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nove anni di stenti una miserabile signoria. Or che essere Atene al paragone di Milano, unico emporio, dove scendono le infinite ricchezze dell'ubertosa contrada? Or su via: alla vittoria ed ai piaceri invitarli ».

Con uomini siffatti non era mestieri di troppi sforzi per volgerli a quell'impresa, verso la quale, oltre la A.1339 speranza de' diletti e del bottino, quasi la necessità li sospingeva (1). Detto fatto, pigliano le armi, ed escono da Vicenza. Per egual cupidigia s'accozzano ad essi nel viaggio bande a cavallo oltremontane, masnade a piè di fuorusciti e ribaldi, ed altri compagni sopravvengono dalle Alpi Retiche, ed altri si partono apposta dal servigio de' signori vicini: infine pochi giorni sono trascorsi, e già il numero di tutti monta a 2,500 cavalli, 800 fanti e 200 balestrieri, uomini per la più parte terribili d'aspetto, di grande statura, agguerritissimi, e nativi de' luoghi posti tra la Germania e la Francia, che vengono ora compresi nel nome di Svizzera. Costoro, tostochè si videro in numero sufficiente, assunsero il titolo di Compagnia di S. Giorgio, e ne diedero comando a Lodrisio Visconti suddetto, ad un Rinaldo Giver detto il Malerba, ad un conte Lando, e ad un duca Guarnieri di Urslingen. Ciò fatto, varcano l'Adige, e, lasciata Verona a man destra, gettansi sul Bresciano. Tra

(1) Galv. Flamm, De Gest. Azon. Opusc. p. 1022 (t. XII). -Boninc. Morig. Chr. Modet. IV. 2. Cortus. Hist. VII. 20. G. Vill. XI. 88. 96. - Ist. Pistolesi p. 475 (t. XI).— Petr. Azar. Chr. c. VIII. 315. - Giulini, Contin. St. di Mil. L. 65. p. 357. 374. Annal. Mediol. c. 109 (t. XVI). Cavallero, Racconto istorico della celebre vittoria di Parabiago (Milano, 1745). — Fragm. Rom. hist. L. I. c. IX. (Murat. Ant. m. æ. t. III).

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9 febbr. versano quindi il Bergamasco, passano l'Adda presso Rivolta, essendo fuggito al loro approssimarsi chi la difendeva, e pernottano a Sesto di Monza poco più di sei miglia discosto da Milano.

Di colà Lodrisio li condusse in gran fretta verso il contado del Seprio, sia per unirsi alle schiere calantisi da Bellinzona, sia per risuscitare certi diritti da lui pretesi su quella contrada, e levarne gente e denaro. Asprissimo correva il verno per nevi e gelo ma di che ostacolo potevano essere mai le inclemenze della stagione a gente disperata, che muoveva alla conquista della più ricca città della Lombardia? E già sentiresti nel viaggio i soldati ed i capi distribuirsene anticipatamente tra loro gli ori, le suppellettili, i poderi, e le persone; e stabilire di ridurre la città a colonia tedesca; serbare i contadini alla cultura de' campi; gli altri disperdere e ridurre in servitù.

Precedeva fuggendo i passi della compagnia di S. Giorgio una moltitudine di gente seminuda, qual trascinando a mano i pargoli, qual sulle schiene portando le cose più care, e tutta con vasto spettacolo di miseria accorreva a porsi in salvo nei luoghi forti. Milano in breve se ne empi di maniera, che generovvisi la carestia, e beato chi vi potè avere a pranzo un po' di pane inferigno! Del resto da lunga mano Azzo Visconti aveva presentito quell'assalto ostile, nè pretermesso alcuno officio di provvido signore e di prudente guerriero. Eccitate da lui la cavalleria e la fanteria della città, avevano preso le armi: le masnade che stavano a guardia delle terre lontane, erano state chiamate dentro; i signori d' Este, di

Mantova, di Saluzzo, il patriarca d'Aquileia, i principi di Savoia, i Comuni di Genova e di Bologna da lui pregati instantemente, infine l'istesso Mastino della Scala, che per mostrarsi innocente di quella smossa d'arme s'era affrettato a notificargliela, gli avevano spedito non dispregevoli aiuti. Come ogni cosa fu pronta, Luchino, zio d'Azzo, uscì da Milano nell'istante fissato dall'astrologo con tremila cavalli, diecimila fanti, e fermo proposito di venire a giornata.

III.

Erasi frattanto Lodrisio molto velocemente condotto nel Seprio. Quivi appena giunto, si era raso la barba che aveva giurato nodrire intatta, finchè non venisse redintegrato ne' suoi dritti, aveva fortificato Legnano, e a guisa di padrone imposto al contado non leggieri tributi e tolte. Verso Legnano adunque Luchino menò le sue genti: ma venendo impedito dalla gran neve di accamparle all'aperto, spartille in sei o sette villaggi poco lungi dal nemico; talchè il nerbo dell'esercito posossi in Nerviano, il retroguardo a Ro, e la vanguardia composta di 800 cavalli e 2000 fanti, fu alloggiata a Parabiago.

Quella sera stessa Lodrisio radunò a parlamento i caporali della compagnia, e propose d'assaltare senza dimora i nemici che, stanchi e confidati nell'asprezza della stagione e nel proprio numero, dormivano certamente a mala guardia: «ogni indugio essere evidentemente nocivo ad essi, utile a' Milanesi: il combattere parere adunque, non che opportuno, necessario. Approvato il partito, raccolse in gran silenzio le squadre, e al buio della notte, fatta più torbida

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da un folto nevazio, le accostò a Parabiago. Le grida degli assaliti e dei morenti avvertirono i Milanesi prima del danno che del pericolo. Chi rimase, fece disperata difesa fino a sesta. Ciò fatto, i venturieri, coll'impeto che dà la vittoria, si avviarono verso Nerviano.

Passato Canegrate, s'abbatterono in Luchino che 21 febb.al rumore dello scempio di Parabiago, sopraggiungeva con tutto l'esercito a far battaglia; e di subito, abbassate le lancie e tesi gli archi e le balestre, l'un esercito e l'altro a gara si azzuffarono. Infiammava i Lodrisiani la bramosía della preda, la recente vittoria, la disperazione del proprio stato; rinfrancava i Milanesi l'onore e la salute propria e della patria; e sopra tutti erano accesi di tali sensi parecchi nobili garzoni che Luchino, e poco prima e allora eziandio, aveva creato cavalieri: le bande poi alleate e gli stipendiarii d'Azzo Visconti venivano scaldati a incorrotta difesa dalla propria riputazione e dalla strage de' compagni. Diedero dentro primamente que' di Lodrisio, gridando San Giorgio: sostennero l'urto i Milanesi e i Tedeschi di Luchino, gridando S. Ambrogio, e Cavalieri d' Enrico (1). Sventolava da entrambe le parti l'insegna della vipera; ed erano pure cugini i capitani de' due eserciti; e cento sessantatrè anni innanzi que' medesimi campi avevano pure mirato altri Milanesi alle prese contro altri Tedeschi; ma per quanto più nobile e generosa causa!

Dopo un lungo contrasto, nel quale a Luchino

(1) Galv. de la Flamm, Opuse, cit. p. 1025.

vennero ammazzati sotto parecchi destrieri, trovandosi sfinita dalla fatica l'una parte e l'altra alquanto si posò. Posarono dappresso questi a quelli appoggiati alle aste, guardandosi iratamente, e minacciandosi e provocandosi coi gesti e colle parole; nè così tosto ebbero ripreso un po' di lena, che più ferocemente tornarono ad affrontarsi. Raddoppiava lo spavento e la confusione della lotta mortale la varietà non solo delle nazioni, ma delle armi, come spade, lancie, spadoni, azze, partigiane, archi, balestre, fionde, labarde, mazze d'arme, le quali tra loro urtandosi o percotendo sulle armature, mandavano commisto allo strepito delle grida e degli strumenti un orrendo suono di strage. Mille forme poi di morte e di combattimento; posciachè attaccavansi corpo a corpo, colla lancia, colla spada, col pugnale, e chi s'avvinghiava al nemico per gettarlo di sella, e chi gli feriva il destriero per traboccarlo a terra, e chi sotto la rovina dell'avversario si seppelliva. Finalmente i Lodrisiani, fatta una gran punta, arrivano sino a Luchino, lo gettano abbasso dal cavallo, l'opprimono, e strettamente l'avvincono ad un noce.

Per questo fatto a' Milanesi sbigottiti non rimaneva altro più da tentare che una prudente ritirata, ed ai soldati della compagnia di S. Giorgio, che un valoroso assalto. Arrestaronsi adunque per raccogliere le forze, questi per darlo, quelli per sostenerlo. Ma quando già stanno per rovesciarsi addosso, eccoti alle spalle de' Milanesi un alto clamore che li avvisa di prossimo scampo. Era un Ettore da Panigo, fuoruscito bolognese, che con 700 cavalli partiti sul tardi da Milano, accorreva a ri

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