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zandoli, ne uccidono da 300. Nè a ciò si ristava il tumulto e la vittoria di quelli, se per interposizione di Galeotto non si fossero quietati su fallaci lusinghe di perdono e di obblío. Infelici! chè Roberto di Ginevra non era uomo da badare per vendicarsi a uno spergiuro Stavano poco lungi dalla città acquartierate le bande inglesi di Giovanni Acuto. Il cardinale le fece entrare molto segretamente nella Murata; poi, come fu notte, lo mandò a chiamare, e «va, gli disse, scendi sulla città, e fanne giustizia». Il condottiero, celandosi la parte iniqua del comando Messere, rispose, quando a voi piaccia. V'andrò, e farò si, che lascieranno l'arme, e renderannosi a voi in colpa e in obbedienza ». «Non questo, non questo, sclamò il feroce, sangue, sangue e giustizia ». Il capitano, che come valoroso, e forse pentito della scena di Faenza, schifava di porre le mani sopra gente inerme e tradita, rivolgendosegli ancora a guisa di preghiera pensate al fine» soggiunse: e il cardinale Vanne : io ti comando così ».

Addormentati ne'giuramenti e nelle promesse, senz' armi, senz'apprensione si riposavano gli abitatori di Cesena, allorchè, come stuoli di tigri, calavano dalla Murata sovra essi gli Inglesi ed i Brettoni. Rifugge l'animo dallo immaginare l'orribile spettacolo, dove quanto può rabbia di nemico, anzi ira di belva, anzi furore di spirito infernale si dimostrò. Felice chi trovò nel sonno la morte, prima di mirarsi i pargoli sfracellati alle pareti, o impesi agli uncini, elespose ele figliuole disonorate e scannate sotto i proprii occhi! Risuonava nel cupo orrore della notte la terra di disperate grida e di ultimi aneliti: poi le vie corsero di sangue, e le

mura biancheggiarono di sparte cervella, e da ogni parte si dilatò l'incendio delle spogliate magioni. Non perciò si ristanno i persecutori: ma incuorati dal Legato, che « sangue sangue, affatto affatto » va loro gridando tuttavia, di casa in casa trascorrono, ed è chi giunge a ricercare con empio ferro nel ventre materno la non formata prole, e gittarne al fuoco le palpitanti viscere.

In breve, altro scampo non rimase a' fuggiaschi che la porta di Cervia. Verso colà adunque trafelante, fuori di sè, affollasi il popolo, già incalzato, già sopraggiunto alle spalle dalle fulminee spade de' Brettoni. Ma la porta stava chiusa e sprangata, e mentrechè la premura medesima impedisce d'aprirla, l'attendere arreca morte. Pur, come Dio volle, cedette essa all'immane sforzo della moltitudine disperata, e questa, come onda per rotto d'argine, traboccossi all'aperto. Ma che vale a'miseri, se fuora delle mura intorno intorno stanno altri Brettoni co' ferri levati, i quali respingono la prima onda del popolo sulla seguente, e tutte insieme le rinserrano incontro alle spade di chi le insegue alle spalle? Narrano le storie dolente caso di una povera madre. Costei, essendosi calata dalle mura per mezzo di certe funi, si accinse con un pargolo al seno a passare il fosso cupo e sanguinoso. Quivi l'innocente creatura affogò: sulla opposta sponda giaceva l'esanime spoglia del marito. La misera, orbata così in un istante di sposo e di prole, adagiò il bimbo nelle braccia paterne; poi come dissennata, scagliossi in mezzo a' nemici.

Tre di e tre notti durò lo strazio esecrando, nè verun cittadino gli sarebbe sopravvissuto, se l'Acuto,

il crudel distruttore di Faenza, commosso a pietà, non avesse mandato in sicuro mille donne, e lasciato libero ad alquanti il varco alla fuga. Nulladimeno a molte, costrette ad errare nude, di notte, colle membra ferite, in preda ad acuto freddo ed a mortale angoscia, parve più acerbo il fuggire che il restare; chè quale di esse fu veduta sconciarsi nella solitudine di nevose campagne, quale di gelo o di fame morirsi co'parti al seno. Dentro Cesena si rinvennero cinquemila corpi morti, senza gli arsi e i mangiati dai cani; sicchè il Malatesta, nel rifabbricare l'anno dopo la città, ne trovò piene le cave da grano, e piene sino all'orlo due immense cisterne, delle quali una era nella chiesa di s. Gelone, l'altra nella badía di s. Lorenzo. I pochi cittadini scampati, spogli d'averi e di affetti, e quasi altri uomini divenuti da que' di prima, trascinaronsi mendicando per le terre della Romagna; dove, chiuse le botteghe, si ordinarono di pubblico mandato solenni esequie agli estinti. Frattanto i Brettoni, che insino all'estate si trattennero nella città arsa e deserta, cambiavano a soma a soma i panni de' morti od esuli con ugual peso di paglia per farne strame ai proprii cavalli. Così trattavano l'Italia l'armi tiratevi a stipendio di Francia e d'Inghilterra! (1)

(1) Cron. miscell. di Bol. 510 (t. XVIII). — Chr. Estens. 500 (t. XV).-Ammirato, XIII. 701. segg. - Cron. Riminese, 917 (t. XV) - P. Bracciol. II. 236. —Matth. de Griff. 189 (tom. XVIII). — Ghirardacci, L. XXV. 361. — Annal. Foroliv. 189 (t. XXII). — S. Antonini Hist. tit. 22. cap. I. §. 4.

Le maggiori particolarità sono ricavate dalla cronaca di Neri di Donato (Cron. Sanese, p. 253. t. XV), e dalla lettera scritta in proposito di questo fatto da'Fiorentini al re di Francia (Ann. Mediol. p. 764. segg.; R. I. S. t. XVI).

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I. Stato dell'Italia verso il 1378. Sorgimento dei condottieri italiani. Alberico da Barbiano forma la compagnia di S. Giorgio: e va contro i Brettoni. Sua vittoria di Marino. Suo trionfo.

II. Origine e vicende della compagnia italiana della Stella.—
Il conte Lando, Giovanni Acuto e il Barbiano nella
Toscana, Romagna e Puglia.
l'Uncino.

La compagnia del

III. Le compagnie italiane rampollano. Fatti di Giovanni degli Ubaldini. — I condottieri nella guerra della Lombardia. - I Brettoni, gli Inglesi e gli Italiani nell'Umbria. Morte dell'Ubaldini.

IV. Guerra di Firenze contro il Visconti. Calata e sconfitta dell'Armagnach. Famosa ritirata dell'Acuto.

V. La nuova compagnia di S. Giorgio. Uccisione, vendetta e funerali di Boldrino da Panigale.— Ultimi fatti e morte di Giovanni Acuto.

VI. I condottieri sono inviati da un principe contro l'altro. - Gran fellonia di Giovanni da Barbiano. Di lui supplizio, e morte di Biordo e Broglia. - Gli Italiani vincono i Tedeschi. Morte di Gian Galeazzo Visconti.

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