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NOVELLA QUINTA.*

La marchesana di Monferrato, con un convito di galline e con alquante leggiadre parolette, reprime il folle amore del rè di Francia.

La novella da Dioneo raccontata, prima con un poco di vergogna punse i cuori delle donne ascoltanti, e con onesto rossore ne' loro visi apparito ne diede segno; e poi quella, l' una l'altra guardando, appena del ridere potendosi astenere, sogghignando ascoltarono. Ma venuta di questa la fine, poichè lui con alquante dolci parolette ebber morso, volendo mostrare che simili novelle non fosser tra donne da raccontare, la Reina, verso la Fiammetta che appresso di lui sopra l'erba sedeva, rivolta, che essa l'ordine seguitasse le comandò. La quale vezzosamente e con lieto viso incominciò: Sì perchè mi piace, noi essere entrati a dimostrare con le novelle quanta sia la forza delle belle e pronte risposte, e sì ancora perchè quanto negli uomini è gran senno il cerçar d'amar sempre donna di più alto legnaggio che' egli non è, così nelle donne è grandissimo avvedimento il sapersi guardare dal prendersi dello amore di maggiore uomo ch' ella non è, m' è caduto nell' animo, donne mie belle, di dimostrarvi nella novella che a me tocca di dire, come, e con opere e con parole, una gentil donna se da questo guardasse, et altrui ne rimovesse.

Era il marchese di Monferrato, uomo d' alto valore, gonfaloniere della Chiesa, oltre mar passato in un general passaggio da' Cristiani fatto con armata mano. E del suo valore ragionandosi nella corte del rè Filippo il Bornio, il quale a quel medesimo passaggio andar di Francia s' apparecchiava,

Questo fatto della Marchesana di Monferrato fu creduto da Aldo Manucci il giovane che il Boccaccio lo copiasse dal fatto notorio del re Manfredi colla sua propria sorella Siligaita contessa di Caserta, riferito dal Santorio nella sua Istoria del Regno di Napoli, variato decentemente; perchè, dove quello finì con un incesto, questo del Boccaccio termina con un virtuoso contegno, che fa ravvedere il rè di Francia dell' impudico disegno che avea formato sopra di lei.

fu per un cavalier detto, non essere sotto le stelle una simile coppia a quella del marchese e della sua donna; però che, quanto tra' cavalieri era d' ogni virtù il marchese famoso, tanto la donna tra tutte l'altre donne del mondo era bellissima e valorosa. Le quali parole per sì fatta maniera nell' animo del rè di Francia entrarono, che, senza mai averla veduta, di subito ferventemente la cominciò ad amare, e propose di non volere, al passaggio al quale andava, in mare entrare altrove che a Genova; acciò che quivi, per terra andando, onesta cagione avesse di dovere andare la marchesana a vedere, avvisandosi che, non essendovi il marchese, gli potesse venir fatto di mettere ad effetto il suo disío. E secondo il pensier fatto mandò ad esecuzione; per ciò che, mandato avanti ogni uomo, esso con poca compagnía e di gentili uomini, entrò in cammino; et avvicinandosi alle terre del marchese, un dì davanti mandò a dire alla donna, che la seguente mattina l'attendesse a desinare. La donna, savia et avveduta, lietamente rispose, che questa l' era somma grazia sopra ogni altra, e che egli fosse il ben venuto. Et appresso entrò in pensiero, che questo volesse dire, che un così fatto rè, non essendovi il marito di lei, la venisse a visitare: nè la 'ngannò in questo l'avviso, cioè, che la fama della sua bellezza il vi traesse. Nondimeno, come valorosa donna, dispostasi ad onorarlo, fattisi chiamare di que' buoni uomini che rimasi v'erano, ad ogni cosa opportuna con loro consiglio fece ordine dare: ma il convito e le vivande ella sola volle ordinare. E fatte senza indugio quante galline nella contrada erano ragunare, di quelle sole varie vivande divisò a' suoi cuochi per lo convito reale. Venne adunque il rè il giorno detto, e con gran festa et onore dalla donna fu ricevuto. Il quale, oltre a quello che compreso aveva per le parole del cavaliere, riguardandola, gli parve bella e valorosa e costumatą, e sommamente se ne maravigliò, e commendolla forte, tanto nel suo disío più accendendosi, quanto da più trovava esser la donna che la sua passata stima di lei. E dopo alcun riposo preso in camere ornatissime di ciò che a quelle, per dovere un così fatto rè ricevere, s' appartiene, venuta l'ora del desinare,

il rè e la marchesana ad una tavola sedettero, e gli altri secondo la lor qualità ad altre mense furono onorati. Quivi essendo il rè successivamente di molti messi servito, e di vini ottimi e preziosi, et oltre a ciò con diletto talvolta la marchesana bellissima riguardando, sommo piacere avea. Ma pure, venendo l' un messo appresso l'altro, cominciò il rè alquanto a maravigliarsi, conoscendo quivi, che quantunque le vivande diverse fossero, non per tanto di niuna cosa essere altro che di galline. E come che il rè conoscesse il luogo là dove era, dovere esser tale che copiosamente di diverse salvaggine avervi dovesse, e l' avere davanti significata la sua venuta alla donna, spazio l'avesse dato di poter far cacciare; non pertanto, quantunque molto di ciò si maravigliasse, in altro non volle prender cagione di doverla mettere in parole, se non delle sue galline, e con lieto viso rivoltosi verso lei, disse: Dama, nascono in questo paese solamente galline senza gallo alcuno? La marchesana, che ottimamente la dimanda intese, parendole che secondo il suo disiderio Domenedio l'avesse tempo mandato opportuno a poter la sua intenzion dimostrare, al Rè domandante, baldanzosamente verso lui rivolta, rispose: Monsignor no, ma le femine, quantunque in vestimenti et in onori alquanto dall' altre variino, tutte perciò son fatte qui come altrove. Il Rè, udite queste parole, raccolse bene la cagione del convito delle galline e la virtù nascosa nelle parole; et accorsesi che in vano con così fatta donna parole si gitterebbono, e che forza non v' avea luogo: per che così come disavvedutamente acceso s' era di lei, saviamente s'era da spegnere per onor di lui il mal concetto fuoco. E senza più motteggiarla, temendo delle sue risposte, fuori d'ogni speranza desinò; e finito il desinare, acciò che col presto partirsi ricoprisse la sua disonesta venuta, ringraziatola dell' onor ricevuto da lei, accomandandolo ella a Dio, a Genova se n' andò.

NOVELLA SESTA.*)

Confonde un valente uomo con un bel detto la malvagia ipocresía de' religiosi.

Emilia, la quale appresso la Fiammetta sedea, essendo già stato da tutte commendato il valore et il leggiadro gastigamento della marchesana fatto al re di Francia, come alla sua Reina piacque, baldanzosamente a dire cominciò: Nè io altresì tacerò un morso dato da un valente uomo secolare ad uno avaro religioso con un motto non meno da ridere che da commendare.

Fu dunque, o care giovani, non è ancora gran tempo, nella nostra città un frate Minore inquisitore della eretica pravità, il quale, come che molto s' ingegnasse di parere santo e tenero amatore della cristiana Fede, sì come tutti fanno, era non men buono investigatore di chi piena aveva la borsa, che di chi di scemo nella Fede sentisse. Per la quale sollecitudine per avventura gli venne trovato un buono uomo, assai più ricco di denari che di senno, al quale, non già per difetto di Fede, ma semplicemente parlando, forse da vino o da soperchia letizia riscaldato, era venuto detto un dì ad una sua brigata, sè avere un vino si buono che ne berrebbe Cristo. Il che essendo allo inquisitore rapportato, et egli sentendo che gli suoi poderi eran grandi e ben tirata la borsa, cum gladiis et fustibus impetuosissimamente corse a formargli un processo gravissimo addosso, avvisando non di ciò alleviamento di miscredenza nello inquisito, ma empimento di fiorini della sua mano ne dovesse procedere, come fece. E, fattolo richiedere, lui domandò se vero fosse ciò che contro di lui era stato detto. Il buono uomo rispose del sì, e dissegli il

*) Giovanni Villani narra gran parte di questo fatto al cap. LVII, lib. XII (Ediz. di Firenze 1587) della sua Istoria, e quel Frate Minore dice essere stato frate Pietro dall' Aquila. Avevano i Fiorentini contro costui rabbia grandissima. Nel 1347 fu promosso al Vescovado di Sant' Angelo nel Regno di Napoli.

ВОССАССІО. І.

modo. A che lo 'nquisitore santissimo, e divoto di San Giovanni Barbadoro, disse: Dunque hai tu fatto Cristo bevitore, e vago de' vini solenni, come se egli fosse Cinciglione, o alcuno altro di voi bevitori ebriachi e tavernieri? et ora, umilmente parlando, vuogli mostrare questa cosa molto essere leggiera: ella non è come ella ti pare: tu n' hai meritato il fuoco, quando noi vogliamo, come noi dobbiamo, verso te operare. E con queste e con altre parole assai, col viso dell' arme, quasi costui fosse stato Epicuro negante la eternità delle anime, gli parlava. Et in brieve tanto lo spaurì, che il buono uomo per certi mezzani gli fece con una buona quantità della grascia di San Giovanni Boccadoro ugner le mani, (la quale molto giova alla infermità delle pistilenziose avarizie de' cherici, e spezialmente de' frati Minori, che denari non osan toccare), acciò ch' egli dovesse verso lui misericordiosamente operare. La quale unzione, sì come molto virtuosa, avvegna che Galieno non ne parli in alcuna parte delle sue medicine, sì e tanto adoperò, che il fuoco minacciatogli di grazia si permutò in una croce; e, quasi al passaggio d' oltremare andar dovesse, per far più bella bandiera, gialla gliele puose in sul nero. Et oltre a questo, già ricevuti i denari, più giorni appresso di sè il sostenne, per penitenzia dandogli che egli ogni mattina dovesse udire una Messa in Santa Croce, et all' ora del mangiare avanti a lui presentarsi, e poi il rimanente del giorno quel che più gli piacesse potesse fare. Il che costui diligentemente faccendo, avvenne una mattina tra l' altre, che egli udì alla Messa uno evangelio, nel quale queste parole si cantavano: Voi riceverete per ogn' un cento, e possederete la vita eterna; le quali esso nella memoria fermamente ritenne, e, secondo il comandamento fattogli, ad ora di mangiare davanti allo inquisitore venendo, il trovò desinare. Il quale lo 'nquisitore domandò, se egli avesse la Messa udita quella mattina. Al quale esso prestamente rispose, Messer sì. A cui lo 'nquisitore disse: Udisti tu in quella cosa niuna, della quale tu dubiti, o vogline domandare? Certo, rispose il buono uomo, di niuna cosa che io udissi dubito, anzi tutte per fermo le credo vere. Udi'ne io bene alcuna, che m' ha fatto e fa avere di voi e degli altri

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