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<< Filosofo, Poeta, Leggista, et Astrologo eccellentissimo di questi versi havendo << fatto una lunga compositione, la chiama Radium sive Nauiculam textoriam; poi<< che i uersi di quella per l'inanzi, et per l'indietro a guisa, che ua la spola << de' Tessitori per la tela, si possono leggere, tra molti de' quali questi quattro « notai, che molto mi piacciono :

Carminibus mea, non nummis fit Lesbia missis.

Delia non Erato fert mihi blanditias.

Rus colo, non colo nunc Musas, seu numina Phoebi;

Cynthia, non Pallas dat mihi consilium.

<< Et mi souiene hauer veduto un'altra zifra del medesimo signor Vincenzo, fatta << in due Tetrastichi, de' quali è 'l primo :

«

<< Il secondo :

Iure liquet labiis adigendus gallus amicis.

Coenam ista, nostra ars rite parauit; aui.
Chortes tentandum : sic expedit: ense silete;
Pace inita, non est rumpier unde fame.

Ipse bibe in tenebris, ede lurco, lude, iocare;
(Mensae abacum claudas: en tibi raptor adest)
Sed non est ludus luxu omnia perdere, tu inde
Vt potes, arte rapis, mens ea, uita, quies:

<< Ne' quali artificiosamente l'autore, ch' uno, detto Capranica, rubbato haueua « un Gallo d'un certo Camillo, scoprir uolle: percioche cominciandosi a pi« gliar la prima littera dell' ultima parola del primo Tetrastico et poi della pe<< nultima sino a quella della prima, et così anco del Tetrastico secondo, si fanno << questi duo uersi :

Fur en ipse est Capranica galli;

Quem rapuit pollens arte Camille tibi;

« Cioè l'essametro dal primo: benche non intieramente, mancando il principio, << et il pentametro dal secondo ». E nel terzo discorso, là dove ragione dei motti, a pag. 150, accenna al motto: « LATET ANGVIS IN HERBA, tolto dalla « iij. Egloga di Virgilio, et posto dal signor Vincenzo Francescucci da Fano in « principio d'un suo uago componimento di molti uersi fatti sopra un fonte, da << lui cognominato Bonicompagnio ».

Le due composizioni o poemetti del nostro Francescucci ricordati dal Palazzi non si conoscono e nemmeno si sa se siano stati stampati. Però quello sul fonte Bonicompagnio, se, come io credo, fu scritto per la fonte di piazza dedicata a papa Gregorio XIII Boncompagni nell' anno 1576, non poté certamente essere stampato dal Moscardi del quale, come abbiamo veduto, cessano le notizie col Marzo del 1572. Di essi però fa menzione, riferendosi al Palazzi, la Biblioteca Picena (Tomo IV, pag. 233), i compilatori della quale non conobbero la Phellina, ma ci diedero notizia di un altro scritto giovanile: Vincentii Francescucci Abstemii Fanensis de obitu Thomae Avveduti dialogus, contenuto nell' opuscolo: Epitaphiorum Libellus diversorum Auctorum in Thomam Avvedutum Fanensem juvenem spectata virtute admirabilem Imprimebat Perusiae Lucas Bina Mantuanus

La Bibliofilia, anno XIII, dispensa 2a-38

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A. D. 1536. pridie cal. Jan. in 4.° Non mi è stato possibile trovare questo libretto (1), dal quale forse i predetti compilatori trassero la notizia che il Francescucci fece i primi studi a Fano, poi li continuò a Perugia sotto Giacomo Torelli per le lettere e sotto Restauro Castaldo e Giovan Paolo Lancellotti per ambe le leggi. Accennano anche a uno scritto de laudibus Astrologiae contenuto a car. 417 e segg. del Codice Vaticano n. 3687.

Il presente poemetto è una dimostrazione evidente della bizzarria e della erudizione del Francescucci. Egli, cantando la morte di una cagnolina chiamata Fellina, ne racconta le caccie attraverso le campagne del territorio di Fano e si propone, nientemeno, di purgare le denominazioni dei vari luoghi dalle corruzioni barbare riportandole all'etimologia latina. Questo egli dice nella lettera ad Aulo Ufredio Paterno (forse un Paterniano Uffreducci?) a pag. 12: « Verum si catula deploranda tua nos caussam nacti ad veterum divertimus tum fundorum, tum aliorum quorumpiam locorum notationes et nomina, quorum ratio omnis. partim pravo loquendi usu, quo fere mutata sunt haec atque corrupta; partim vetustate lapsa concidit iam diu, et prorsus ignoratur: patere hanc me communi nostrae patriae praestare nunc opellam; quam alii qui ante nos fuere, maioribus, ut puto, negotiis impediti nobis exolvendam reliquerunt etc. ». Come venisse giudicata questa improba fatica dagli eruditi concittadini di allora basti a dimostrarlo il primo degli epigrammi laudativi stampato a pag. 78 che è di Giacomo Torelli, quello stesso che era stato maestro del Francescucci a Perugia :

Horrida barbaries fanestrem invaserat agrum :

Et speciem, et rapiens nomina prisca locis.
Helius asseruit Titus omnia: quique colonis

Usus iüleis, quaeque loquela: docens.

Par meritum Augusti, atque Titi est; par gloria, nam quae
Condidit Augustus; reddidit ecce Titus.

Certo che alle volte le etimologie stiracchiate e stravaganti fanno ridere, ma, ciò non ostante, sarei ben curioso di leggere i commenti che il Francescucci dice di aver scritto al suo poemetto, che dovrebbero essere ricca fonte di notizie importanti per la storia topografica del territorio fanese e per quella delle famiglie che vi avevano possedimenti. Notizie che oggi è assai difficile, per non dire, impossibile, desumere dai versi ingemmati di immagini, reminiscenze e vocaboli i piú strani, e dai nomi tutti trasformati o storpiati alla latina. Però questo poemetto serví al Billi ne' suoi lavori su Bargni e Saltara e su Brettino (2) e al Masetti nelle Memorie di San Paterniano (3). Io credo poi che, oltre alle

(1) Sono gratissimo al ch.mo prof. Pasquale Papa R. Provveditore agli Studi in Perugia che ne fece ricerca in quelle Biblioteche.

(2) BILLI ALESSANDRO, Ricordo Storico di Bargni e Saltara. Fano, 1866. in 16o, pag. 5-6, 16 e 123-126 dove ne dà tradotto in buoni versi italiani il tratto riguardante Vincenzo Negusanti Vescovo di Arbe. Brettino e Simone Cantarini, Cenni storico-artistici. Fano, 1866,

in 80, pag. 5.

(3) Memorie di San Paterniano Vescovo e Protettore di Fano, raccolte ed illustrate da Mons. CELESTINO MASETTI, Fano, 1875, in 89, nota a pag. 36.

difficoltà di interpretazione, il poema debba essere a chiave, come parmi, se mal non mi appongo, accenni l'epigramma ad Aulum a pag. 14:

Sunt unus, duo, tres, et quattuor ordine versus.

Collige, summa omnis conficit Aule decem.

Non liber est Phellina; sed est epigramma. Recense.

Versa, epigrama; librum linea recta facit.

Con la smania degli enigmi, della crittografia e dei giuochi di ogni genere che aveva il Francescucci, il suo poemetto attende miglior Edipo che io non sia.

Pietro Maria Amiani (1), parlando di Ottavio Cleofilo, riporta un brano della vita di lui « stampata in principio delle sue opere latine nel 1562 e date << alla luce da Giacomo Mascardino (sic) veronese. » Il brano è cavato dalla vita del Cleofilo scritta da Francesco Poliardi e posta avanti ai poemetti latini Antropotheomachia, de Bello Fanensi et quaedam alia stampati da Girolamo Soncino nel 1516. Dobbiamo credere a un equivoco dell'Amiani o il Moscardi ristampò veramente le operette latine del Cleofilo in quest'anno 1562?

1564.

Libro de la compagnia. Fani, Jacobus Moschardius, 1564, mense ottobri, in 4o.

Di carte 112, delle quali 108 numerate: segnature A-Ee di quattro carte l'una: carattere rotondo con iniziali e rubriche in rosso; 35 linee per pagina.

Il frontespizio porta in alto il titolo stampato in rosso.

Tutto il resto della pagina è occupato da una silografia rappresentante San Girolamo nel deserto. Non ostante l'identità del soggetto e degli elementi usati per rappresentarlo, questa incisione è totalmente diversa e piú rozza di quella che si trova a tergo del frontispizio del Libro da compagnia o vero fraternita di battuti, stampato nel 1518 a Venezia da Nicolò Zoppino e Vincenzo de Polo, riprodotta nell'opera magistrale del Principe d' Essling Les Livres à Figures Vénitiens (Seconde Partie, pag. 358).

A tergo della carta 108 numerata
Imprimebat

èvvi la sottoscrizione:

Fani Iacob, Moschardius Veronēsis Anno ab orto iustitiae Sole .M.D.LXiiii.

(1) Op. cit. Par. II, pag. 66.

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Mese Ottobri. Segue la segnatura Ee di quattro carte non numerate, l'ultima delle quali al recto ha il Registro e sotto la marca tipografica con le iniziali I. M. V.

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L'unico esemplare a me noto proviene dalla libreria del Conte Stefano Tomani Amiani e trovasi nella Federiciana di Fano, dal bibliotecario della quale, prof. Adolfo Mabellini, ebbi le fotografie di questa e delle altre stampe qui descritte. Nel ringraziarlo del gentile concorso, mi piace riconoscere in esso e nelle molte cure spese per aiutarmi in questo e in altri lavori e ricerche di storia locale, non solo una prova di squisita e ben nota cortesia ma sopra tutto l'effetto di una amicizia affettuosa.

1567.

Il 23 Aprile di quest'anno il Consiglio speciale stabilí a pieni voti di portare al Consiglio generale la proposta di stampare i nuovi capitoli e gli Statuti del Danno Dato (1). Ma anche questa volta non sono riuscito a trovare la deliberazione del Consiglio generale e, quel che più monta, non conosco l'esistenza di una stampa degli Statuti del Danno Dato diversa da quella che costituisce il libro IV degli Statuti della Città editi dal Soncino nel 1508. Solo nel 1627 per i tipi di Flaminio Concordia fu stampata in Pesaro una: Tassa, ouero Tariffa | dell' Offitio del Danno Dato | della Città di Fano, in 4°.

T. Helii Victoris, Epistola ad L. Saxium. Fani, 1567, in 4°.

Di carte quattro non num.: segnatura A: carattere corsivo, linee ventisei per pagina intera.

(1) Die 24 Aprilis 1563..- Vltimo transmissa fuit ad Generale proposita de imprimendis novis capitulis super officio damnorum datorum una cum libro statutorum ipsorum damnorum datorum fabis omnibus albis. (Arch. Com. di Fano, Consigli, vol. 88, car. 177):

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Il tergo della prima carta è bianco. Al recto della seconda carta in alto è ripetuto il titolo: T. HELIVS VICTOR | .L. SAXIO SAXONI, | LEGATO: COGNO-MENTO SAXO., e comincia subito l'epistola in distici cosí :

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