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brevi parole. Stando pe' Veronesi capitano generale Cortesia da Serego, stando pe' Padovani nel medesimo ufficio Giovanni d'Azzo degli Ubaldini, si fe' giornata alle Brentelle. Rotte le prime schiere ostili, Cortesia credendosi di avere in pugno la vittoria, s'abbandonò a inseguire i fuggiaschi; ma nel più bello ecco 25 giug. l'Ubaldini sbucar improvviso da' suoi agguati e rivolgergli il sognato trionfo in una turpe sconfitta. Si affrettò il signor di Verona ad assoldare per suo riparo il conte Lucio Lando col seguito di 500 lancie e 400 fanti; ma non fu men presto Francesco da Carrara signore di Padova ad allontanare costui da quelle insegne, mediante il dono di diecimila fiorini.

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S'aggiunse alle prosperità del Carrarese l'arrivo di Giovanni Acuto da lui stipendiato per suo capitano generale con 500 cavalli e 600 arcieri tutti inglesi : sicchè quegli ne montò in tanta audacia da non temer di mandare la soldatesca ad insultar il nemico fin sotto Verona. Era il paese avverso, e stante il rigore della stagione deserto d'uomini e di vittovaglie: oltre a ciò, la troppa fretta o temerità degli assalitori aveva impedito loro di badare ad un potente esercito che stava alle loro spalle trincerato in un fortissimo sito. Perlocchè la temerità de' Padovani sarebbe stata scontata a gravissimo prezzo, se nell'Acuto non fosse stato tanto ingegno a trarli fuori dal pericolo, quanta imprudenza avevano essi avuta a entrarvi. Fatto montare a cavallo tutti i saccardi, ordinò loro di assalire i nemici, e, appena mescolate le mani, finger la fuga. Detto fatto; la troppa smania di vineere trasse i Veronesi dall'insuperabile sito: l'Acuto colse il momento e s'aperse l'adito alla ritirata ; l'in

seguirono i nemici: egli per lungo tratto attese a camminare di buon passo; alla fine, quando se li senti troppo vicini, si schierò lungo il ciglio d'un fosso presso Castelbaldo al Castagnaro. Arrivati i nemici, a colpi di bombarde e di saette li respinse: ciò li scoraggi, oltrecchè il frettoloso viaggio li aveva stancati: allora egli li investe da ogni parte molto arditamente, e quasi senza fatica li sbaraglia (1).

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(1) Minerbetti, A. 1386. c. 23. Chr. Estens. 515 (t. XV). - A. Gataro, 566. e segg. (t. XVII).

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La forma dei due eserciti ne fa conoscere le condizioni, nelle quali si trovava allora la milizia italiana. Racconta il Gataro (loc cit.), che l'esercito di Padova era diviso in otto schiere: 1a Giovanni Acuto con 500 cavalli e 600 arcieri tutti inglesi. — 2a Giovanni degli Ubaldini con 1000 cavalli.— 3a Giovanni da Pietramala con 1000 cavalli. 4a Ugolotto Biancardo con 800 cavalli 5a Francesco Novello con 1500 cavalli. - 6a Broglia e Brandolino con 500 cavalli. - 7a Biordo e Balestrazzo con 600 cavalli. — 8a Filippo da Pisa con 1000 cavalli. — Questa era alla guardia delle bandiere, e con essa erano anche i consiglieri del campo. Da ultimo venivano mille fanti provvigionati, spartiti in due bande, sotto il Cermisone da Parma.

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L'esercito di Verona era distinto in dodici schiere. Giovanni Ordelaffi, capitano del campo, con 1000 cavalli. — 2a Ostasio da Polenta con 1500 cavalli.-3a Ugolino dal Verme con 500 cavalli.-4a Il vecchio Benetto da Marcesana con 800 cavalli.- 5 Il conte di Erre con 800 cavalli. - 6a Martino da Besuzuolo con 400 cavalli.a Francesco da Sassuolo con 800 cavalli. 8a Marcoardo dalla Rocca con 400 cavalli. — 9a Francesco Visconti con 300 cavalli. 10a Taddeo dal Verme con 600 cavalli.-11a Giovanni dal Garzo e Ludovico Cantello con 500 cavalli — 12a Raimondo Resta e Frignano da Sesso con 1800 cavalli. Venivano dipoi 1000 fanti palvesati, divisi in due schiere, e 1600 arcieri e balestrieri tra forestieri e del paese. Marciava alla coda la massa del popolo sotto il pennone

Poco stante aggiungeva fomento alla guerra, di per se stessa già troppo crudele, Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, che essendosi alleato col Carrarese, gli mandava in aiuto l'Ubaldini ed Ugolotto Biancardo. Ma ciò appunto, atteso l'antico rancore tra l'Acuto ed il Visconti, era a colui cagione per farlo partire dai servigi di Padova, e passare in Toscana a quelli di Firenze. Nel medesimo tempo il conte Lucio Lando e lacopo del Verme correvano ad ardere e rubare il territorio di Bologna in vendetta d'esservi stati dipinti per traditori impiccati capopiè. Ma essendosi poi Iacopo ridotto di nuovo agli stipendii del signore 27 febb. di Verona, il conte Lando veniva rotto dai Bolognesi presso Forlì (1). Più duro travaglio apparecchiava

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della Scala, computata in 16,000 persone. Terminato lo scompartimento e fatte le schiere, tutti i condottieri si raccolsero presso il capitano del campo, che li esortò a combattere virilmente ed a non dare quartiere.

Da questo passo abbastanza si scorge, come a riserva dell'Acuto e di due o tre altri, tutti i condottieri erano già italiani. Bensì sotto di essi combattevano molti stranieri. Infatti tra i prigioni di maggior nome ricordati dal Cronachista Estense (p. 515), 48 furono nativi di diverse parti d'Italia, 14 Veronesi e 18 oltremontani. Vuolsi oltre a ciò porre mente al costume invalso allora di spartire l'esercito pressochè in tante squadre quanti erano i condottieri. Ciò succedeva sia perchè tra ciascun condottiero e il supremo capitano non era interposto verun altro grado di comando, sia perchè le vaste combinazioni tattiche erano allora come sconosciute, e l'angustia del sito e la necessità di spianare prima il terreno, impediva alle grandi masse d'azzuffarsi tra loro. Ond'è che la battaglia si riduceva ad una serie di scontri regolari di schiere.

(1) Cron, misc. di Bol. 529. - Matth. de Griffonib. 197.Minerbetti, A. 1387. c. XXII.

all'Umbria ed alla Toscana Bernardo della Sala, il famoso condottiero de'Brettoni in Italia.

Dopo varie fatiche e vicende guerresche, aveva costui in compagnia di Rinaldo Orsini guerreggiato la città di Viterbo e sconfitto il Beltost capitano inglese ai servigi del papa: quindi col favore dei fuorusciti perugini occupò il castello di Carraia. Tosto v'accorsero ad unirglisi il tedesco Everardo della Campana, e Guido d'Asciano, quegli con 300, questi con 1000 cavalli (1). Così diventati terribili, depredarono senza ostacoli i contadi di Agobbio e di Città di Castello, e riscossero una ricca taglia dalle città della Toscana al patto di non tornarvi fra 14 mesi. Ma i patti, se acquetano i deboli, non frenano gli oppressori. Tor- maggio naronvi l'anno dopo insieme col Beltost, di vinto e nemico divenuto loro alleato e complice, ed oltre i soliti presenti, levarono una nuova taglia di 54 mila fiorini dai Comuni di Siena, Lucca, e Pisa (2). Ciò fatto, non senza contaminare i loro passi di stragi e di devastazioni, si avviarono per accompagnare a Napoli il sommo pontefice.

Respirò la Toscana al vederli partiti; ma breve fu quel respiro. I venturieri, nel rammemorare per via la sicura e gioconda vita che vi avevano condotta, furono presi da tanta vaghezza di tornarvi, che senza più abbandonano il papa e l'impresa di Napoli, rientrano in Cortona, e chiamanvi a comandarli Giovanni Acuto. Trovavasi per avventura verso quelle parti

(1) Minerbelti, A. 1387. c. XIII. XIV. XXVI. XXVIII. XXXVI (Script. Etrusc, t. II).

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(2) Minerbetti, A. 1388. c. V. VI. — Ann. Sanesi, 389. segg. (t. XIX). Boninc. Ann. Miniat. 52.

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colla sua compagnia Carlo figliuolo di Bernabò Visconti; il quale essendo stato privato tre anni innanzi di padre e di signoria dalla perfidia del cugino Gian Galeazzo, s'era dato alla professione di condottiero. Questi pure non isdegnò di far causa comune coi venturieri raccolti a Cortona: e tutti insieme in numero di 4000 cavalli campeggiarono Foligno ed altre terre dell'Umbria e della Marca (1). Però la troppa facilità degli acquisti fu cagione per cui tutta questa sì gran moltitudine di armati prestamente si sciogliesse: l'Acuto passò nel regno in servigio del re Ladislao, presso il quale militava altresì Alberico da Barbiano; ma in capo a poche settimane si ridusse di nuovo colle sue genti nell'Umbria, e di nuovo, essendovisi gennaio congiunto a Corrado Lando ed a Bernardo della Sala, con tal fortuna saccheggiò i dominii di Siena e di Firenze, che nella divisione della preda furono da essi vendute all'incanto ben quindici centinaia di buoi (2).

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Frattanto moriva, benchè in verdissima età, Giovanni degli Ubaldini, capitano il più sperimentato dei suoi di, per testimonianza del medesimo Acuto; e la sua morte, colpa de'tempi e degli uomini, veniva attribuita à veleno, quasichè Firenze sua naturale nemica avesse voluto con quel mezzo liberarsi ad un tratto dalla continua apprensione di trame e di assalti. Nel medesimo tempo, per effetto delle maravigliose fatiche e viaggi di Francesco Novello da Carrara,

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(1) P. Bracciol. 244.- Boninc. Ann. Miniat. 53.– Cron, di Pisa, 1084 (t. XV). - Minerbetti, A. 1388 c. XII.

(2) Minerbetti, A. 1389. c. I. II. IX. XIV. - Giornal. Napolet. 1058.

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