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prie per numero e per valore sufficienti. Quest'opera fu compita da Alberico da Barbiano.

Giovinetto di 28 anni, colla fama di un animo invitto e generoso, e colla potenza ricavata dai proprii dominii di Cunio, Lugo, Barbiano e Zagonara in Romagna, aveva egli rizzato bandiera di ventura (1). Componevano l'egregia brigata amici e coetanei di lui, sudditi affezionati e uomini scelti delle masnade, esperti guerrieri, insomma il fiore della gioventù di quella bellicosa contrada: nè Guido d'Asciano vi mancava, il prode vincitore dei Brettoni nel certame di Bologna (2). Dapprima il numero di tutti costoro fu di 200 lancie, e con esse Alberico servì la Chiesa e cooperò suo malgrado alla distruzione di Cesena. Poscia, essendosi avviato verso la Lombardia a'servigi de' Visconti, crebbe la schiera ad 800 lancie, vi prepose per maresciallo Francesco da Coreggio, e la intitolò Compagnia di S. Giorgio. Corse poi fama presso ai posteri, che per deliberazione espressa di Alberico niuno che italiano non fosse poteva venire accettato sotto i suoi stendardi, ed anzi ognuno prima d'entrarvi doveva giurare odio ed inimicizia immortale verso gli stranieri (3).

Del resto la lega de'signori di Lombardia aveva elevato grandissimi ostacoli per impedire ad Alberico da Barbiano di soccorrere i Visconti. Però,

(1) Ghirardacci, St. di Bol. L. XXV. 361. - Cron. misc. di Bol. p. 510 (t. XVIII). — Cron. Riminese, p. 921 (t. XV). (2) Dall'Archivio delle Riformaz. in Firenze, cl. XIII. dist. II. n. 11. f. 10.

(3) Barellii, de Alberico cognom. Magno, nota 28 (Milano, 1782).

mentre egli invano si studia di spuntare Verona, e di qua e di là si dibatte per procedere avanti, eccogli frequenti messi e calde lettere di papa Urbano, che lo scongiura di tornare addietro, a difensione della Chiesa, a difensione dell'Italia, contro i Brettoni, che postisi agli stipendii de' cardinali scismatici, hanno disertato Bolsena, rotto i Romani in battaglia, e già s'accingono ad innalzare per forza sulla cattedra di s. Pietro l'antipapa Clemente (1).

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Infiammavano il condottiero all'opera generosa nobili sensi di amor patrio, sdegno delle nefandezze straniere, fuoco di gioventù, desiderio di gloria, e le preghiere e le esortazioni di quella vergine magnanima, che già aveva confortato l'Acuto ad altra santa spedizione. « In questo fatto non si può altro» scriveva ella ad Alberico e agli altri capitani che ⚫ guadagnare o viva o muoia; se morite, guadagnate « vita eterna, e siete posti in luogo sicuro e stabile; « e se campate, avete fatto sacrificio di voi a Dio vo« lontariamente, e la sostanzia potrete tenere con « buona coscienza...... Ora è il tempo de'martiri « novelli: voi siete i primi che avete dato il sangue : « quanto è il frutto che voi riceverete? È vita eterna, <«< che è un frutto infinito. E che sono tutte queste « fatiche a rispetto di quel sommo bene?. . . . . » Poi li avverte a preparare l'animo mediante i sacramenti, e a non bramare tanto la roba, che essa diventi impedimento al vincere. «Sapete che per questo molti « ne son rimasi perdenti; e però la verità vuole, che « acciò che questo caso non divenga a voi, voi il di

(1) Cron. di Pisa, p. 1074. — Cron. Sanese, 259. — Annal. Mediol. 772 (t. XVI). — Cron. misc. di Bol, 520,

«ciate e facciatene avvisati gli altri, che sono sotto a la vostra governazione..... Faremo come Moisè,

che il popolo combatteva e Moisè orava, e mentre« che egli orava, il popolo vinceva. Così faremo noi, « purchè la nostra orazione gli sia grata e piacevole. « Piacciavi di leggere questa lettera almeno voi e gli altri caporali. Gesù dolce! Gesù amore!» (4).

A questi annunzii, a queste supplicazioni, Alberico abbandonava senza indugio le imprese di Lombardia, e deliberato a cimentare la prima volta contro gli stranieri una compagnia tutta italiana, recavasi in fretta verso Roma. Nè così tosto vi ebbe ricevuto dalle mani dell'atterrito Urbano il vessillo e la papale benedizione, ch'esci dalle mura a ingaggiare battaglia, seguitato lunga pezza per istrada da gran folla di popolo incerto e silenzioso tra speranza e timore.

Giunto a Marino dodici miglia da Roma a vista dei nemici, Alberico, veggendo il sole presso al tramonto e le genti affaticate dal cammino, le accampò in ordine di battaglia a cielo scoperto. Al primo spuntare dell'aurora le distribui in due schiere, l'una sotto di sè, l'altra sotto di Galeazzo de' Pepoli, e fatto dare fiato alle trombe con bellissima disposizione le avviò al combattimento. Dalla loro parte già s'erano mossi ad 28 aprile incontrarlo i Brettoni, guidati in tre squadroni da Piero di Sagra, Bernardo della Sala e monsignor di Mongioia: sicchè in breve lo spazio tra i due eserciti scompari. Pugnavano per gli stranieri numero, esperienza, fama, disciplina e qualità delle armi; pugna

(1) S. Catterina cit. lett. 219. - La data precisa di questa lettera è un po' incerta. Noi la crediamo scritta dopo qualche scaramuccia antecedente alla battaglia di Marino.

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vano per gli Italiani giusta causa, buon volere, e risoluzione di vincere non per se stessi, ma per una patria. Nè la fortuna negò corona di vittoria al generoso proposito. Il primo ad assalire fu Piero di Sagra. Questi investi con tale impeto la squadra del Pepoli, che essa dopo avere alquanto balenato si disordinò ma tosto alle riscosse sopraggiungeva il Barbiano, che, riurtando ferocemente il Sagra, lo sgominava e faceva prigione, e, rotto quindi e trapassato anche il secondo squadrone, rovesciavasi per ultimo su quello comandato dal Mongioia. Aspra tenzone fu quivi combattuta; avvegnachè tutto il risultato della zuffa, anzi pure le sorti dell'italica civiltà, anzi, per così dire, quelle del cristianesimo vi fossero raccolte. Alla fine il senno di Alberico, la costanza, e il coraggio della compagnia di S. Giorgio restarono superiori alla brutale bravura de' Brettoni. Dopo cinque ore di ostinata battaglia, Alberico si rivolse a Roma trionfante e lieto, quantunque pur nell'ebbrezza della vittoria non egli certo s'avvedesse d'avere a Marino posto radice a una nuova e nazionale milizia (1).

Quella grande città, che da tanti secoli non aveva festeggiato che la vanitosa pompa di principi stranieri od anche nemici, esultò questa volta di propria gloria e vantaggio, mirando passarsi dinanzi i vincitori scintillanti di gioia, e trascinantisi dietro le conquistate

(1) A. Gataro, St. Padov. 277 (t. XVII). — Chron. Estens. 503 (t. XV). - Cron. Sanese, 263. - Cron. Riminese, 920. Ghirardacci, XXV. 378. Ann. Foroliv. 190 (t. XXII). Raynald. Ann. Eccles. A. 1379. §. 24. 25. - Collenuccio, Compendio della St. di Napoli, L. V. Barellii, de Alberico vu cognom. Magno. Note (Milano 1782).

insegne, e i cavalli e le armi predate, e i capitani vinti in catene. Dissesi poscia, che se gli Italiani proseguendo la vittoria si fossero di buon passo spinti sopra Anagni, forse riuscivano a spegnere d'un colpo le compagnie straniere e lo scisma d'occidente. Comechè sia la cosa, il papa rendè solenni grazie al Cielo della fausta giornata, processionando a piè nudi, e creò Alberico cavaliere, e lo donò solennemente di una insegna, nella quale era dipinta una croce rossa col motto: Italia liberata dai barbari. Questa insegna si perpetuò con molta gloria ne' discendenti di Alberico. Quindi il papa si valse di lui per assoggettare alla Chiesa le terre rubellate.

I feriti dell'esercito italiano per pubblico decreto della città di Roma vennero giusta il suggerimento di santa Caterina, distribuiti fra le più ricche famiglie, e con gran diligenza curati (1). I Brettoni qua e là dispersi errarono ancora lungo tempo dopo la battaglia di Marino, pigliando soldo a piccole squadre, o intromettendosi a uomo a uomo nelle compagnie italiane. Quanto a'loro capi, soggiungeremo, che il Maléstroit dalle superbe risposte mancava tre anni dipoi per malattia oscuramente a Napoli (2); il Bude, e Bernardo della Sala lasciavano la vita entrambi in Francia, quegli qual masnadiero per man d'un carnefice in Avignone, questi nelle fazioni civili degli Armagnacchi (3). Tale fu la fine di quelle schiere, (1) S. Caterina, lett. 196.

(2) Froissart, t. II. c. 36.

(3) Si ricava questo dalla lettera di Iacopo del Verme, nel Giulini, Continuaz. I. 74. p. 536.

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