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1327

mune di Bologna, in conseguenza di una grandissima rotta datagli a Monteveglio dalle squadre oltremonfebbraio tane de' principi di Lombardia, a quasi unanime suffragio aveva giurato obbedienza alla Chiesa, e ricevutone guarnigione di 800 cavalli stipendiati (1). Così ne' Comuni d'Italia già si fiorenti e bellicosi vedevasi via via succedere alla milizia cittadina la mercenaria, alla indipendenza il servaggio, alla vita la morte.

VI.

Ma quali erano frattanto verso chi li pagava i portamenti di cotesti mercenarii, che stavano per introdurre una nuova milizia nell'Italia? Quando la guerra diventa mestiere, e la bravura si compra e si vende, chi più dà più ottiene: fedeltà, onore, virtù, ufficio

1331, sono riportati alla nota IV, per gentilezza del Prof. Francesco Bonaini, che ce ne fece libero dono. In essi vengono creati alcuni soprastanti alle masnade: fissato il numero e il prezzo de' cavalli, che deve avere sia il donzello, sia il milite, sia il banderaio: antivenute le false poste e gli altri inganni: stabilite le paghe deʼnotai e altri officiali alle condotte : commessa la giurisdizione sulle masnade, quanto alle quistioni civili, ai soprastanti suddetti, quanto ai malefizii ossieno reati, al Capitano del popolo: fatta distinzione tra stipendiarii italiani e stranieri: determinati i casi e i modi delle emende ossia dei compensi da darsi per causa dei cavalli morti o danneggiati in servigio pubblico: vietato l'assentarsi, e il vendere, l'impegnare e il prestare qualsiasi cavallo descritto: impedita l'intrinsichezza tra gli stipendiarii e i cittadini: comandate due mostre generali di tutti gli stipendiarii in ciascun anno; esentate le masnade dalle gabelle d'entrata.

(1) Cron. miscell. di Bol. p. 343. (R. I. S. t. XVIII.) — G. Vill. IX. 321. — Bonifac. de Moran. Chr. Mutin. p. 109. (R. J. S. t. XI.)

di suddito, eroismo di cittadino sono nomi ignoti o cose strane. Guai agli Stati che non piantano le loro basi sopra forze proprie! Que' conestabili tedeschi e borgognoni, che per un poco di denaro davano vinta a Castruccio la giornata d'Altopascio, per maggior somma ricevuta da' nemici congiuravano di ucciderlo (1). Que' mercenarii che Firenze e Padova conducevano a prezzo dal Friuli e dall'Inghilterra contro Castruccio e Cangrande, non erano lenti a tradire l'una e l'altra, tostochè si offeriva ad essi occasione di più ricco guadagno (2). Mille Tedeschi, di quelli a. 1315 di Enrico vi, dopo avere in Genova per paga aiutato i Guelfi contro i Ghibellini ed i Ghibellini contro i Guelfi, pigliato il pretesto di certi loro crediti, facevano empito sopra la città, vi uccidevano 500 persone, altre ne ritenevano in ostaggio, nè prima le lasciavano in libertà che dopo averne ricavata una taglia di 17 mila fiorini (3). Queste erano le prime insolenze dei venturieri in Italia nel XIV secolo. Molto più dure prove erano serbate ai signori di Milano. Non così tosto Matteo Visconti ne era stato creato A. 1311 vicario imperiale, che s'era affrettato a circondarsi di buone squadre al soldo, siccome di un sicurissimo schermo contro gli umori interni, e gli assalti esteriori de' Torriani fuorusciti, del papa e del re di Napoli. Alla morte di Enrico VII, un conte di Salibrun, in fama di prode e nobilissimo guerriero,

(1) G. Vill. IX. 332.

(2) Alb. Mussat. De Gest. Ital. L. IV. R. 3. IX. 207.

(3) Guil. Ventur. Mem, Ast. c. 90.

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venne da Matteo preposto al governo di tutte le masnade colla paga di 500 cavalli. Un dì, essendosi avuta vista del nemico, il Podestà ordinò al conte di ritirarsi in un luogo forte, e fermarsi finchè arrivasse il grosso dell'esercito ma il conte, protestando che le sue insegne non erano use a nascondersi in faccia al nemico, si ostinò a procedere innanzi e attaccarsi con esso. Vittima di sua caparbietà, vi rimase egli estinto: ma già si scorgeva quale obbedienza era lecito sperare da gente siffatta (1).

Morto il Salibrun, restò al comando degli stipendiarii Marco Visconti, giovine forte, animoso, di far soldatesco; il quale con molta fama e bravura li capitano nelle guerre contro Genova, contro Asti, contro i vicarii angioini in Piemonte, e contro l'esercito della lega guelfa in Lombardia. Col braccio di cotesta gente Matteo di lui genitore distese il dominio sopra Pavia, Piacenza, Lodi, Bergamo, Novara, Alessandria, Como e Tortona, e nella vacanza dell'impero si fece acclamare perpetuo signore di Milano, e sfidò la crociata e gli anatemi di papa Giovanni xxã. Alla morte di Matteo, il figliuolo di lui primogenito Galeazzo corse con quelle squadre le vie di Milano, e se ne fece eleggere quasi per forza Capitano generale (2). Ma colà appunto dov' ei credeva riposto il nerbo della sua potenza, se ne celava il rovinoso tarlo.

Cugino a Galeazzo era un Lodrisio Visconti, di cui A. 1322 un uomo più simile a Catilina non troveresti nelle storie.

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Costui, quanto vicino al potere, tanto più esagitato dalla rabbia di non possederlo e dalla smania di conseguirlo, congiurò colla nobiltà milanese di balzare dal seggio Galeazzo. Cominciò dall'acquistarsene con pecunia e promesse le masnade; il legato della Chiesa e gli esuli guelfi accampati sulle rive dell'Adda gli prestarono favori e denari: il popolo, straziato dalle prestazioni personali e reali, e da una quadruplice imposta, gli diè motivo di velare di pubblico bene il privato intento. Insomma, quando Galeazzo sel pensa meno, le masnade tedesche levano ribellione, escludonlo 8 9bre dalla città, e creanvi capitano un conestabile Borgognone. Le spoglie di Monza abbandonata per tre di alla avara ferocia e lascivia loro, pagarono largamente quel servigio (4). Così stette lo Stato in balia ai soldati stranieri ed a' patrizii ribelli. Ma in capo a un mese Lodrisio si accorse, che era assai meglio obbedire a un solo che a mille; e tosto instigò con maggiori lusinghe i mercenarii a disfare il malfatto. Nè questi irritrosirono al secondo tradimento; sicchè come aveano tolto la signoria a Galeazzo Visconti, con non minore facilità gliela ridiedero.

1322

Ciò non per tanto non cessò ne'mercenarii viscontei il prurito delle defezioni. L'anno dopo, approssimandosi l'esercito della Chiesa ad assediare Milano, s'in- A. 1323 dussero per certa somma di denaro a promettere al Legato di tradire e far prigione il proprio signore; e già occupata la corte e gli aditi del palagio, erano sul punto d'invaderlo, quando sopraggiunse a disper

(4) Boninc. Morig. Chr. Modæt. II. 22. III. 7. 11. 12.- Manip. flor. c. 361. G. Vill. IX. 179.

derli Marco Visconti colle milizie delle città amiche. Pure fu uopo concedere assoluto perdono a tutti i colpevoli (1); posciacchè a tale erano già pervenuti questi venturieri, che vincendo tutto ottenevano, vinti non potevano venir castigati. Galeazzo, affine di mettere un buon riparo alla loro arroganza, chiese ed impetrò a soldo 600 cavalli da Lodovico il Bavaro eletto re di Germania,

Nè miglior disciplina o fede di que' dentro mostravano i venturieri del campo assediatore: anzi ora tu li avresti veduti inclinare segretamente alla fazione ghibellina de' Visconti, ora dividersi per nazioni, e Tedeschi, Guaschi, Provenzali e Borgognoni insorgere tra loro a sangue e a zuffa; e questi, impazienti dell'inopia e delle infermità, fuggire a schiera fatta dentro Monza, e quelli entrare in Milano a bandiere spiegate, e consegnare per sopraggiunta al nemico le terre commesse loro in custodia (2). Marco Visconti medesimo, ancorchè in grandissima stima e affetto presso tutti, dovè mirare nel proprio campo una terribile dissensione tra i suoi soldati dall'alta e quei della bassa Germania, a motivo delle maggiori paghe godute da'primi: per conclusione della quale ben 500 uomini si partirono di un fiato chi per ritornare in patria, chi per seguitare le insegne nemiche della Chiesa. Quando poi Marco ebbe vinto a Vaprio in febbraio giusta battaglia gli Ecclesiastici, e fattovi prigione Enrico di Fiandra loro capitano, costui non solo tro

1324

(1) Boninc. Morig. Chr. Modet. III. c. 14. 21. (R. I. S. t. XII.)

(2) Boninc. Morig. III. 18. 19. 20. G. Vill. IX. 211.

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