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zare la casa, e non ebbi alla santa domenica quella reverenza che io dovea. O, disse il frate, figliuol mio, cotesta è leggier cosa. Non, disse ser Ciappelletto, non dite leggier cosa, chè la domenica è troppo da onorare, però che in così fatto dì risuscitò da morte a vita il nostro Signore. Disse allora il frate: 0, altro hai tu fatto? Messer sì, rispuose ser Ciappelletto, chè io, non avvedendomene, sputai una volta nella chiesa di Dio. Il frate cominciò a sorridere, e disse: Figliuol mio, cotesta non è cosa da curarsene: noi, che siamo religiosi, tutto il dì vi sputiamo. Disse allora ser Ciappelletto: E voi fate gran villanía, per ciò che niuna cosa si convien tener netta come il santo tempio, nel quale si rende sacrificio a Dio. Et in brieve de' così fatti ne gli disse molti, et ultimamente cominciò a sospirare, et appresso a pianger forte, come colui che il sapeva troppo ben fare quando volea. Disse il santo frate: Figliuol mio, che hai tu? Rispuose ser Ciappelletto: Oimè, messere, chè un peccato m' è rimaso, del quale io non mi confessai mai, sì gran vergogna ho di doverlo dire; et ogni volta ch' io me ne ricordo piango come voi vedete, e parmi essere molto certo che Iddio mai non avrà misericordia di me per questo peccato. Allora il santo frate disse: Va via, figliuol, che è ciò che tu di'? se tutti i peccati che furon mai fatti da tutti gli uomini, o che si debbon fare da tutti gli uomini mentre che il mondo durerà, fosser tutti in uno uom solo, et egli ne fosse pentuto e contrito come io veggio te, si è tanta la benignità e la misericordia di Dio che, confessandogli egli, gliele perdonerebbe liberamente; e per ciò dillo sicuramente. Disse allora ser Ciappelletto, sempre piangendo forte: Oimè, padre mio, il mio è troppo gran peccato, et appena posso credere, se i vostri prieghi non ci si adoperano, che egli mi debba mai da Dio esser perdonato. A cui il frate disse: Dillo sicuramente, chè io ti prometto di pregare Iddio per te. Ser Ciappelletto pur piagnea, e nol dicea; et il frate pur il confortava a dire. Ma, poichè ser Ciappelletto piangendo ebbe un grandissimo pezzo tenuto il frate così sospeso, egli gittò un gran sospiro, e disse: Padre mio, poscia che voi mi promettete di pregare Iddio per me,

et io il vi dirò: sappiate che, quando io era piccolino, io bestemmiai una volta la mamma mia; e così detto ricominciò a piagnere forte. Disse il frate: O, figliuol mio, or párti questo così grande peccato? o, gli uomini bestemmiano tutto 'l giorno Iddio, e sì perdona egli volentieri a chi si pente d' averlo bestemmiato; e tu non credi che egli perdoni a te questo? non pianger, confórtati, chè fermamente, se tu fossi stato un di quegli che il posero in croce, avendo la contrizione ch' io ti veggio, sì ti perdonerebbe egli. Disse allora ser Ciappelletto: Oimè, padre mio, che dite voi? la mamma mia dolce, che mi portò in corpo nove mesi il dì e la notte, e portommi in collo più di cento volte, troppo feci male a bestemmiarla, e troppo è gran peccato; e se voi non pregate Iddio per me, egli non mi sarà perdonato. Veggendo il frate non essere altro restato a dire a ser Ciappelletto, gli fece l'assoluzione, e diedegli la sua benedizione, avendolo per santissimo uomo, sì come colui che pienamente credeva esser vero ciò che ser Ciappelletto avea detto. E chi sarebbe colui che nol credesse, veggendo uno uomo in caso di morte dir così? E poi, dopo tutto questo, gli disse: Ser Ciappelletto, coll' ajuto di Dio, voi sarete tosto sano; ma, se pure avvenisse che Iddio la vostra benedetta e ben disposta anima chiamasse a sè, piacev' egli che 'l vostro corpo sia seppellito al nostro luogo? Al quale ser Ciappelletto rispose: Messer sì; anzi non vorre' io essere altrove, poscia che voi mi avete promesso di pregare Iddio per me: senza che io ho avuta sempre spezial divozione al vostro Ordine. E per ciò vi priego che, come voi al vostro luogo sarete, facciate che a me vegna quel veracissimo Corpo di Cristo, il qual voi la mattina sopra l'altare consecrate; per ciò che (come che io degno non ne sia) io intendo, colla vostra licenzia, di prenderlo, et appresso la santa et ultima Unzione, acciò che io, se vivuto son come peccatore, almeno muoja come cristiano. Il santo uomo disse che molto gli piacea, e che egli dicea bene, e farebbe che di presente gli sarebbe apportato; e così fu. Li due fratelli, li quali dubitavan forte non ser Ciappelletto gl' ingannasse, s' eran posti appresso ad un tavolato, il quale la camera dove ser Ciappelletto giaceva,

divideva da un' altra, et ascoltando, leggiermente udivano et intendevano ciò che ser Ciappelletto al frate diceva; et aveano alcuna volta sì gran voglia di ridere, udendo le cose le quali egli confessava d'aver fatte, che quasi scoppiavano, e fra sè talora dicevano: Che uomo è costui, il quale nè vecchiezza, nè infermità, nè paura di morte, alla qual si vede vicino, nè ancora di Dio, dinanzi al giudicio del quale di qui a picciola ora s'aspetta di dovere essere, dalla sua malvagità l'hanno potuto rimuovere, nè far ch'egli così non voglia morire come egli è vivuto? Ma pur vedendo che sì aveva detto che egli sarebbe a sepoltura ricevuto in chiesa, niente del rimaso si curarono. Ser Ciappelletto poco appresso si comunicò, e peggiorando senza modo, ebbe l'ultima unzione; e poco passato vespro, quel dì stesso che la buona confessione fatta avea, si morì. Per la qual cosa, li due fratelli, ordinato, di quello di lui medesimo, come egli fosse onorevolmente seppellito, e mandatolo a dire al luogo de' frati, e che essi vi venissero la sera a far la vigilia secondo l'usanza, e la mattina per lo corpo, ogni cosa a ciò opportuna dispuosero. Il santo frate che confessato l'avea, udendo che egli era trapassato, fu insieme col priore del luogo, e fatto sonare a capitolo, alli frati ragunati in quello mostrò, ser Ciappelletto essere stato santo uomo, secondo che per la sua confessione conceputo avea. E sperando per lui Domenedio dover molti miracoli dimostrare, persuadette loro che con grandissima reverenzia e divozione quello corpo si dovesse ricevere. Alla qual cosa il priore e gli altri frati creduli s'accordarono; e la sera, andati tutti là dove il corpo di ser Ciappelletto giaceva, sopr' esso fecero una grande e solenne vigilia, e la mattina, tutti vestiti co' camici e co' pieviali, con libri in mano e con le croci innanzi, cantando, andaron per questo corpo, e con grandissima festa e solennità il recarono alla lor chiesa, seguendo quasi tutto il popolo della città, uomini e donne: e nella chiesa postolo, il santo frate che confessato l'avea, salito in sul pergamo, di lui cominciò, e della sua vita, de' suoi digiuni, della sua virginità, della sua simplicità et innocenzia e santità maravigliose cose a predicare, tra l'altre cose narrando quello che ser Ciappel3

BOCCACCIO. I.

letto per lo suo maggior peccato piangendo gli avea confessato, e come esso appena gli avea potuto mettere nel capo che Iddio gliele dovesse perdonare, da questo volgendosi a riprendere il popolo che ascoltava, dicendo: E voi, maledetti da Dio, per ogni fuscello di paglia che vi si volge tra' piedi, bestemmiate Iddio e la Madre, e tutta la corte di paradiso. Et oltre a queste, molte altre cose disse della sua lealtà e della sua purità: et in brieve colle sue parole, alle quali era dalla gente della contrada data intera fede, sì il mise nel capo e nella divozion di tutti coloro che v'erano, che, poi che fornito fu l'uficio, colla maggior calca del mondo da tutti fu andato a basciargli i piedi e le mani, e tutti i panni gli furono in dosso stracciati, tenendosi beato chi pure un poco di quegli potesse avere: e convenne che tutto il giorno così fosse tenuto, acciò che da tutti potesse essere veduto e visitato. Poi, la vegnente notte, in una arca di marmo seppellito fu onorevolmente in una cappella, et a mano a mano il dì seguente vi cominciarono le genti ad andare et ad accender lumi et ad adorarlo, e per conseguente a botarsi, et ad appiccarvi le imagini della cera, secondo la promession fatta. Et in tanto crebbe la fama della sua santità e divozione a lui, che quasi niuno era, che in alcuna avversità fosse, che ad altro Santo che a lui si botasse, e chiamaronlo e chiamano san Ciappelletto: et affermano, molti miracoli Iddio aver mostrati per lui, e mostrare tutto giorno, a chi divotamente si raccomanda a lui. Così adunque visse e morì ser Cepperello da Prato, e santo divenne come avete udito. Il quale negar non voglio esser possibile, lui essere beato nella presenza di Dio, per ciò che, come che la sua vita fosse scelerata e malvagia, egli potè in su l'estremo aver sì fatta contrizione, che per avventura Iddio ebbe misericordia di lui, e nel suo regno il ricevette: ma, per ciò che questo n'è occulto, secondo quello che ne può apparire ragiono e dico, costui più tosto dovere essere nelle mani del diavolo in perdizione, che in paradiso. E, se così è, grandissima si può la benignità di Dio cognoscere verso noi, la quale, non al nostro errore, ma alla purità della fede riguardando, così faccendo noi nostro mezzano un

suo nemico, amico credendolo, ci esaudisce, come se ad uno veramente santo, per mezzano della sua grazia, ricorressimo. E per ciò, acciò che noi per la sua grazia nelle presenti avversità, et in questa compagnía così lieta, siamo sani e salvi servati, lodando il suo nome, nel quale cominciata l'abbiamo, lui in reverenza avendo, ne' nostri bisogni gli ci raccomandiamo, sicurissimi d'essere uditi. E qui si tacque.

NOVELLA SECONDA.*

Abraam giudeo, da Giannotto di Civignì stimolato, va in corte di Roma; e vedendo la malvagità de' cherici, torna a Parigi, e fassi cristiano.

La novella di Pamfilo fu in parte risa, e tutta commendata dalle donne: la quale diligentemente ascoltata, et al suo fine essendo venuta, sedendo appresso di lui Neifile, le comandò la Reina che, una dicendone, l'ordine dello incominciato sollazzo seguisse. La quale, sì come colei che non meno era di cortesi costumi che di bellezza ornata, lietamente rispose che volentieri, e cominciò in questa guisa: Mostrato n'ha Pamfilo nel suo novellare la benignità di Dio non guardare a' nostri errori, quando da cosa che per noi veder non si possa procedano: et io nel mio intendo di dimostrarvi quanto questa medesima benignità, sostenendo pazientemente i difetti di coloro li quali d'essa ne deono dare, e colle opere e colle parole, vera testimonianza, il contrario operando, di sè argomento d'infallibile verità ne dimostri, acciò che quello che noi crediamo con più fermezza d'animo seguitiamo.

Si come io, graziose donne, già udii ragionare, in Parigi fu un gran mercatante e buono uomo, il quale fu chiamato Giannotto di Civignì, lealissimo e diritto, e di gran traffico

*Il fatto, che è l'anima di questa Novella, si trova raccontato come vero da Benvenuto da Imola nel suo Comento sopra Dante, esistente manoscritto nella librería Laurenziana in Firenze. Bisogna che succedesse prima del MCCCIV, perchè la Sede papale fu in quell' anno trasferita in Avignone.

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