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recchi consigliarono il conte Lando a dimettere per allora il pensiero della Toscana, e ricondursi per quattro mesi agli stipendii della Lega di Lombardia (1).

Componeano cotesta Lega (come si è detto supesettemb. riormente) i signori di Ferrara, di Mantova e di Bologna: la necessità di ostare al soverchio ingrandimento de' Visconti di Milano l'aveva fatta nascere; un Marcovaldo vescovo d'Augusta, come vicario e capitano dell' imperatore Carlo IV, n'era alla testa. Pertanto il conte Lando, come si fu accozzato tra Bologna e Modena colle altre genti de' confederati, marciò per prima impresa sopra Parma. Era la città guardata a nome de' Visconti da quattromila barbute oltremontane: ma non mai l'onore e la fede furono venduti più sfacciatamente che in questa guerra. I difensori di Parma, non che far contro alla gran compagnia, partecipavano segretamente ne'suoi guadagni; il conte Lando, non che essere veramente nemico dei Visconti, era ad essi legato di nascose intelligenze. Fu la conclusione dell'assedio degna degli uni e degli altri. Da una parte gli alleati dovettero rimuovere il conte Lando di colà ed inviarlo a saccheggiare altri siti: dall' altra le barbute viscontee, dopo avere, sotto spezie di riverenza alle insegne imperiali, ricusato di sortire da Parma a combattere contro gli assedianti, furono per minor male ritirate a Milano.

Viveva ancora alla Corte de' Visconti Lodrisio, l'antico condottiero della compagnia di S. Giorgio. Costui tanto s'adoperò or colle une or colle altre di queste

(1) M. Vill. VI. 71. 72. 75. Cron. Miscell. di Bologna, p. 445 (R. S. 1. t. XVIII).

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barbute, che ne indusse una grossa banda a seguirlo. Con questa, avendo assaltato i nemici al passaggio del Ticino, in capo a due ore di acerbo contrasto li 12 9bre ruppe e disperse. Ma che gli valse la vittoria, se tali erano gli usi di quelle milizie, che il vincere impoveriva talora quanto il perdere? Erano stati fatti prigionieri il conte Lando e gli altri principali capitani dell'esercito della Lega: questi furono senza indugio liberati dalle soldatesche vincitrici: bentosto un po' d'oro e di credito bastò loro per raccogliere a Pavia le schiere sbandate; sicchè, non passavano molte settimane, che chi avea vinto sul Ticino lamentava la gennaio perdita del castello di Novara (1).

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Raumiliò bensì alquanto i confederati la defezione del conte Lando, il quale, vinto dalle grandi promesse di Bernabò Visconti, li abbandonò per ritornare in giugno Romagna, non so se più in soccorso dell'Ordelaffi, o in danno di chi lo oppugnava. Quivi, tenendosi coperto de' suoi disegni, e or quà or là accennando di ferire, pose mano ad ingrossare la Compagnia sia per mezzo de' nuovi seguaci, che si lasciavano adescare da quella ghiotta vita, sia per mezzo delle buone imposte riscosse sopra i dominii vicini. Quando ogni cosa parve in pronto, s'avviò difilato verso i passi degli Appennini col fermo proposito di scendere nella Toscana. Come Dio volle, i buoni apparecchi de' Fiorentini resero vano ancora questa volta il tentativo: ma il solo terrore di tal cosa bastò per indurre la repubblica e il Papa a comprare dal conte Lando per tre anni una

(1) M. Vill. IV. 40. 58. Annal. Cesenat. p. 1182 (R. I. S. t. XIV).

tregua al prezzo di cinquantamila fiorini. Con questo guadagno ritornò egli incontanente in Lombardia ar servigi di quella Lega, ed avendo spartito in due schiere la compagnia composta di tremila e più barbute, vi guerreggiò con insolita bravura e fedeltà sino alla maggio conclusione della pace. Allora prese licenza dai confederati e raccolse tutte le sue genti a Budrio sul Bolognése: poscia colla propria parte di bottino passò in Germania a comprarvi terre e castella, e riscuotervi quelle che vi aveva impegnate (1).

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Ma non era appena partito da Budrio il conte Lando, che vi giungevano oratori con ampie proposte per parte del Comune di Siena; il quale, essendo avido di vendicare sopra i Perugini molti oltraggi e sconfitte, mandava ad assoldare la gran compagnia, con patto espresso che un mese e più nient'altro atten

desse che a sterminarne il territorio. Così quella felice Toscana, cui un poco di unione aveva salvato per ben due volte da' cupidi sforzi de' venturieri, veniva ora gettata ad essi in preda per un matto sfogo di vendetta! L'esempio de' Sanesi e il sospetto delle messi oramai mature astrinsero anche Firenze, benchè a malincuore, a cedere, ed a consentire alla compagnia libero il passo de' monti. Per conseguenza il

(1) Ann. Cæsen. p. 1184 (t. XV).-M. Vill. VII. 64. 75. 76. -Joli. de Bazano, p. 625 (t. XV). — Chron. Placent. pag 503 (t. XVI). Nel racconto di questi fatti abbiamo seguitato questi autori e specialmente il Villani, anzichè Pietro Azario (Chron. p. 347. t. XVI), nel cui testo, forse per colpa del tempo o degli amanuensi, vengono confuse in una sola le due calate in Lombardia del conte Lando.

conte Lando, ch' era tornato in questo mentre dalla Germania col titolo di Vicario imperiale, indirizzò tranquillamente le schiere per Val di Lamonė verso Bibbiena.

La somma de' patti da lui stipulati colla repubblica, importava ch' egli sarebbe passato in pace, avrebbe pagato le vittovaglie a pronti contanti, e avrebbe fatto marciare la compagnia a dieci a dieci bandiere. Nè per verità sul principio le cose processero diversamente; ma ben tosto l'antico vezzo di porre le mani sulle robe e sulle persone altrui si risvegliò ne' venturieri; e nel medesimo tempo svegliossi l'ira e lo spavento degli Alpigiani, che uniti da comune ingiuria in comun volere fermarono di pigliarne nel di seguente una memoranda vendetta (1). Ebbe subito di questa risoluzione lontani avvisi il conte Lando; ma dispregiando gli incomposti conati di quella vil moltitudine, si restrinse ad ordinare, che pel mattino seguente si levasse il campo di buonissima ora, e lo precedesse Amerigo del Cavalletto colle genti più spedite e colle bagaglie. Broccardo, fratello del conte Lando, con 800 cavalli e 500 pedoni dovea rimanere alla retroguardia.

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Dopo alquanto di cammino, la compagnia entrò 25 luglio in un cupo vallone, lungo due miglia, e quinci e quindi fasciato da dritte rocche di macigno. Ai piedi di queste rocche per tutta la lunghezza del vallone serpeggiava la strada, a guisa di cornice, ed a seconda delle rivolte del torrente, che giù in fondo scor

(1) Ghirardacci, St. di Bol. L. XXIII. p. 237. Cron. Miscella di Bol. 449.- Cron. Sanese, p. 162 (t. XV).-M. Vill. VIII. 72-75.

reva in sordo mormorio. Al termine delle due miglia era il vallone chiuso da una gola stretta e ripidissima, dove il sentiero innalzavasi repente a meraviglia tra due alti gioghi, detti le Scalelle. In questo sito, lasciato prima passare colla sua brigata Amerigo del Cavalletto, si disposero i villani in numero circa di ottanta. Dapprincipio stettero quieti e nascosti; poscia, come mirano la maggior parte dell' esercito impacciata ne' faticosi andirivieni del vallone, sboccano a furia dall'agguato, e con grossi macigni ostruiscono il valico, e ne sbalestrano il conestabile, che si inerpicava per impadronirsene. Ciò fatto, distendonsi per le creste de' gioghi a offendere colle pietre e colle saette le improvvide soldatesche.

Mentre questo avveniva, il conte Lando, trattasi di capo la barbuta, e mangiando e favellando cogli astanti, cavalcava innanzi tranquillamente: quand'ecco il tumulto di chi resiste, il correre de' fuggitivi, il clamore degli assalitori, e l'orrendo rintuono delle moli, che rovinano addosso le schiere, l'avvisano del supremo pericolo. Fatto dare perciò prestamente all'arme, impose a cento Ungheri di smontare da cavallo, e studiarsi di guadagnare le vette, e di scacciarne i villani. Ma tardo era ogni rimedio: infatti gli Ungheri, impediti ad ascendere sia dall'asprezza de' siti, sia dal peso delle armi e dalla lunghezza dei proprii giubboni, furono precipitati abbasso co'dardi e colle pietre: talchè venendo a cadere sopra i compagni, e que' che erano alla testa, stante l'intoppo dell' uscita, rimboccandosi addosso al retroguardo, e questo per la fretta rovesciandosi su quelli, in breve diventò ugualmente per tutti il ritirarsi, il combat

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