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tutta Europa, da parte delle biblioteche pubbliche e private, archivi, musei, e di studiosi. È pertanto ad augurare che l' Italia risponda volonterosa all'appello, anche perché sebbene sia stata più volte vittima della rapacità straniera essa possiede pur sempre una quantità d'incunaboli, unico resto della sua antica grandezza tipografica, quale non possono per certo vantare le biblioteche dei paesi esteri.

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Il valore di un manoscritto di Wagner. Il manoscritto dell' opera giovanile di Wagner intitolata Le nozze ha subito strane vicende. Donato dall'autore alla Società di musica di Würzburg, quando questa fu sciolta passò in proprietà di certo Baer. Alla morte di questo la sua biblioteca fu venduta al mercante Rösez a otto corone il quintale. Il Wagner volle riavere il manoscritto e si rivolse anche ai, tribunali, ma infruttuosamente. Quindici anni fa il manoscritto fu venduto per 150 marchi. Poi una signora lo ricomprò a 2000 marchi e lo rivendette per 20,000 a un libraio berlinese, il quale alla sua volta trovò un amatore inglese che lo rilevò per 30,000 marchi.

Mentre ci

Esposizione di cimelii all'Istituto Musicale Luigi Cherubini di Firenze. riserviamo di pubblicare in un prossimo fascicolo un articolo appositamente scritto dal nostro insigne e solerte redattore musicale prof. Arnaldo Bonaventura intorno a quest' importante esposizione, togliamo dal Marzocco la seguente succinta relazione del sig. C. C. :

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<< Ad iniziativa del presidente e del direttore del nostro Istituto Musicale, onor. senatore marchese Filippo Torrigiani e prof. Guido Tacchinardi, si sta in questi giorni commemorando il cinquantenario dell' istituzione stessa. La mostra dei cimelii appartenenti alla biblioteca dell'Istituto che costituisce il primo numero del sobrio e serio programma di festeggiamenti è già stata inaugurata il 24 dicembre coll' intervento delle autorità, delle notabilità musicali e di numerosissimi cultori di musica, i quali tutti ebbero vive parole di ammirazione per la mostra e per il suo sapiente ordinatore prof. Riccardo Gandolfi. L'esposizione fu giudicata utilissima anche perché fece conoscere meglio l'esistenza della nostra biblioteca musicale che molti profani quasi ignorano e che pure è assai consultata dagli studiosi italiani e stranieri. La biblioteca attuale data dall'anno 1862. Costituita col fondo della biblioteca granducale (Camera e Cappella Pitti) si aumentò in seguito della biblioteca Basevi — ricca di edizioni rare e di molte opere di letteratura musicale e di quelle Corsini, Martellini, Servadio e Consolo. Si deve all'attuale bibliotecario, prof. Gandolfi, entrato in carica nel 1889, la compilazione dello schedario e la catalogazione sistematica alfabetica e per materia, disposta in quattordici volumi e di grandissima utilità pratica per ciò che riflette la collocazione e la più facile ricerca delle varie opere. E si deve soprattutto alle sue cure indefesse se la Biblioteca si arricchi di doni importantissimi da parte di donatori veramente generosi quali il prof. Cagnola, il pittore Gelli e il cav. Torre. Quest' ultimo fu veramente benemerito della biblioteca alla quale ha donato parecchie rarità musicali di prim' ordine. Basti citare la Intavolatura di Liuto del Casteliono del 1536, ritenuto il libro più antico stampato a Milano con caratteri musicali mobili fusi e il Canto Dialogo della Musica Anton di Francesco Doni (Venezia, 1543): entrambi esemplari rarissimi. La biblioteca che nel 1862 contava circa sei o settemila volumi, ne comprende ora 14 mila, senza contare circa seimila libretti d'opera. Queste cifre sono certo eloquenti, ma più convincente ancora riesce una visita ai cimelii ora esposti fatta con la scorta edl catalogo accuratissimo pubblicato per l'occasione. Qualche citazione non sarà inutile.

Fra gli autografi notevolissimi quelli di Rossini: La Carità, La Lontananza, L' Esule, e una piccola melodia per pianoforte (doni del cav. G. Torre); lo Stabat Mater del Predieri, la romanza nell'opera Gianni di Parigi di Donizetti, 14 lettere di Pietro della Valle (1586-1652) a Gio. Battista Doni, la nota melodia « Nenuphars » di Filippo Marchetti, due lettere di Claudio Monteverde (1633-1634), la canzonetta La Cantatrice di strada di Luigi Ricci e tre lettere di Giuseppe Verdi dirette al comm. Casamorata. Fra i manoscritti vengono in prima linea le Canzoncine e ballate di alcuni autori toscani e fiamminghi vissuti in Toscana verso la fine del XV secolo, alcune delle quali furono pubblicate ed illustrate dal prof. Gandolfi nella Rivista Mu

sicale Italiana, III fasc., 1911. Questo esemplare è l'unico sinora conosciuto e riguarda autori la cui produzione sarebbe altrimenti ignorata. Sono pure assai rare e preziose le Canzoni Provenzali e Sacre (dono del prof. Tacchinardi), le Arie e cantate da camera del Carissimi, del Tenaglia e del Farina, le Canzoni di autori fiamminghi dei secoli XV e XVI, il Faraone som merso, oratorio a 4 voci di Nicola Fago, tarantino, il Prologo scritto appositamente da Cristoforo Gluck pel teatro della Pergola nel 1767 in occasione di un futuro.... parto arciducale e infine lo Stabat Mater di Alessandro Scarlatti che aprí la serie dei celebri Stabat. Richiamano poi l'attenzione degli studiosi varie edizioni appartenenti ai secoli XVI, XVII e XVIII, come quelle di alcune opere del Palestrina, della già citata Intavolatura di liuto, di Canzoni e Madrigali di autori varii, alcuni libri di Madrigali del Marenzio (donati dal prof. Gelli e dal cav. Torre), l'Intavolatura di balli del Radino, le Frottole di Bartolomeo Tromboncino. Fra le opere teoriche meno note e più importanti basti qui ricordare quelle dell'Aaron, di Ganassi, del Fontego, di A. F. Doni, di G. B. Doni, di Franchino Gaffurio, di P. L. Zacconi, di Giuseppe Zarlino e persino di un re, Giovanni IV del Portogallo. Basti questa breve rassegna di titoli e di nomi a provare al conoscitore l'importanza di questa mostra di cimelii e della biblioteca a cui essi appartengono.

Oltre alla Biblioteca fu pure inaugurato il Museo degli strumenti musicali appartenenti all'Istituto, riordinati e disposti con molta cura e intelligenza d'arte dal rag. Leto Bargagna, segretario dell'Istituto. Gli strumenti sono stati da lui divisi in tre categorie: strumenti ad arco, a pizzico e percussione, a fiato.

Fra i primi noto le tre grandi attrattative della raccolta, cioè, la viola e il violoncello medicei, fatti da Antonio Stradivario nel 1690 per il granduca Ferdinando, e il violino Stradivario del 1719. Vi sono inoltre un violino e un violoncello Amati, un violino Ruggeri, un violino Gabrielli e un contrabbasso Amati, tutti esemplari magnifici. Nella seconda categoria oltre a diversi liuti, mandole, chitarre e chitarroni, destano speciale interesse una spinetta del 500 e due clavicembali uno del 600 e uno del 700, quest' ultimo assai notevole per l'applicazione del giuoco delle persiane ad uso organo al fine di ottenere gli smorzi.

Nella categoria strumenti a fiato si può constatare una storia quasi completa del flauto, dell' oboe e del clarinetto dalle forme più antiche a quelle più moderne. Vi è pure una collezione storica di strumenti ad ottone provenienti dalla corte granducale. Fra le invenzioni musicali spicca il Bimbonifono ideato da Gioacchino Bimboni. Infine, fra le riproduzioni di antichi strumenti rinvenuti negli scavi di Pompei, riescono particolarmente interessanti quelle di una tuba da guerra romana e di una tibia romana l'antica progenitrice del flauto attuale che per il numero e disposizione dei suoi fori ha suggerito al Mahillon qualche ardita ipotesi sulle tonalità greco-romane.

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I libri più grandi. Abbiamo citato altre volte i libri piccoli. Possiamo oggi ricordare i libri più grandi che si conoscano.

La biblioteca di Stuttgart possiede un manoscritto di dimensioni colossali: vergato su pelle di asino, esso si compone di 40 fascicoli di 4 fogli ciascuno. Al British Museum di Londra trovasi uno dei più grandi libri che esistano: è un Atlante geografico alto m. 2,15 e del peso di kg. 362. Un altro libro straordinariamente grande è la Relazione della città di Albany al Senato di Washington. È in formato grand'aquila, spesso m. 1,20 del peso di 490 chilogrammi e consta di 6000 pagine.

L'opera però piú gigantesca del mondo è la Storia ufficiale della guerra di secessione americana. Essa è edita a Washington in 128 volumi in ottavo grande, di 1000 pagine ciascuno, che ha come appendice un atlante in 35 parti. Il peso è di 350 chilogrammi.

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Anno XIII

GENNAIO-FEBBRAIO 1912

Dispensa 10-IIa

a

La Bibliofilía

RIVISTA DELL'ARTE ANTICA

IN LIBRI, STAMPE, MANOSCRITTI, AUTOGRAFI E LEGATURE DIRETTA DA LEO S. OLSCHKI

Le strane vicende di un' impresa tipografica

Il terzo volume della "Historia di Bologna,, del Ghirardacci.

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L frate Cherubino Ghirardacci è certamente il più grande storico di Bologna, dopo il Savioli.

Egli per primo, e su un'ampia tela, si rivolse, nel tessere la storia della città, non alla tradizione solamente o alle fallaci narrazioni di Giovanni Garzoni e d'altri simili, ma alle fonti piú sane e piú vere, come i documenti e le cronache dei contemporanei; e lo fece con tanta saggezza di criteri, con tanta circospezione nella scelta e nel confronto, da potersi affermare che intuisse i sistemi critici del secolo XVIII. Con ciò non si vuol dire che nulla tenesse del metodo seguito dai suoi contemporanei o di quelli che di poco lo precedettero e seguirono, come il Bolognini, il Bombaci, l'Alberti ecc., e che di tanto in tanto non incappasse in notevoli errori, o si mostrasse troppo credulo di fronte alle narrazioni anteriori e desse valore ad affermazioni che evidentemente erano destituite di ogni attendibilità, o anche non opportunamente nè esattamente interpretasse gli stessi documenti; ma molto deve perdonarsi a lui che tutto doveva ricostruire dalle fondamenta, ed era costretto a cercare il vero e la maggior parte delle notizie sicure, dai molti e polverosi volumi della Camera degli Atti. Piuttosto è a meravigliarsi che da solo e relativamente in poco tempo riuscisse a comporre il più bello ed il più esteso monumento di storia cittadina che abbia Bologna.

Nello stesso tempo che apre la serie degli storici, il Ghirardacci chiude, può dirsi, quella dei cronisti. Che se più tardi troveremo l'immensa mole annalistica del Negri e piú ancora quella del Ghiselli (1), i rispettivi autori da

(1) Ambedue i voluminosi manoscritti conservansi nella Biblioteca Universitaria di Bologna, ai nn. 1107 e 770.

La Bibliofilia, anno XIII, dispensa 10-11

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ranno ai loro prodotti non il titolo modesto e ormai vieto di cronaca, ma quello piú solenne di storia. E se più tardi ancora troveremo compilazioni che hanno nomi e forme di cronaca, come, per venire al secolo XIX, e tenerci sempre nel campo bolognese, quelle del Dosi, del Nascentori Manzi e del recentemente defunto cav. Enrico Bottrigari (1), comprenderemo facilmente che ci troviamo dinanzi ad un fenomeno sporadico destinato a non recare sui tempi nessuna utile influenza ed anche quasi nessun vantaggio agli studi.

Ma il Ghirardacci non ebbe in disprezzo i cronisti, ai quali è, sia pur per un filo, legato, e sebbene non lo dica e non lo indichi sempre nelle notazioni marginali della sua storia, nondimeno se ne valse; di essi vide molti e da tutti trasse il meglio, ciò che dai documenti riusciva confermato e ciò che contribuiva ad illuminare e compiere il documento.

Per queste considerazioni e per un esame accurato dell'opera ghirardacciana, in ispecie per quanto si attiene alle fonti, può concludersi essere stato sinora il Ghirardacci accusato e tenuto in poco conto, a torto. Sappiamo quale pessimo giudizio diedero di lui, a cagione forse dello stile veramente infelice del frate agostiniano, il grande Muratori nella prefazione alla Historia miscella bononiensis (2), il Fantuzzi nei suoi Scrittori bolognesi (3), il Gozzadini in piú d'un luogo e molti altri ancora. I più recenti studiosi tuttavia, che si sono dati a scrivere della storia di Bologna e che hanno perciò avuto bisogno od occasione di rovistare gli archivi e consultarne i documenti, hanno anche avuto agio di riscontrare con quanta cura e diligenza li avesse già prima consultati il Ghirardacci, e come non molto trovasi di nuovo e di importante per il periodo da lui trattato (4). È una giusta rivendicazione che bisogna fare per il valoroso.

storico!

* **

Il Ghirardacci che aveva cominciato a tessere la storia di Bologna nel 1578 (5), riusciva a condurla a termine, in trentasei libri, dopo otto anni di assiduo lavoro, nel 1586. Desiderava ora darla alle stampe, ma nonostante che si rivolgesse e alla corte romana e al senato bolognese, non poté veder pubblicato il primo volume se non nel 1596 (6), dopo dieci lunghi anni d'attesa.

Le pratiche per la stampa del secondo tomo riuscirono anche piú laboriose,

(1) Le tre opere conservansi manoscritte nella Bibl. Comunale dell'Archiginnasio di Bologna.

(2) RR. II. SS., XVIII, Praefatio.

(3) Vol. IV, pp. 136-37.

(4) Merita molta lode Lodovico Frati che in un interessante lavoro sugli autografi e manoscritti Ghirardacciani (pubblicati negli Atti e memorie della R. Deputazione di Storia patria per le prov. di Romagna, vol. XXIV, a. 1906) fa giustamente notare il metodo rigoroso seguito dallo storico bolognese.

(5) Per incarico del Senato. Negli Archivi e nelle Biblioteche bolognesi si contengono importanti documenti (che in parte raccolsi) sopra le vicende varie della composizione dell'opera e della relativa stampa, per ciò che si attiene al primo volume.

(6) Bologna, per Girolamo Rossi, 1596, in-fol.

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