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E, rivolgendo il discorso al Duranti, cosí ricorda l'esumazione dell'opera ignorata fatta dal Maioli:

Vix modo durares, duras qui Illherme; cadenti

Ni tibi Maiôli dextra tulisset opem.

Quid iustum magé, quam fratrem succurrere fratri?

Maia Illhermum aluit, Maiaque Maiölum.

Non vien fatto di domandare se queste freddure siano scritte per ridere o sul serio?

Non sono riuscito a trovare per quale ragione Simone Maioli dimorasse a Fano. Questa dimora non dovette essere tanto breve e occasionale, perché nella vita del Durante (car. 3t e 4, n. n.) accenna a un' opera « Le Notti Fanesi » che stava scrivendo: « Speculum etenim iuris opus singulare composuit.... omnium consensu Speculatoris cognomentum est consequutus, opus ipsum ex aliorum veterum scriptis in unum collectis universum constat, nam uel integros codices transtulit, ut in Noctibus Fanestribus dicturi sumus.... ». Nella stessa Vita (car. 3r n. n.) ci racconta la fondazione di Castel Durante, ora Urbania, per opera di Guglielmo Durante dal quale ebbe allora il nome che poi fu cambiato da Urbano VIII nel 1635 « Qua tempestate (1284) quum Urbinates Castrum Riparum Massae Trabariae funditus evertissent, hic idem Guillelmus tunc Papae Nuntius, et Romandiolae Thesaurarius, Romani nominis tuendi causa, illud ipsum Castrum quod antea in monte situm erat in ipsa planitie construi ac reffici iussit, primumque fundamentis lapidem iecit loco amenissimo, ac amplissimae planitiae qua Methaurus in peninsulae formam Castrum circumducit, suoque de nomine Castrum Durantis appellavit. Cuius rei monumenta marmorea adhuc extant in ipsius nunc oppidi praetorio »>.

Il Maioli fu uomo di molta dottrina: nacque verso il 1520; nel 1572 fu fatto vescovo di Volturara, rinunziò a tale ufficio nel 1597 e poco dopo morí. Tra le di lui opere edite ricordate dal Weiss (1) non trovo le Notti Fanesi.

1570.

Scipione Dionisio, Amor Cortese, Commedia pastorale. Fano, per Giacomo Moscardo, 1570. in 12.°

Cosí l'Allacci (2): il Quadrio (3) cambia il nome di Scipione in Francesco e i compilatori della Biblioteca Picena (4) seguono questa opinione perché

(1) Biografia Universale. Venezia, Missiaglia, vol. XXXIV, pag. 405-406.

(2) Drammaturgia di LEONE ALLACCI, Venezia, MDCCLV, in 4o a due colonne, col. 55. Si noti però che nella prima edizione (Roma, 1666, in 12o, pag. 19) l'Allacci dava il nome di Francesco Dionisio: quindi cambiamento in Scipione dev'essere avvenuto per errore di trascrizione nella ristampa. Si può dunque ritenere per certo che autore della commedia pastorale sia stato Francesco Dionigi o Dionisio.

(3) QUADRIO, Della Storia e Ragione di ogni Poesia ecc., vol. III, parte II, Milano, MDCCXLIV in 4o, pag. 71.

(4) Tomo IV, pag. 6-7.

si sa, essi dicono, che Francesco « ebbe del genio per tal sorta di componimenti ». Non so se l'Allacci abbia veduto questa stampa o l'abbia riferita su notizia di altri, io non ho potuto vederla e quindi non sono in grado di risolvere il dubbio che rimane sul nome di battesimo dell' autore. Scipione Dionisio o Dionigi è affatto sconosciuto, mentre Francesco è noto come scrittore di diverse opere. Fu prete e famigliare, fin da giovane, del Vescovo Francesco Rusticucci dopo la morte del quale, avvenuta nel 1597, si ritirò a Venezia ove dimorava il fratel suo Bartolomeo, pur esso prete, e scrittore o meglio compilatore di vari libri di storia e di erudizione che ebbero una certa voga a' suoi tempi. Francesco diede alla luce nel 1594 un Decamerone Spirituale (1) col quale si proponeva di distogliere, specialmente le donne, dalla lettura pericolosa del troppo libero Decamerone del Boccaccio, ma non raggiunse certo lo scopo, perché il Quadrio racconta che lo stampatore per esitare l'edizione dovette regalare buon numero di esemplari. Ciò non ostante la Biblioteca Picena registra una seconda edizione del 1599 che io però non ho veduta. Quanto al genio per i componimenti drammatici si ha di lui: Devota Rappresentazione | dei Martirii | di Santa Christina Vergine, | e Martire di Giesù Christo. | Di nuovo composta dal Rever.do | M. FRANCESCO DIONIGI da Fano. In Fano, appresso Pietro Farri, MDCXII. in 4o, di car. 92 num. e 8 non num. in principio.

Questa sacra rappresentazione sarebbe stata dunque stampata quarantadue anni dopo la commedia pastorale Amor Cortese. Però una meno che superficiale osservazione ci persuade che la data della stampa dev'essere errata. Il libro è dedicato al Cardinale Rusticucci con lettera data da Fano il 16 Giugno 1592; il Cardinale morí il 14 Giugno 1603. Non si può ragionevolmente ammettere che scorressero venti anni tra la dedica e la stampa, e meno ancora che, essendo nel frattempo venuta a mancare la persona cui era indirizzata la lettera dedicatoria, questa rimanesse tale e quale. Io credo che l'anno della stampa sia veramente il 1592, e l'errore sia dovuto a una trasposizione di cifra, facilissima ad avvenire e difficile ad essere avvertita: MDCXII invece di MDXCII. Con questa correzione viene diminuita di venti anni la distanza fra la stampa dell'Amor Cortese e quella del Martirio di Santa Cristina, e quindi rimossa in parte la difficoltà di assegnare la prima commedia a Francesco Dionigi. In parte, perché questo buon prete, infiammato di santo zelo per la propaganda dell'ascetismo e del buon costume, parrebbe che male avesse potuto trattare un soggetto profano e leggero. Ma chi ha letto l' Amor Cortese? Chi sa se il soggetto sia sacro o profano?

1571.

Il 5 Aprile di quest'anno il Consiglio Generale accordò un sussidio di dieci scudi sulle rendite del Ponte Metauro a Raffaele Aquilino che stava stampando una sua opera in esaltazione della fede cristiana (2). Ma, contro ogni mia aspet

(1) Il Decamerone Spirituale, cioè le Diece Spirituali Giornate del R. M. FRANCESCO DIONIGI da Fano. In Venetia, appresso gli Heredi di Giovanni Varisco. MDXCIIII, in 80 grande, con una silografia.

(2) Arch. Com. di Fano, Consigli, vol. 29, car. 39.

tativa, l'opera non uscí dai torchi del Moscardi bensí da quelli di Girolamo Concordia tipografo a Pesaro con questo titolo: TRATTATO PIO | NEL QVALE SI | CONTENGONO CINQVE | Articoli, pertinenti alla Fede Christiana con | tra l'hebraica ostinatione, estratti dalle | Sacrosante antiche scritture, & com | poste per Raffael Aquilino à | gloria del Signore. | AL SANTISSIMO ET BEATISS. | Padre Nostro Signore, Papa Pio V. (Marca tipografica: Una donna armata con la mano d. poggiata su di una colonna spezzata e col pezzo della colonna sotto il braccio sinistro). In Pesaro Appresso Gieronimo Concordia. | Con licentia de' Superiori. | MDLXXI. In 4o, carte num. 106 e 6 non num. in principio: carattere corsivo, iniziali istoriate.

In questo libro si verifica lo stesso fatto che abbiamo constatato nella « Phellina » una dedica intercalata nella prima segnatura. L'Aquilino era andato a Roma col suo libro bell' e stampato con la dedica al Pontefice Pio V; nel frattempo << piacque alla Superna Bontà di chiamarlo a sè » e allora egli in fretta e furia fece stampare una nuova lettera al Successore Gregorio XIII in un foglietto che venne aggiunto dopo il frontispizio.

Raffaele Aquilino era un Ebreo convertito alla religione cattolica: ebbe la cittadinanza fanese il 24 Luglio 1567 (1) e da questo conferimento apprendiamo che era nativo di Senigallia, particolare rimasto ignoto alla Biblioteca Picena. Fu Commissario per la distruzione de' Libri Talmudici nello Stato di Urbino e in parte della Marca; scrisse diverse opere tutte di argomento polemico ed ascetico che sono ricordate dalla Biblioteca Picena suddetta sulla scorta del Mazzuchelli (2). Un suo figliuolo era maestro di scrivere o di calligrafia agli stipendi del Comune di Fano (3).

Con tutto l'impegno posto nelle ricerche non sono riuscito a mettere insieme più di sette stampe uscite dalla Tipografia di Giacomo Moscardi. Per un periodo di dodici anni sono proprio pochine! Mi conforto pensando che sono cinque più di quelle annoverate dal Giuliari, e di esse quattro affatto ignote ai bibliografi, compresa quella del Libro de la Compagnia, che non mi pare priva di una certa importanza.

Non dispero che altre possano venir fuori e sarò ben grato a quelli che vorranno darmene notizia.

Venezia.

(1) Ibid., vol. 88, car. 218.

(2) Tomo I, pag. 196-198.

(3) Arch. cit., Consigli, vol 88, car. 115.

G. CASTELLANI.

Bollettino Bibliografico Marciano

PUBBLICAZIONI RECENTI RELATIVE A CODICI O STAMPE DELLA BIBLIOTECA MARCIANA DI VENEZIA *)

150. Contenzione d' un' anima e d' un corpo. Testi del sec. XIV in prosa ed in rima, aggiuntovi l'originale latino, per cura di GIOVANNI TORTOLI, Accademico residente (R. Accademia della Crusca). Firenze, tip. Galileiana, 1909; pp. 153, in 8° (estr. d. Atti d. R. Accad. d. Crusca, a. 1907-08).

Il prof. Francesco Berlan, iniziando una serie di Testi di lingua, che dovea veder la luce sotto gli auspicî di una Società veneta dei bibliofili ', la quale ebbe vita effimera, pubblicò nel 1844, dietro l'Etica d' Aristotile compendiata da ser Brunetto Latini, due leggende ascetiche, togliendole dal cod. Marc. It. V. 34, il quale però non spetta al sec. XIV, come ritenne il B. e ripete qui il T. (p. 5), ma indubbiamente al XV, come il fac-simile qui soggiunto testimonia agevol

mente.

Ora la prima di codeste leggende, che nel cod. veneziano s'intitola: Incomincia il contasto che fece l'anima col corpo, il quale contasto ebbe in visione Santo Bernardo, ripubblica qui il T., non però sul cod. Marciano (che fu dal B. fedelmente riprodotto, ma che presenta non lievi errori rispetto ai Codici toscani, come il T. dimostra in fine della sua interessante pubblicazione), ma bensí su tre codd. fiorentini : a) Palat. 73 della Bibl. Nazionale di Firenze, già di Pier del Nero, e citato dall' Accademia della Crusca ; b) Laur. Gadd. 120, più corretto del precedente, ma lacunoso; c) Riccard. 1345, del principio del sec. XV, ma arieggiante la forma trecentesca; il migliore di tutti, e perciò posto dal T. a base della propria edizione. Il T.

*) Cont.: v. Bibliofilia, vol. XII, pag. 400, disp. 10a-11a.

ritiene questi tre codici fiorentini e il Marciano nella sostanza e nella forma tanto... simili fra loro, che ben si vede esser tutti derivati, più o meno direttamente, e quindi in modo più o meno buono, da un medesimo fonte (pp. 11-12). A fianco del testo volgare prosastico (pp. 46-91), il T. pubblica poi di nuovo quello latino in versi, da cui deriva, più noto col titolo di Visio Fulberti o Philiberti, e edito più volte, fuori d'Italia e di su codici stranieri, ma valendosi qui di un cod. Marc. (Lat. III. 27), scritto a Venezia da un prussiano circa il 1414-1417, e che è (secondo il T.) il solo sin qui noto conservato in biblioteche italiane. Ed il fatto che l'unico codice italiano conosciuto, contenente questo testo, fu scritto da uno straniero, sembra confermare l'opinione, già di per sé probabile, che l'autore di esso non fosse italiano. Su questo cod. Marciano che trovasi descritto esattamente dal VALENTINELLI, Bibl. ms., vol. II, pp. 206-208, non ricordato qui dall'editore e sul metodo seguito nell' edizione, si cfr. pp. 36-37. In nota al testo del contrasto latino sono date 'tutte le varianti di quello del DU MÉRIL' (p. 38); ma un fugace confronto col ms. ci ha fatto rilevare un certo numero di passi, in cui per lo piú si attribuiscono al cod. Marciano lezioni erronee, che non gli appartengono. Cosi nella quart. 7, v. 3, il cod. ha realmente fructum e non fructus; q. 9, v. 3: pessima, non pexima; q. 10, v. 4: il cod. ha realmente quod, non quo; q. 19, V. 2: il cod. ha correttamente nequam, non neque; v. 4 il cod. ha culpam imputare, ron culpas ; q. 37, v. 2: il primo et manca nel cod. ; q. 39. v. I il cod. ha effettivamente Scio me culpabilem, come l'ediz. DU MERIL, non Oro me c., che non dà senso; q. 42, V. I: il cod. ha correttamente (come l'ediz. Du

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q. 34,

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