezzo, e al tempo stesso procuri di farsi dare indietro dall'amministrazione postale una carta, ove si dichiari che la cosa le fu consegnata. Mi farai cosa grata se mi scriverai, se questa combinazione, che a mio parere è semplicissima, ti vada a genio, perché ove a te non piacesse, io mi metto in cerca di un qualche mercante di Lipsia avente rapporti di commercio con i setaioli udinesi, del quale ci si possa fidare >>.

Il codice emigrò cosi all'estero e per un po' di tempo l' Haenel ebbe il pudore di citarlo ancora come Codex Archivi Ecclesiae Metropolitanae Utinensis e di profondersi in ringraziamenti al Banchieri per avergliene concesso il prestito.

Morendo, egli però lo legò, insieme con gli altri suoi codici, alcuni dei quali pure compendio di furti, alla Biblioteca universitaria di Lipsia, coll'obbligo di non poterli concedere a prestito; e nel 1888 prende il nome di Codex bibliothecae Universitatis Lipsiensis.

Ora che il furto è documentato nelle sue fasi successive dai documenti scoperti dal Patetta, che cosa si deve fare? L' Accademia delle Scienze di Torino nell'adunanza del 23 aprile, su ampia relazione del suo presidente, on. Paolo Boselli, fece voti affinchè il Governo italiano procedesse alle pratiche di ricupero del manoscritto derubato. E sarebbe certo desiderabilissimo che il Governo sassone e la Biblioteca Universitaria di Lipsia spontaneamente imitassero l'atto nobile del Morgan rispetto al famoso piviale d'Ascoli. Ma propose altresi l'Accademia torinese che il Governo, ammaestrato da questi e simiglianti casi occorsi in passato, provvedesse energicamente per il futuro; e prendesse provvedimenti, anche con nuove norme legislative, atti a tutelare il nostro patrimonio bibliografico cosi come si tutela il patrimonio artistico. Bene farà il ministro Finocchiaro ad ordinare agli economi dei beneficî vacanti una severa vigilanza sui tesori delle chiese e degli archivî ecclesiastici. Ma facoltà consimili di vigilanza dovrebbero essere attribuite altresi ai bibliotecarî e a corpi scientifici incaricandoli di redigere inventarî e di vegliare alla conservazione del nostro prezioso patrimonio bibliografico.

Dopo tale pubblicazione Guido Biagi, l'illustre direttore della Biblioteca Laurenziana di Firenze, diresse al Corriere della Sera la seguente lettera :

<< Nell' assennato articoletto, pubblicato nel Corriere di ieri 23 maggio, circa la tutela del

patrimonio bibliografico, a proposito del furto perpetrato dall' Haenel del codice della Lex Romana Raetica Curiensis, e del quale l'illustre prof. Patetta ha rinvenuto le prove, s' invocano nuove norme legislative e provvedimenti « atti a tutelare il nostro patrimonio bibliografico, cosí come si tutela il patrimonio artistico ».

Ora nuove norme legislative non occorrono, perché la legge 20 giugno 1909 sulle antichità e belle arti controfirmata dai ministri Rava (istruzione), Carcano (tesoro) e Orlando (grazia e giustizia) ha già provveduto all'uopo, annoverando tra le cose mobili ch'essa tutela o dovrebbe tutelare anche « i codici, gli antichi manoscritti, gli incunabuli, le stampe e incisioni rare e di pregio ». Le leggi son, ma chi pon mano ad elle? può ripetersi con il divino Poeta, perché dal giugno 1909 si attende ancora che il Consiglio di Stato approvi il regolamento in esecuzione di cotesta legge, nel quale regolamento la Giunta consultiva per le biblioteche inserí tutte quelle disposizioni che più le parvero adatte a conseguire l'intento della conservazione di questa parte del patrimonio nazionale, che è stata sin qui trascurata dallo stesso Governo. E invero dopo la soppressione delle corporazioni religiose, chi si è mai occupato di quei 722,191 volumi che lo Stato concesse in deposito a biblioteche comunali, e sui quali più volte in platonici Congressi ho richiamato l'attenzione del Ministero ?

Siam sempre li quando si tratta di libri e di biblioteche, i reggitori della pubblica cosa rispondono alle nostre petulanti domande: majora premunt. E intanto gli stranieri e i mercanti continuano allegramente ad alleggerire il patrimonio nazionale dei più preziosi cimelj. Gli uffici d'esportazione presso le biblioteche governative, veggono di tanto in tanto comparire qualche incunabulo dei meno pregevoli per il quale si chiede il nulla-osta pagando la relativa tassa. Ma le automobili seguitano tranquille e indisturbate a passare il confine, e agli eleganti yachts dei miliardari americani, nei quali i finanzieri non possono mettere il naso, affluiscono le barche e le gondole onuste di libri e di manoscritti, sotto gli occhi delle autorità che non debbono accorgersene.

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Che fare? Se non si vuole imitare la fiscalità americana col prescrivere una visita anche all'uscita del confine (visita che sarebbe più proficua dell' altra) si applichi almeno la legge del 1909 e si dia modo al competente Ministero di eseguirla senza ulteriori indugi. La legge permette al Governo di impedire l'esodo dei cimelî bibliografici, purché si facciano le denunce e le verifiche prescritte.

Ma riuscirà il Ministero a sollecitare l'approvazione del regolamento della legge 20 giugno 1909 ancor dormiente al Consiglio di Stato, e si troverà un ministro del Tesoro che conceda a quello dell'Istruzione le poche migliaia di lire occorrenti per i provvedimenti da prendere ? Si tratta di libri? Majora premunt! »

A questa lettera rispose l' on. L. Rava col seguente breve scritto pubblicato pure dal Corriere della Sera:

<< Leggo ora (ero in viaggio) la lettera dell'amico prof. G. Biagi al Corriere « sulla tutela del nostro patrimonio bibliografico ».

Se il dotto professore avesse avuto sotto gli occhi la tornata della Camera, col mio breve discorso, avrebbe visto che non dimenticai di raccomandare al ministro guardasigilli l'applicazione della legge 20 giugno 1909 sulle Antichità e Belle Arti, da me proposta e difesa.

Appunto per la tutela dello speciale patrimonio che si conserva nelle chiese, io desiderai che la legge portasse pure la firma del ministro guardasigilli. La legge ha norme rigide e giuste per la buona custodia anche degli importanti documenti della nostra storia, dovunque e comunque siano conservati.

Ma occorre fare gli inventarí (chi non ricorda l'opera del povero Mazzatinti?), e soprattutto occorre che il Ministro del Tesoro non neghi i fondi, come non li negò per il catalogo dei nostri monumenti. Siamo d'accordo. Io mi rivolgo alla sua cortesia per un piccolo fatto personale. Dice malinconicamente il Biagi : « quando si tratta di biblioteche e di libri, i ministri rispondono majora premunt ».

È proprio cosi?

Per parte mia posso dire che biblioteche e libri mi parvero sempre cose degne della massima cura: ed ebbi la buona fortuna di poter proporre e di veder approvate due leggi speciali per le biblioteche; e di render possibile l'insegnamento della biblioteconomia (ormai necessario) e di pubblicare i nuovi regolamenti, anche per le biblioteche non aperte al pubblico) e di istituire un organo di studio « la Giunta superiore delle biblioteche » di cui è parte assai operosa il Biagi stesso. L'ultimo Congresso internazionale di bibliografia lodò e approvò le riforme italiane ».

Con questa lettera l'ex ministro dell'Istruzione Pubblica si difende contro l'accusa che i ministri sogliono rispondere majora premunt quando si tratta di biblioteche e di libri ricordando le utili riforme da lui introdotte in favore delle biblioteche, mentre da queste colonne vogliamo anche noi rispondere all'esimio prof. Biagi per difenderci contro le generiche accuse da lui lanciate contro i librai. Come può egli dire che i mercanti (!) continuano allegramente ad alleggerire il patrimonio nazionale dei più preziosi cimelî senz'addurre delle prove? La Biblioteca Laurenziana da lui si egregiamente diretta, fa le funzioni d'Ufficio d'esportazione per i libri ed i codici, ed egli dovrebbe conoscere perciò perfettamente tutte le operazioni che vi si compiono; invece di parlar soltanto dell'emigrazione di cimelî egli avrebbe dovuto anche accennare alle molteplici importazioni di tesori bibliografici che al suo ufficio vengono presentati! È ormai notorio che in Italia purtroppo da molto tempo non s'incontrano più sul mercato librario delle grandi rarità bibliografiche e che per averle i librai debbono concorrere alle aste di Londra, Parigi, Bruxelles, Vienna ecc. L'egr. prof. Biagi ha ben veduto i molti tesori bibliografici da noi importati in Italia e dovrà convenir con noi che abbiamo un grande merito di ricondurre al nostro paese cimeli una volta già emigrati e di offrire in tal modo alle biblioteche d'Italia l'occasione di poterli acquistare per assicurarli al nostro patrimonio bibliografico. Purtroppo codesti casi sono però assai rari. Noi abbiamo l'abitudine di richiamare l'attenzione particolare dei singoli bibliotecarî sui libri e codici di speciale loro interesse e di concedere delle condizioni oltremodo vantaggiose per incoraggiarli all'acquisto, ma non sempre riusciamo nel nostro intento. È però anche vero che qualcuno riconosce con gratitudine le preferenze da noi a tal uopo usate ed accoglie con entusiasmo le nostre proposte; ed a corroborare ciò citiamo due esempî di data recentissima: alla R. Biblioteca Estense di Modena segnalammo il primo libro stampato a Modena che vi mancava ancora ; la direzione si affrettò a chiedere ed ottenne subito dal Ministero dell'Istruzione Pubblica l'autorizzazione di acquistarlo, di modo che potè assicurare alla sua Biblioteca il prezioso incunabulo. Alla Nazionale di Napoli segnalammo recentemente un preziosissimo incunabulo napoletano col medesimo successo. Vi sono dunque per fortuna anche in Italia delle biblioteche e possiamo aggiungere con viva soddisfazione dei veri bibliofili, che senza strepito acquistano dei cimeli pagandone dei prezzi elevati; e l'egr. prof. Biagi potrebbe forse spiegarsi con questa ragione il fatto da lui lamentato ch' egli vede solamente di tanto in tanto comparire qualche incunabulo dei meno pregevoli per il nulla-osta. Mentre la Laurenziana non ha da curarsi che degli stampati e dei manoscritti, abbiamo a Firenze ancora l'Ufficio d' Esportazione per i codici miniati e non sappiamo se il prof. Biagi, lanciando delle accuse contro i librai-antiquarî (da lui chiamati mercanti) abbia tirato la freccia contro questi e pubblicato il suo monito anche nel nome del direttore di quest' Ufficio; noi abbiamo motivo di dubitarne.

Da parte nostra abbiamo sempre scrupolosamente osservato le prescrizioni della legge ma purtroppo finora abbiamo potuto soltanto constatare che queste erano spesso ignote a chi avrebbe dovuto conoscerle per il primo. Abbiamo lottato, con articoli, memoriali, conferenze ecc. contro delle fiscalità assurde che ci obbligavano di presentare qualunque stampato anteriore al 1800 per il nulla-osta (ed il sig. prof. Biagi si ricorderà bene di aver anche apposto la sua preziosa firma al nulla-osta [su carta bollata da 60 centesimi] per l'esportazione d'un volume del valore di 50 centesimi) finché siamo riusciti ad ottenere che tale operazione si limitasse soltanto ai libri

anteriori al 1500. Non abbiamo da osservare nulla contro la sorveglianza rigorosissima dei doganieri al confine, lasciando loro la facoltà di aprire e frugare i pacchi prima che escano dall'Italia, ma dobbiamo però insistere ch'essi conoscano anzi tutto la legge e sappiano poi anche distinguere un incunabulo da un sillabario o qualsivoglia altro libro recente.

L'egr. prof. Biagi si rammenterà di certo benissimo del processo lunghissimo e dispendioso che l' Erario dovette sostenere colla nostra Libreria per il sequestro d'un esemplare dei Commentari di Giulio Cesare stampati a Londra nel 1712, che la sapiente dogana di Genova considerava, contro il parere dell'ufficio d'esportazione da lui diretto, come un cimelio di somma importanza la cui emigrazione in America sarebbe stata un danno irreparabile per il patrimonio bibliografico nazionale; lo Stato dovea pagare parecchie migliaia di Lire per convertire i signori della dogana all'opinione dell' ill. prof. Biagi! E recentissimamente si ripeté questo caso alla dogana di Chiasso, che non lasciava passare un nostro invio accompagnato dal documento d'esportazione rilasciato proprio dall' Ufficio diretto dall'egr. amico prof. Biagi. Dovea trascorrere più d'un mese di corrispondenza col Ministero dell' Istruzione Pubblica prima che si ottenesse l'ordine di far proseguire la spedizione.

Plaudiamo sinceramente al consiglio patriottico dell'egr. prof. Biagi che si usi la maggior sorveglianza possibile sulle automobili, gondole, barche e sugli eleganti yachts (e perché non anche sui velivoli?) e quando si sarà scoperto qualche contrabbando condanneremo aspramente chi avesse tentato a commetterlo, ma finché si lanciano senza prove delle accuse o dei sospetti contro una classe benemerita della cultura nazionale noi ci opponiamo con proteste energiche, sicuri di farlo con la piena solidarietà di tutti i colleghi.

La Bibbia di Re Giacomo I - Un centenario inglese.

questo importante articolo di Gastone Chiesi :

Togliamo dal Resto del Carlino

<< Mentre l'Italia sta celebrando colle feste dell'arte e dell' industria a Roma, a Firenze ed a Torino il primo cinquantenario della proclamazione ideale della propria unità, l'Inghilterra è assorbita in altre feste ed in altre celebrazioni di carattere ben differente ma non meno interessanti.

In questi giorni ricorre per l'appunto il terzo centenario della presentazione a Giacomo I, re d'Inghilterra e di Scozia, della primissima copia della Bibbia tradotta in inglese, colla sua approvazione, dai piú eminenti uomini che nel campo delle lettere e della religione in quel tempo esistessero.

Si è discusso, e non da oggi soltanto, intorno alla influenza che la traduzione della Bibbia dai testi ebraici, greci e latini, in inglese, ha avuta sulla nazione tutta e sui suoi gloriosi destini imperiali. Non pochi sono coloro i quali affermano che dalla Bibbia, e dalla Bibbia sola, vengono tutte quelle virtú di energia, di costanza, di disciplina, di rispetto del principio autoritario, quell' educazione al sentimento del dovere, che formano il forte tessuto fondamentale del carattere di questo popolo e lo hanno condotto alla invidiabile, ed invidiata, posizione che occupa nel mondo.

A me personalmente la controversia sembra vana. La Bibbia ha avuta indubbiamente una influenza grandissima sulla formazione del carattere dei popoli anglo-sassoni, certamente ha contribuito a dare alla loro mente quella semplicità e quasi ingenuità di pensiero che cosi frequentemente sorprende noi latini quando per la prima volta ci troviamo a contatto non con un singolo inglese, ma con una collettività di questa razza.

Certo si può disputare che alla Bibbia od alla influenza della Bibbia siano dovute tutte le fortune che sono capitate a questo popolo nel campo politico, militare e coloniale da tre secoli appunto a questa parte !

Anche in Germania la Bibbia è stata tradotta nella lingua comune del popolo, anche colà ha esercitato, colla riforma, una influenza enorme, incalcolabile quasi sul carattere della popolazione, forse più che in Inghilterra la Bibbia ha influito profondamente sul morale dei

popoli tedeschi, ma fino ad anni recenti essa non ha mostrato di potere o di volere condurre la Germania protestante a quell'apogeo di potenza conseguito da più di cento anni dalla protestante Inghilterra. E ciò perché mancavano colà le condizioni favorevoli, l'ambiente propizio, le ragioni impellenti, del rapido assurgere della razza ai suoi più alti destini.

Non bisogna quindi credere, come oggi si vuole far credere, che le Indie siano state conquistate colla Bibbia alla mano e per amore della Bibbia, che il Canadà sia stato strappato ai francesi sol perché gli inglesi erano protestanti e sapevano la Bibbia a memoria, mentre i loro avversari erano cattolici e giuravano sopratutto per la verginità di Maria, non bisogna neppure supporre che le navi inglesi, le quali hanno sbarcato sulle coste dell'Australia i primi galeotti e le prime mandre di bovini, le prime dozzine di pecore, fossero state guidate verso il continente ignoto, che oggi ha innanzi a sé cosi grande e meraviglioso avvenire, da un Arcangelo di quelli che fanno apparizione nei Testi Sacri !

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La Bibbia non ha fatto nulla di tutto questo, ma essa ha fatta opera non meno grande e generosa verso questo popolo gli ha dato un monumento letterario che non ha confronto presso nessuna altra nazione moderna del mondo, ha contribuito con Shakespeare a fissare defi. nitivamente la lingua inglese, nella sua forma nitida e precisa che ancor oggi è la sua impareggiabile qualità e l'ammirazione di quanti stranieri per diletto o per necessità sono vòlti a studiarla o ad usarla.

Vi sono dei momenti nella vita di un popolo in cui non vi è alcuna differenza fra la lingua parlata e la lingua letteraria. La traduzione della Bibbia in inglese ha còlto uno di questi rarissimi e felici sincronismi e lo ha fissato per quanti secoli può ancora dare l'avvenire.

La traduzione della Bibbia in Inghilterra fu infatti un'opera collettiva, non di uomini ma di popolo, è l'anima del popolo inglese che si rispecchia nelle linee sonanti, nei versetti armoniosi, nelle descrizioni poderose. È la sua anima, è la sua inspirazione.

Chi ricorda piú, neppure oggi, neppure in questi giorni di celebrazioni e di commemorazioni festose, i cinquantaquattro vescovi dottori e professori che da Giacomo I ebbero l'incarico di condurre a termine il grande lavoro che era stato promesso al popolo e che il popolo domandava con un grido di passione?

Nessuno li rammenta quei brav' uomini che presi ad uno per uno non furono mai né grandi scrittori, né grandi teologi, né grandi professori, ma che collettivamente hanno prodotta un'opera veramente monumentale.

Sette anni durò il lavoro di preparazione, di traduzione, di revisione, di composizione, di correzione ed infine di stampa della Bibbia, e furono certamente sette anni fra i meglio impiegati nella storia del popolo inglese e possiamo anche aggiungere della Cristianità.

Prima della famosa edizione autorizzata da re Giacomo la Bibbia era già stata tradotta parzialmente o per intero nella lingua inglese, e prima fra tutti da William Tyndale che scontò col martirio la sua audacia e la sua fede, essendo egli stato appunto impiccato ed arso sul rogo per avere disobbedito agli ordini della chiesa cattolica che allora rifiutava il consenso non soltanto di tradurre la Bibbia nelle lingue volgari delle varie nazioni, ma anche di lasciarla leggere in latino a chi poteva avere conoscenza sufficiente per farlo.

Dopo il Tyndale la Bibbia venne tradotta anche dal Miles Coverdale, e siccome non si trovò uno stampatore in Inghilterra che osasse stamparla, bisognò inviare il manoscritto a Zurigo che allora era uno dei centri più famosi del movimento riformistico e protestante europeo. Altre traduzioni seguirono di tempo in tempo, ma esse furono tutte imperfette, troppo risentendo delle caratteristiche particolari di temperamento e di coltura di questo o di quel traduttore, molte anzi avevano il difetto di essere tradotte a scopo partigiano e cioè per agevolare la penetrazione di questa o di quella tendenza teologica, di questa o di quella speciale setta, ed infatti del luteranismo, del calvinismo, del presbiterianismo, di modo che le varie traduzioni, se soddisfacevano ad una delle tendenze allora in vivissima lotta fra di loro, urtava ed offendeva le altre.

Fu il rettore della Università di Oxford, Rainolds, il quale consigliò a re Giacomo di ordinare una traduzione dei Testi Sacri la quale non dovesse e non potesse offrire ragione di controversie alle varie tendenze religiose, le quali travagliavano il paese, non per i fatti sacri

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