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Grandissimi fatti seguitavano tosto all'eccidio di Cesena, e tali, che tutta Italia e gran parte d'Europa ne ricevevano mutamento. Morto nel marzo del 1578 il papa Gregorio x1, gli aspri modi e le mal taciute minaccie del suo successore Urbano vi commuovevano i cardinali francesi a congregarsi in Fondi, ricusargli obbedienza, e proclamarlo scaduto dal trono, da lui (aggiungevano) mal acquistato e peggio retto. Quindi eleggevano antipapa sotto il nome di Clemente VII quel medesimo Roberto di Ginevra, zoppo e guercio, che ancora stillava del sangue della tradita Cesena. Da ciò un lunghissimo e miserabile scisma proveniva ; il quale, smembrando per 59 anni in più fazioni tutta la cristianità, scioglieva l'unico vincolo, che avrebbe potuto tenere insieme le molte provincie d'Italia varie di suolo, di governo, e d'intenti.

Frattanto pel possesso di Tenedo i Genovesi ed i Veneziani rompevansi quella guerra fatale, che era per ridurre i vinti in servaggio, i vincitori in rovina ; e mentrechè, pigliando la signoria di mezzo il dominio di Milano, Gian Galeazzo Visconti apparecchiava le

frodi per insignorirsi del rimanente, e poscia minacciare l'Italia colle armi e cogli inganni insieme mescolati, rumoreggiava Firenze di sanguinose discordie. Tratti dalla smania di liberarsi dalla oppressione a quella di opprimere, guelfi e ghibellini, nobili e popolani, popolani e plebei venivanvi tra loro a contesa, e trabalzandosi dagli uni agli altri il supremo potere addoppiavano sopra alle ingiurie ed agli esigli il sacco e le stragi.

Del resto Pisa, Lucca, Siena e Perugia, tuttodi lacerate dalle fazioni, tuttodi taglieggiate da' venturieri, tanto di libertà ancora possedevano quanto sarebbe bastato per farla odiare coll'aspetto de' mali che essa o tollerava o partoriva. I principi di Lombardia, mal sicuri dentro, combattuti al di fuori, guardavano con tema alla strapotenza de'Visconti ed alle ambizioni dei legati della Chiesa; e già i Carraresi signori di Padova, e gli Scaligeri signori di Verona, per quanto nemici tra loro, potevansi presagire prossimo ed ugual fine. Quetava il regno di Napoli da guerre esterne: ma nelle sue viscere era per lo contrario acerbissimamente travagliato dai pessimi portamenti della vecchia regina Giovanna 1, e dalle insolenze baronali. Poi sovrastava la vendetta, sebben tarda, della uccisione dell'innocente Andrea, e Carlo di Durazzo dalla lontana Ungheria ne apparecchiava gli stromenti.

Fra questa bufera di più tremendo avvenire raggiravansi le compagnie straniere di ventura, e sorgeva la nuova milizia italiana.

Posciachè da una parte il mal procedere de' mercenarii stranieri ebbe provato quanto fosse grande il

pericolo, e quanto poco il vantaggio dell'adoperarli, e dall'altra parte le disfatte di Parabiago, delle Scalelle e delle Mosche ebbero dato a divedere che non erano essi invincibili, e che il loro furore là solo si estendeva dove non trovava ostacoli, di ragione avrebbero i principi dovuto pensare a liberarsi dall'indegno giogo, ricreando le nazionali milizie. Ma la generosa impresa richiedeva fermezza di instituzioni, magnanimità di principe, affetto e fortezza di sudditi. Ora di tutto ciò nulla esisteva. Non mai alle nuove signorie era bastato il tempo od il coraggio per cancellare affatto le antiche forme di governo, e rifonderle colle nuove in un sol corpo. Nella medesima città, dove un Bernabò Visconti tanto padroneggiava da far castrare o gettare in pasto a'cani chi egli voleva, accanto ai consiglieri, ai favoriti ed ai cagnotti del sire, stavano ancora in piè le antiche dignità della spenta repubblica, il podestà, il capitano, il consiglio, i consoli de' mercanti, vani simulacri di cosa morta. Di qui proveniva per que' principi la necessità di sovvenire alla conservazione dello Stato con altri mezzi che coi proprii naturali: perchè servirsi delle antiche instituzioni per assecurare le recenti non volevano, e sarebbe stato assurdo; servirsi delle nuove non riputavano conveniente, per non tentarne l'efficacia, primachè esse non fossero ben bene rassodate. Ciò posto, sarebbe stato quasi impossibile di sostituire italiane milizie alle straniere di ventura, se l'accorgimento e il valore de' privati non avesse sopperito all'ignavia de' principi.

Proprio degli Italiani è aprirsi incognite vie, of nelle appena conosciute arditamente entrare, e, tras

correndo gli spazii già trovati, a nuove cose con gigantesco animo salire. Non appena la sorte dell'Italia stette nelle compagnie oltramontane, che il vivere di ventura venne in desiderio per sete di guadagno alla plebe, per sete di guadagno e d'imperio ai gentiluomini. Però, non peritandosi ancora ad assumere sulle proprie spalle tutta un'impresa, chi di loro s'acconciava partitamente ai servigi di questo o di quel signore, chi s'intrometteva nelle compagnie straniere, dove la ribaldaglia era tutta italiana e dal mestiere di saccardo levavasi via via a quello di fante ben armato od anche di cavaliero. Quivi adunque gli Italiani mescolati alle barbute tedesche oppure alle lancie inglesi apparavano da garzoncelli la milizia, e senza proprio nome pigliavano parte nelle malnate loro fazioni; quivi riunivansi tacitamente in bande venturiere di fanti e di balestrieri. Nè solo in Italia: ma in quella Francia, donde erano venute le compagnie bianche e le brettone, quanti erano mai i giovani italiani, che cupidi di fama e di ricchezze vi si affaticavano nel mestiere del soldo! (1) Insomma a tal punto era arrivata la cosa, che già verso il 1375 Nicola e Pietro e Ranuccio da Farnese, e Rodolfo da Camerino, e Luchino dal Verme, ed i figliuoli di Castruccio, e i Malatesta, e gli Ubaldini servivano già chi con cento, chi con cinquanta lancie gli Stati d'Italia. Restava che un condottiero italiano raccogliesse tutti questi sforzi parziali in un solo, e volgendoli in giusta battaglia contro le compagnie straniere, dimostrasse colla vittoria, che in Italia erano armi pro

(1) Nel 1362 il re di Francia assediava Calais con 1500 cavalli e 3000 fanti quasi tutti Lombardi. M. Vill. III. 25.

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