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sembianza di gratificare i vassalli li dispensò dal fornire in guerra le fanterie, e diede principio ad una nuova forma di milizia più stabile e vantaggiosa (1).

Erano in Piemonte settecento migliaia d'abitatori e cinquecento nella Savoia. Emanuele Filiberto fissò a 15 mila uomini la milizia a piedi del primo paese, e ad ottomila quella del secondo. Però coll'andare del tempo vi entrarono tanti volontarii, che il numero di tutti sali a 36 mila. La legge deliberata nel 1560, fu messa in esecuzione sei anni dappoi. Ma in prima il duca diede consistenza ai corpi municipali: quindi gl'incarico di descrivere tutti i sudditi dai 18 ai 50 anni. Fra essi furono scelti i più idonei. Il principe li forni delle armi, e assegnò loro una certa paga. Siccome poi sembrava che i gentiluomini sdegnassero di accettare il comando di codeste milizie nuove e a piedi, così fu esso confidato parte a sudditi di civil sorte, parte a forestieri. Fra questi ultimi si deve ricordare specialmente Giovanni Antonio Levo, il quale col grado di sergente-maggiore-generale ordinò ogni cosa, e ne stese un regolamento, che venne pienamente approvato dal duca il 5 luglio 1566 (2).

Secondo l'idea del Levo, tutta la milizia piemontese fu divisa per colonnelli. Ogni colonnello si compose di sei compagnie, ogni compagnia di quattro centurie, ogni centuria di quattro squadre. Le squadre dovevano

(1) Alex. Saluces, Hist. militaire du Piémont, t. I. p. 152. Notizie storiche riguardanti la milizia instituita dal duca Em. Filiberto (Torino 1821). — Relazione di Savoia del 1570, p. 129 (Relaz. venete, t. V).

(2) Discorso dell'ordine e modo di armare ecc. la milizia del duca di Savoia (Vercelli 1567).

congregarsi ciascuna domenica dopo messa sulla piazza del capoluogo per esercitarsi nelle armi: le centurie si riunivano di quindici in quindici giorni, le compagnie una volta al mese, i colonnelli le quattro tempora, tutta la milizia due volte l'anno, cioè alla Pentecoste e al s. Matteo. Le compagnie ordinarie erano composte di 120 picchieri con corsaletto, 30 con corsaletto e zuccotto, dieci con targa e corsaletto, e dieci alabardieri; i restanti portavano archibugio in mano e zuccotto in capo. Le compagnie colonnelle, quelle cioè proprie dei capi-colonnelli, i quali altresì colonnelli si appellavano, erano formate di 550 archibugieri e di 40 alabardieri. Sedici di questi erano caporali; gli altri, detti i confidenti, erano specialmente deputati alla custodia delle bandiere. La spada serviva pegli uffiziali, lo scudo e la giannetta pei centurioni.

Nel comando di tutto il corpo dopo il colonnello veniva un sergente maggiore: un capitano, un alfiere, due sergenti, quattro centurioni, e 16 caporali governavano la compagnia. Sceglievansi i tamburini tra i migliori soldati; posciachè allora un tamburo era quasi tenuto nel medesimo pregio di una bandiera.

Poco stante il vincitore di San Quintino compiva l'opera, licenziando le sei compagnie savoiarde e le sette piemontesi di cavalleria, e creandone invece quattro di 200 cavalli caduna, una cioè di archibugieri, due d'uomini d'arme, ed una di cavalleggieri. Siccome poi non aveva dispensato la nobiltà dal servigio militare, così conciliò onore e consistenza a codesta nuova milizia a cavallo, introducendovi tutti i giovani gentiluomini, che aveva in corte. Poscia col fondare il collegio dei nobili, e col riunire l'ordine militare di

s. Maurizio a quello di s. Lazzaro schiudeva allo Stato una sorgente perenne di bravi officiali, e preparava al valore ed alla fedeltà un premio spesso molto più ambito delle ricchezze e del potere (1).

Tennero dietro ad Emanuele Filiberto principi di valore, di senno e di attività, che sciogliendosi ancor meglio dagli impacci del feudalismo, e guidando in persona gli eserciti, distesero i limiti del dominio al Ticino, al mare Ligustico e al Po. Col proprio sangue, con quello di una fedele popolazione, Pinerolo, Asti e le altre piazze vennero ritolte ai Francesi, e le chiavi delle Alpi assicurate nelle mani dei reali di Savoia. In breve una causa sola, un solo intento riuni sudditi e principe; nè mai, per quanto vedessero inferocire nel cuore della patria le spade straniere, cessarono di porgersi vicendevole sussidio, quelli colle braccia e col denaro, questi col senno e coll'esempio. Niuno è de' Piemontesi, che senza lagrime di gioia (1) Alex. Saluces, Op. cit., t. I. p. 169.

E noto come la fama di codeste utili riforme muovesse il re di Portogallo Sebastiano a chiedere al duca la persona del Levo, acciocchè questi le introducesse anche colà. Vedi Cambiano di Ruffia, Istorico discorso, lib. IV. p. 1161 (Monum. histor. patriæ script. ).

Del resto i sopradetti ordini e privilegi della milizia piemontese furono confermati nel 1581 dal duca Carlo Emanuele. Il quale tredici anni dipoi faceva fare una nuova descrizione dei sudditi dai 18 ai 60 anni, e divideva la milizia in due categorie. I descritti nella prima non erano obbligati a lasciare le proprie case, epperciò non godevano altro privilegio che quello di portare spada e pugnale. La seconda categoria comprendeva ottomila uomini pronti a partire al primo cenno; i quali perciò godevano di tutti i vantaggi impartiti alla milizia dal duca Emanuele Filiberto. V. Notizie istoriche riguardanti la milizia ecc.

ricordi la vittoria all'Assietta, la difesa di Torino, gli assedii di Cuneo, o che senza religiosa affezione consideri le bandiere nemiche pendenti alle volte del regio arsenale e del santuario di Varallo. Il Piemonte, che solo fra gli Stati italiani ha gloria militare sua propria, per la postura sua, per la fortezza dei suoi abitatori, per la natura del suo governo, potrebbe a grandi cose essere destinato.

VII.

Tale fu l'ordinamento delle milizie nazionali d'Italia nel xvi secolo. Però andrebbe troppo lontano dal vero chi prestasse fede ai ruoli di esse (1), e molto più se intendesse di misurarne l'efficacia dal numero. Molti difetti ed essenzialissimi cospiravano a scemarne l'utilità. Primieramente altro era il numero dei descritti, altro quello dei militanti; posciachè i principi non avevano ancora bastanti lumi, nè forza, nè pratica per comandare le riforme a tempo e farle eseguire con precisione.

In secondo luogo gli esercizii fatti nelle domeniche,

(1) Ecco lo stato estimativo delle forze d'Italia nel XVII secolo:

Sudditi atti a portare le armi ... 1,972,000
Fanteria descritta ne' battaglioni

Cavalleria

id.

Milizia a piè che i principi d'Ita

lia possono armare e trattenere

369,500 tot. 401,700

32,200

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in fretta ed alla buona, quasi per sollievo, erano insufficienti a convertire rozzi contadini in uomini da guerra. Ora, la disciplina e la prontezza ed esattezza delle mosse, se furono essenziali in tutti i tempi e in tutte le milizie, essenzialissime sono nei tempi moderni, in cui la strategia abbraccia grandi spazii di terreno e di tempo, e la sorte delle battaglie è riposta nelle fanterie, propria delle quali dev'essere l'unione e la giustezza.

A queste un'altra causa si aggiungeva per minorare sempre più i frutti delle milizie nazionali. Tranne il Piemonte per le ragioni ora addotte, negli Stati d'Italia nè i principi erano così amici dei popoli, nè questi così affezionati ai principi, che come a utile comune volessero all'uopo cooperare insieme. Bentosto la diffidenza partori negli uni e negli altri trascuraggine ed egoismo. Ora se un alto pensiero non nobilita la professione delle armi, che è essa mai se non se ozio senza riposo, splendore senza agi, e vanità con estremo servaggio? Si aggiungeva, che l'Italia era divisa in piccoli Stati, e i cuori si erano impiccoliti a proporzione; massime dappoichè le invasioni e la dominazione degli stranieri avevano messo i piccoli principi italiani al confronto di monarchie colossali.

Tutto ciò rendeva le ordinanze nazionali atte più a conservare la pace, che a ripulsare la guerra (1). A quali altri rimedii in questo caso ricorressero i prin

(1) «Sono armati sufficientemente, ed atti più al patire «< che al guerreggiare: ed è chiamata questa gente la fan<«<teria del battaglione . . . . . ». Relazione di Napoli, p. 305 (Tesoro politico, t. I).

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