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ond'è che qui non terminava appena, che essi cominciavanla altrove, quand' anche la dovessero fare contro i patti, contro i giuramenti, contro l'amicizia.

Questi frutti già assaggiavansi in parte, e in parte si potevano prevedere. Quanto a noi, dopo avere meditato la forte vita de' Comuni italiani, giunti a questi tempi, e costretti a narrare tante calamità e infamie per parte nostra e altrui, rimaniamo come oppressi da un denso dolore, e quasi vinti da esso ci ristaremmo a mezzo della via; se non ci soccorresse la persuasione, che non meno dalla considerazione dei vizii e delle sciagure che dalla ricordanza delle virtù e delle prosperità può trarre un popolo argomento a civile sapienza, e dalla bassezza del passato sorgere a grandezza presente. Perciò tra mesti e speranzosi proseguiremo il racconto, che oramai nou suonerà che rapine senza pietà, tumulti senza cagione, guerre senza scopo, battaglie senza gloria e ferite: e scevri d'amore di parte lo proseguiremo, diventato per l'ignavia degli avi si l'odio che l'amore impossibile.

IV.

Mentrechè frà Moriale correva senza avvedersi A. 1354 incontro ad una morte ignominiosa, il conte Corrado Lando di Svevia (1) di lui vicario marciava colla gran compagnia verso la Lombardia a servigio della lega quivi formatasi a'danni dei Visconti signori di Milano e di Pavia. Erano 3200 cavalli ben guerniti di tutte armi; ma oltrechè, stante i molti abusi e privilegi, le paghe ne montavano pressochè al doppio, tal molti

(1) Il suo vero nome crediamo che fosse Corrado Virtinguer di Landau.

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tudine di fanti e di donne e di ragazzi vi si era aggreggiata intorno, che l'universale terrore faceva salire il numero totale della compagnia a quaranta mila (1). Accomodati onestamente di viveri e d'alloggio nella Romagna, tutti costoro fermaronsi alquanti giorni a disertare il territorio di Bologna allora signoreggiata dai Visconti; quindi provaronsi a liberare Modena dall'assedio postole dai viscontei, ed a sorprendere Guastalla e Cremona; alla perfine, essendo andati a vuoto tutti que' tentativi, ed oramai l'autunno volgendo al suo termine, invasero tumultuariamente il Bresciano. Quivi un po' le preghiere, un poco i comandi di Carlo IV eletto re di Germania, indussero la lega a licenziarli. Allora la compagnia si disciolse; e parte di essa si mise qua e là a stipendio de' signori della Lombardia; parte sotto il conte Lando si avviò verso Napoli. Se non che era deliberata a pigliare nel cammino una solenne vendetta.

Già erano scorsi quattro anni, dacchè una immensa copia di fedeli da ogni angolo dell'orbe cattolico era accorsa a Roma per conseguirvi il generale perdono stabilito dal papa Clemente vi ad ogni mezzo secolo. Tra i numerosi corteggi degli uomini e delle donne a piedi ed a cavallo, che in quella occorrenza avevano riempiuto le vie d'Italia di strane favelle, fu una, quanto pietosa, altrettanto leggiadra gentildonna di Alemagna. Costei, valicate le Alpi, era già pervenuta

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(1) Gazata, Chr. Reg. p. 75 (t. XVIII).-P. Azar. Chr. p. 333.-Corio, parte III. 446. Cortusior. Hist. L. X. c. 11. - Joh. de Bazano, p. 625 (t. XV). — M. de Griffon. p. 170 (t. XVIII). — M. Vill. IV. 19. 29.

a Ravenna, e già tutta si racconsolava, vedendosi così vicina a saziare la viva sua fiamma di religione ; quand'ecco la mira Bernardino da Polenta signore della città, e senza più s'accende del furore di possederla. La nobile matrona, dopo avere opposto il disprezzo ed il rifiuto alle preghiere ed alle lusinghe, non sapendo come resistere alla brutale violenza del feroce tiranno, fuggi vergogna con volontaria morte. Il generoso fatto della bella Contessa (così si costumò di chiamarla ne' popolari racconti), come commosse al pianto ogni animo gentile, così sospinse a procurarne degna vendetta due fratelli della pudica: ned altra cosa, tranne le costoro istanze, muoveva ora il conte Lando à guerreggiare il signore di Ravenna. Successe nondimeno questa volta quel che succede quasi sempre tra i principi: sopportarono la pena i sudditi. In fatti Bernardino da Polenta, essendosi serrato ben bene dentro le mura, lasciò consumare il contado a posta della compagnia, finchè venne a mancarle la preda. Allora la necessità la spinse sopra il regno di Napoli, dove i disordini dello Stato, e la slealtà del re Luigi, che negavale un solito tributo di quarantamila fiorini, principalmente la invitavano (1).

In effetto, la rubellione del duca di Durazzo, l'indo- A. 1355 lenza del re, il mal animo del popolo, la dubbia fede de'baroni non tardarono ad aprire colà alla compagnia le strade di gran rapina e strazio. Traversati gli Abruzzi e la Puglia, i venturieri eruppero nel Principato, e sotto Napoli, sotto gli occhi stessi del re

(1) M. Vill. IV. 40. 58. · Annal. Cæsenat. p. 1182 (R. I. S. t. XIV).

portarono il guasto e lo spavento. Poscia, non sentendo chi vieti loro di scorrere il paese, anzi veggendosi obbediti a bacchetta da per tutto, divisersi in più brigate affine di abbracciare maggiore spazio, e l'una quà l'altra là a piacimento andò visitando senz' arme, senza ordini di guerra la contrada. «E cominciarono (narra un contemporaneo) a pren« dere diletti d'uccellare e di cacciare, e i loro ca« valcatori e ragazzi visitavano le ville e le castella, e recavano all'ostiere ciò che bisognava largamente << per la lor vita e de' loro cavalli. E quando i signori tornavano, trovavano apparecchiato; e i cat«tivelli paesani, che non avieno aiuto dal loro si• gnore, erano consumati in vilissima fama della Real « Corona (1)

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Crebbero esca all' incendio mille barbute, che partendosi a poco a poco da' servigi del re e della regina si ridussero a militare insieme colla compagnia (2); sicché oramai la ricolta importantissima dell'uva pericolava, e tra la plebe di Napoli desiosa di accordo, e i baroni che, senza osare d'uscire a battaglia, abborrivano la pace, ogni cosa era piena di confusione e malcontento. In queste estremità, il re pensò di venire a patti: si compose adunque col conte Lando in centocinquemila fiorini, sotto condizione, che questi ne ricevesse addirittura trentamila, e si intrattenesse nella Puglia, finchè non gli venissero sborsati i rimanenti. Giurato e adempito l'accordo in questi termini, il conte Lando si mise in assetto per passare in To

(1) M. Vill. IV. 79. 90. V. 56. 62. 63. p. 1217-1219 (R. 1. S. t. XIII).

(2) M. Vill. V. 76. VI. 13.

Vita Acciajol.

scana: ma per via essendosi accorto, che due 'suoi conestabili l'avevano abbandonato per ripararsi presso i baroni ribelli, tornò addietro, congiunse tosto le sue alle insegne del re, dichiarò guerra a'traditori, ricercolli a morte, sfidolli a duello, ed alla fine li costrinse a porre le proprie persone e ragioni in compromesso del re. Questi, avendo fatto definir la causa da parecchi famosi giudici, condannò i conestabili a star prigioni dove e come piacesse al Conte. Ciò conseguito, il condottiero si dispose senz'altro indugio ad uscire dal regno (1).

Fu presto il Legato pontificio a concedere alla com- A. 1356 pagnia libero il passo per le terre della Chiesa. Ma non bastò ad acquetare il mal talento de' venturieri, alla cui marcia erano di non lieve stimolo le istanze dell' Ordelaffi assediato da' pontificii dentro Cesena. Perciò non era appena la compagnia rientrata in Romagna, che gettavasi sopra il dominio del signor di Ravenna, e faceva sciogliere quell'assedio. Quindi con gran furore si avviava, per invadere la Toscana, dove la lunga pace aveva accumulato un non mediocre bottino. S'era bensì Firenze affrettata a unirsi in stretta lega con Pisa e Perugia, col fine comune di provvedere al pericolo soprastante; ma nel fatto (come avviene quando molti hanno da operare quello che un solo ha ideato) la cosa era rimasta a mezzo, ed i Fiorentini abbandonati alle sole loro forze, avevano dovuto raddoppiare l'animo e la spesa per munire di trinciere e di soldatesche le gole più minacciate dell' Appennino. Tuttavia questi appa

(1) M. Vill. VI. 17. 38. 39.

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