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storare la fortuna d'Azzo Visconti. Invano i ventu. rieri di S. Giorgio stanchi e mezzo sbandati opposero l'estremo della loro forze all'inaspettato nemico: in breve tutta la compagnia fu in fuga od al filo delle spade: Lodrisio stesso rimase fra' prigioni. Nè fu di leggiero incremento alla universale letizia la disfatta e presa del Malerba, che essendo stato inviato da Lodrisio subito dopo la presa di Parabiago a occupare il passo dell'Olona con 700 barbute, si scontrò ne' vincitori ritornanti a Milano colle spoglie de' vinti e coi proprii morti e feriti sulle carra,

Il giorno dopo tutta Milano uscì a esaminare il sito della battaglia; e nel contemplare le grandi ferite, nel misurare collo sguardo gli sterminati corpi de' giacenti rabbrividi del pericolo poc'anzi passato. Corse poi voce che S. Ambrogio, patrono della città, fosse stato veduto nel bel mezzo della mischia, e a cavallo colla sferza in mano combattesse a favore dei Milanesi incontro a' venturieri. Fatto sta che sul luogo medesimo della battaglia s'eresse una Chiesa, e vi si ordinò un'annua festa per ricordanza dell'accaduto; sicchè il racconto, avendo cogli anni acquistato credito e paese, restò negli animi, nelle pitture e sulle monete ad attestare la semplicità de' tempi e la grandezza dello spavento concepito (1).

Il conflitto di Parabiago, senza dubbio il più forte e sanguínoso di quanti se ne fecero in Italia d'indi alla calata di Carlo vi, dimostrò a sufficienza quanto diversamente si menino le mani per proprio interesse o per l'altrui. Restarono uccisi tra una banda e l'altra quattromila cavalieri e molto più fanti : i (1) Cavallero, Racconto storico ecc.

prigionieri, come prima furono spogliati delle armi e de'cavalli, ed ebbero promesso di non guerreggiare più contro a' Visconti, vennero incontanente licenziati; così esigendo il costume già introdotto non senza loro profitto da' mercenarii (1). Lodrisio penò dieci anni in una gabbia di ferro nel castello di S. Colombano: a'soldati vincitori, secondo gli usi, venne distribuita una paga doppia: de' fuggiaschi e liberati altri riparò in Toscana a militarvi nella guerra di Lucca, altri si disperse qua e là per l'Italia, «ed io ⚫ ne vidi, dice un contemporaneo, venire a Roma da dugentocinquanta a piedi, quale cogli speroni at« taccati alla coreggia, quale con una targhetta, «chi portando un cimiero, e chi cavalcando un ronzino, secondo sua condizione» (2).

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Quanto al Malerba, la sera stessa della battaglia il signor di Milano se ne volle assicurare, stipendiandolo quasi per forza con certo numero di seguaci (3): ma poco tempo durò egli in riposo. Rottasi guerra nel Canavese tra i signori di Valperga e quei di S. Martino, passò con 300 barbute ai servigi dei primi; e colà le reliquie della famosa compagnia, gridando S. Giorgio! s'impadronivano poco stante a viva forza della terra di Caluso (4).

(1) « More Theutonicorum omnes Theutonici fuerunt rela«< xati a Theutonicis, sola promissione tamen habita redeundi, « armis tantum et equis spoliati». Cortus. Hist. VII. 15, narrando un combattimento sotto Montagnana nel 1338. (2) Fragm. hist. Rom. cit. p. 303.

(3) Petr. Azar. Chron, c. VIII. p. 315 (R. I. S. t. XVI). (4) Petr. Azar. De Bell. Canap. p. 427. segg. (R. I. S. t XVI). — Benvenut. da s. Giorgio p. 464 (t. XXIII). — Annal. Mediolan. c. 112.- Gazala, Chr. Regiens. p. 56 (t. XVIII).

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IV.

Non minor turbine frattanto s'addensava nelle parti della Toscana. Già narrammo come Lucca fosse pervenuta nelle mani di Mastino della Scala. Ora questi, trovandosi aggravato dall'obbligo di reggerla e difenderla, aveva pensato di sbrigarsene, vendendola per doppio trattato nel tempo stesso a' Pisani ed a' Fiorentini. Questi ne accordarono per mezzo d'ambasciatori la compra in duecento cinquantamila fiorini: i Pisani non avendo denari, cinsero la terra di fossi e bertesche, onde conseguirla per forza. Di qui provenne una fierissima guerra tra le due emule città; per conclusione della quale i Fiorentini vinti al di fuori in più battaglie, e consumati al di dentro dalla tirannide del duca d'Atene, e dalle cure segrete del congiurare, dovettero abbandonare a' nemici l'ambita preda. Sciolta però Pisa da ogni timore, affrettossi a licenziare le masnade tedesche; alcune delle quali le erano venute da molte parti spontaneamente agli stipendii, altre le erano state inviate dai principi ghibellini. La pace, accomunandole tutte nella necessità di riscattarsi col ferro dalla miseria e dall'ozio, le rovesciò a' danni dell'Italia.

Primo su tutti i capi appariva Guarnieri, il duca di A. 1342 Urslingen, nel quale al vanto delle ardite gesta, all'alterezza e bravura dell'animo, ed alla forza del corpo accresceva pregio la nobiltà de' natali sempre osservata appo i rozzi uomini: nè i suoi antenati erano stranieri a questa Italia; ma Ancona e Spoleto avevano, a quel che sembra, obbedito loro ai tempi della

stirpe Sveva (1). Costui, levatosi fra quella turba avida e discordante in mille pareri, colla usata superiorità propose a tutti di radunarsi in una schiera, e guerreggiare i più deboli e doviziosi: i guadagni fossero in comune, secondo i meriti e il grade; chi volesse fermo soldo, purchè rinunzi alla propria parte di bottino, sì l'otterrà da lui medesimo». L'opportuno avviso non era ancora del tutto manifestato, e già mille barbare voci tra il percuoter dell'armi e l'abbracciarsi a festa approvavanlo concordemente. Bentosto l'Urslingen è creato capo supremo di tutte le schiere; e Pisa profferisce loro di soppiatto le paghe di quattro mesi (2); e alcune bande cassate da' Fiorentini accorrono ad ingrossare la compagnia; e i signori di Milano, di Mantova, di Firenze, di Padova, di Parma, di Cesena e Forlì, a cui sembra di avvantaggiare il proprio rovinando l'altrui, celatamente la attizzano contro i principi della Romagna, e i Comuni di Siena e di Perugia (3).

Fra tante squadre oltremontane eravene altresì una, già stata ai soldi d'Azzo Visconti, quasi tutta d'Italiani; e due Bolognesi la guidavano, un Mazarello da Cusano ed Ettore da Panigo, il vincitore di Lodrisio

(1) Bronner, Abenteverliche etc. ossia St. di Guarnieri duca di Urslingen, tradottami cortesemente dal mio amico G. M. Cargnino. Parte II. § 14-31.

(2) A quattro fiorini per cavallo al mese.

(3) Cron. di Pisa p. 1012 (t. XV).— Cron. Sanese p. 105 (t. XV). - Cron. Riminese p. 900 (t. XV). — Chron. Estens. p. 406 (t. XV).- Joh. de Bazano, Chr. Mutin. p. 600 (t. XV). — G. Vill. XII. 8. — 1st. Pistolesi p. 487 (t. XI). — Cron. Miscell. di Bol. p. 385. Bonif. de Morano, Chr. Mutin. p. 428 (t. XI). Annal. Cæsenat. p. 1178 (t. XIV).

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e del Guarnieri a Parabiago. Proveniva costui dalla schiatta di certo Paganino, che nel 1513 non aveva temuto di rapire armata mano il tesoro della Chiesa; schiatta indocile, fomentatrice d'odii e di fazioni, che si valeva delle sue forze del contado per usurpare dentro le città il comando, o per turbarlo a chi ve lo avesse usurpato. Ad Ettore, sovente esule, sovente esigliatore, sempre coll'arme in pugno contro a cittadini o estranei, il partito più utile era sempre parso il migliore. Dopo avere nell'anno 1529 governato Modena a nome della Chiesa, vi era entrato come vicario dell'impero; poscia congiurava di sottrarre Parma dalla dominazione del papa (1): quindi bandito da Bologna, scomunicato, perseguíto a morte dal legato pontificio, militava sotto Mastino della Scala contro la lega: da ultimo aveva guerreggiato sotto Azzo Visconti contro la compagnia di s. Giorgio (2): ora si faceva condottiero d'una compagnia fornita in gran parte di genti da lui medesimo già vinte e disperse.

Ma se ad Ettore, attesa la soverchia ambizione, l'oprare il male era mezzo, a Mazarello da Cusano era fine. Già reo d'avere ucciso di sua mano sul mercato di Monteveglio tre figliuoletti del proprio fratello, aveva egli riunito nelle sue castella della montagna di Bologna tutti i nemici della patria per tribolarla e impadronirsene. Oppresso dal numero, cedette le castella al Comune; militò co' suoi compa

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(2) Gazata, Chr. Regiens. p. 49 D (R. I. S. t. XVIII)

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