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rente, parte in Francia nella compagnia di Alberto Scotto. Essendo stato rimesso in Lucca insieme cogli altri fuorusciti ghibellini per opera d'Uguccione, fu de'più ardenti ad acquistargliela, e de' più forti a confermargliela nella battaglia di Montecatini. Lo avevano poi rinchiuso in carcere, per cagione di certi ladronecci e omicidii commessi in Lunigiana. Di quivi il popolo lo trasse fuori, per balzarlo con un Pagano de' Quartigiani al governo della patria. Savio parlatore, accorto maneggiatore delle persone, sapeva Castruccio unire in sè ottimamente le doti militari e le civili. Primo a ferire i nemici, ad ascendere le mura, a guadare i fiumi; facile coi soldati, ed amato in modo che la sua sola presenza bastò talora a rintegrare una zuffa o sopire un tumulto; col serbare viva la guerra condusse in capo a quattro anni i cittadini a darsegli in signoria ereditaria. Quindi ogni pericolo, ogni vittoria esteriore gli furono mezzo a rassodare dentro vieppiù la sua possanza. Trecento famiglie, già aderenti a Uguccione, scacciò in bando; gli Avogadri, i Fastinelli, i Cavenzoni di fazione contraria, perseguitò allo sterminio; i Quartigiani già potenti suoi favoreggiatori ora incomodi amici, spense del tutto; e sempre col braccio de' mercenarii. Adeguò pure al piano delle case 500 torri private, impiegandone i materiali nella costruzione di una magnifica fortezza; ravvivò gli ordini della milizia nella città e nel contado; e preponendo guiderdoni, e primo d'ogni altro dandone l'esempio, la esercitò al tiro, alla corsa, alle simulate battaglie: infine di sorta seppe valersi de' sudditi e degli stipendiati, che gli

acquisti di Prato, di Pistoia, di Pontremoli e della Lunigiana in pochi anni compiuti sembravano i primi presagi di ben più alta fortuna (1).

Contro quest'uomo, che rinnovavale i terrori d'Uguccione, Firenze ordinò l'estremo di sua possa. Già essa aveva condotto ai proprii stipendii in due riprese 920 cavalli dal Friuli, 200 da Napoli, e 500 di nobilissimo sangue dalla Francia; già aveva fatto bandire il perdono a tutti gli esuli suoi, che accorressero al campo, e comandato in città un uomo per casa sotto pena della perdita del piede a chi mancasse (2). Da ultimo assoldò per capitano di guerra con 230 cavalli un Raimondo di Cardona catalano; armò dentro le mura 400 militi cittadini; riunì tutte le forze della lega guelfa; e recò il numero degli stipendiarii a 1500 cavalli.

Da lungo tempo non aveva la Toscana veduto veruno sforzo somigliante a questo, la cui spesa montava in tremila fiorini al dì. Ma la dappocaggine del Cardona, la viltà ovvero la perfidia del suo maresciallo, la pusillanimità de' cavalieri fiorentini, e la fortezza 23 7bre degli stipendiarii di Castruccio resero vana sotto Altopascio la coraggiosa ostinazione della fanteria. La

1325

(1) Nic. Tegrimi, Vita Castruccii (R. 1. S. t. XI.) — G. Vill. IX. 76.

(2) Marchionne di Coppo. L. VI. Rub. 360. — È qui il caso in cui la crudeltà della pena indica la mala osservanza della legge. E già nel 1283 durante la guerra siciliana il re di Napoli aveva intimato pe'disertori la perdita d'un piede, del sinistro s'erano Cristiani di qualunque nazione, del piè destro, s'erano Saraceni di Lucera. V. Amari, Un periodo di St.Sicil.

doc. 16. 19.

opima suppellettile del campo sconfitto, e le spoglie del contado di Firenze depredato a talento dalle soldatesche vincitrici, le soddisfecero poi grassamente, non solo delle paghe solite, ma delle doppie che Castruccio aveva loro promesso prima di venire alle mani (1).

Allora fu che i Fiorentini, costretti a mirar dalle proprie mura le corse de' pallii eseguite dai militi, dai fanti e dalle meretrici del campo inimico, perderono ogni fiducia nelle proprie forze, ed ogni inclinazione alla milizia. Due anni dopo, alla general rassegna fatta in piazza di tutta la milizia fiorentina, più non si noverarono che cento militi delle cavallate; e questi pure in breve scomparvero affatto (2). Stretta sempre più da Castruccio, la Repubblica mandò a stipendiar gente in Alemagna e in Lombardia, e a condizione d'averne aiuto di mille cavalli si concesse per dieci anni in obbedienza al primogenito del re di Na

(1) G. Vill. IX. 300. 304. 315. - Nella lettera scritta da Castruccio dopo la vittoria agli ambasciatori di Lodovico il Bavaro son riportati i nomi de' capitani fatti prigionieri. Da questi nomi si argomenterà qual parte già avessero gli oltremontani nelle nostre guerre :

<< Dom. Dorimbach, Capitaneus Theutonicorum. Dom. Wi<«< bertus de Riveroy, dom. Pabul de Hencorth et dom. Thomas «de Lorene Capitanei gentis francigene. Dom. Franciscus di«< ctus Beti de Bruneleschis et Joh, de Rossi de la Tosa nobiles « florentini. Pajenus de la Sella. Arrigus de Baveria. Dietri«< chus de Hosterich. Joh. de Ridonor. Ottolinus de Maretrem. <«< Ottolinus de Mongrasso. Hermannus de Baveria. Heufer de Forimberg. Joh. de Ragonia. Forbauher de Norimberg. An«nechinus de Lambach. Joachim de Reistan. Henricus de «Restriff. Nies de Strasborg. Rainaldus de Francia ». Verci, St. della Marca, doc. MIV.

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(2) G. Vill. X. 28.

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poli. Vi venne allora per vicario di lui Gualtiero di Brienne duca d'Atene, che pochi anni dipoi con maggiore ufficio e più aperti disegni era per aspirarvi a tirannide (1). Così un po' di sicurezza fu comprata a prezzo di quella libertà, per la quale s'era combattuto a Campaldino, alla Nievole, ad Altopascio, e s'erano patite tante discordie interne, e tanto sterminio di beni e di persone !

IV.

Più dura sorte era serbata a Padova. Piantata in luogo fertilissimo, e, attesa la vicinanza del mare, delle Alpi e dei grossi fiumi, soprammodo acconcio al commercio; piena di traffichi, di ricchezze, d'uomini, d'arme e di cavalli; signora di Bassano e di Vicenza, era questa città dopo la disfatta degli Ezelini rimasta come la maggior repubblica di Lombardia; dappoichè Milano, Parma, Pavia, Verona, Mantova, Modena e Ferrara a proprii principi, sebbene non affatto nè del continuo, obbedivano. Padova somministrava i rettori alle altre città, a Padova traevano da ogni parte i fuorusciti; e tiranni e tiranneggiati, come la fortuna li sbalestrava fuora delle patrie, colà, come in un luogo di comune salute, si posavano. Così erasi la repubblica mantenuta dal 1259 al 1311: allorchè i cittadini gonfiati dalla lunga prosperità, avendo avuto animo di negare la obbedienza all'imperatore Enrico vn, diedero occasione a Cangrande della Scala, signor di Verona, di valersi dello sdegno e delle forze di

(1) G. Vill. IX. 328. 346.

esso per assaltare e rapire loro proditoriamente Vi

cenza.

1312

Affrettaronsi i Padovani nel primo sbigottimento cagionato da cotesta perdita, affrettaronsi, dico, ad implorare perdono dall'imperatore; ma non appena lo sanno partito dalla Lombardia, che levano il comando al vicario imperiale, si riducono in libertà, e rompono guerra a Cangrande per la speranza di ritogliergli Vicenza. Prestavano mano allo Scaligero febbraio sia le squadre tedesche lasciate da Enrico vi in Lombardia, sia le grosse masnade di venturieri da Cangrande medesimo intrattenute, benchè a strazio ed a vergogna de'sudditi, in Vicenza e Verona (1). Favorivano Padova i Trivigiani, Francesco d'Este, e il Signore da Camino di lei raccomandato: ed oltre le milizie della città e del contado, conservatesi intatte per si lunga pace, molti venturieri d'ordine suo vennero condotti a larghi partiti dall'Italia, dalla Catalogna, dalla Francia, e fin dall'Inghilterra, sotto la guida d'un Beltramo di Guglielmo e d'un Guglielmo Ermanno.

Intimata adunque la guerra, la città raccolse tutte le sue forze per tirare un gran colpo: e siccome aveva imposto che ogni casa somministrasse un uomo alesercito, ossia, come allora si diceva, aveva comandato un uomo per casa, così tra gli stipendiarii, i

(1) « Hic mercenarios secum clientes, variis ortos regioni<«<bus differentisque idiomatis, stipendio magno conduxit, ex quibus subito mores, honeste vivendi modus et cultus in «patria nostra pariter cum fortuna mutati sunt. Tunc stupra <«<etc.» Ferret. Vicent. VI. 1123.

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