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il padre, pel nipote lo zio, per l'un fratello l'altro. Si aggiunse, che tutte le armi, che venissero rinvenute nella casa del reo, fossero confiscate a profitto dei sudditi inscritti nella milizia, e a quello si raddoppiassero le pubbliche gravezze. Sotto simili pene si vietò altresì ai sudditi espressamente di recarsi al soldo straniero; ed il trasgressore venne dichiarato inabile ai pubblici uffici ed infame; sicchè fosse, come contadino, obbligato alle fazioni personali, nè potesse invitare alcuno a duello, nè, invitato, avere la scelta delle armi (1).

Tali almeno furono gli ordini, coi quali Cosimo si avvisò di convalidare in Toscana la instituzione delle milizie nazionali. Non è a dire, se venissero imitati dagli altri principi d'Italia. Nel breve periodo di 25 anni, cioè dal 1587 al 1612, ben dieci manifesti della repubblica genovese intendono a ciò (2).

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(1) Galluzzi, Storia del granducato, lib. I. c. 8. — Capitoli, ordini e privilegi per la milizia di S. E. Illustr., p. 27 (Firenze 1566).

(2) Leges sereniss. Reipubl. Genuens. t. II. (ms. in Genova nell'arch. del governo, e nella bibliot. della città).

Terribili pene aveva Venezia contro i portatori d'arme, e specialmente di quelle da fuoco. . . . . « E se pervenisse << nelle forze della giustizia alcun di essi trasgressori, debba <«<esser di subito posto per anni dieci in galea con li ferri « alli piedi per uomo da remo, ovvero in una prigion ser<< rata in vita sua, quando per inabilità o per la condition « sua non fosse atto alla galea, con confiscatione di tutti i « suoi beni di qual si voglia sorte. E di più (per l'accusatore) il beneficio per cadun che sarà preso e castigato, di «liberare un bandito.. » Novissima veneta statuta, Ann. 1599, f. 59 (Venezia 1729). Altre leggi in data del 1541 e del 1567 davano bando di quindici anni a chi andasse pel dominio in compagnia maggiore di tre con qualsiasi armi, e

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Nello stesso tempo l'autorità suprema colpiva a morte i signorotti del contado, dal cui grembo erano usciti i magistrati dei Comuni, i loro tiranni, e quindi i principali condottieri di ventura. Sotto questo o quel pretesto i duchi di Parma sterminavano da Montechiarugolo la posterità di Guido Torelli, ed il papa Gregorio XIII dichiarava devoluta alla Chiesa una gran parte dei beni e delle castella posseduti dai vassalli: talchè nei monti della Romagna toglieva Castelnuovo agli Isei di Cesena, Corcóna ai Sassatelli di Imola, Lonzano e Savignano ai Rangoni, Bertinoro e Verrucchio ad Alberto Pio; e ritornavansi ad esaminare e discutere le donazioni, i pagamenti, i titoli, e le devoluzioni antiche (1). Inutile che qui accenniamo gli sforzi a questo scopo fatti dai sommi pontefici Alessandro vi e Giulio 1, e inesorabilmente proseguiti da Paolo ш e Sisto v.

Codesti provedimenti servirono ad atterrare definitivamente le compagnie di ventura. Ma una instituzione, che abbia abbracciato parecchi secoli e un gran popolo, non può venire annullata di un colpo. Ampie vestigia delle compagnie di ventura si conservarono sia nell'esistenza pubblica e privata dell'Italia, sia negli ordinamenti e nell'amministrazione degli eserciti sino quasi ai nostri dì. Più sotto accenneremo le vestigia e conseguenze morali e politiche provenute dalle compagnie di ventura: per ora ci restringeremo

fissavano un premio di 600 lire a chi lo arrestasse, e dieci anni di bando per chi mettesse cartelli di sfida sui canti, con premio all'accusatore di mille lire. Se il reo era soldato perdeva stipendio e condotta. Ibid., p. 33. 47.

(1) Ranke, Hist. de la papauté, t. II. 245.

a notare la struttura e l'essenza di un esercito nei secoli XVI e XVII; e da tale esame apparirà la parte che tuttavia quelle vi avevano.

Badi peraltro il lettore che alcune delle cose, che siamo per dire, più specialmente appartenevano agli eserciti spagnuoli, che noi soprattutto abbiamo avuto in mira, come quelli, dai quali l'Italia traeva esempio

e costume.

II.

Un esercito compito o reale, siccome allora si diceva, valutavasi di 40 mila fanti, seimila cavalleggeri, quattromila stradiotti, altrettanti archibugieri a cavallo, e duemila uomini d'arme. Più tardi, per potere con celerità riunire le forze sopra un dato punto, e supplire al disordine ed alla lentezza delle mosse, vi si introdussero anche i dragoni, gente istrutta a combattere a piedi ed a cavallo. I cavalleggieri erano armati di lance, e caricavano a quaranta o cinquanta uomini di fronte: gli uomini d'arme, coperti di ferro, con pistole all'arcione, avanzavansi al trotto in grossi squadroni (1).

A tutto l'esercito presiedeva un capitano generale. Dipendevano da lui, quanto all'amministrazione, un contadore generale che teneva i libri del personale e del denaro, un pagatore generale ed un commissario generale dei viveri. Un veditore generale riscontrava i ruoli, e sopravvedeva le spese, le compre e le rassegne.

Quanto al maneggio della guerra, venivano dopo

(1) Cinuzzi, La vera militare disciplina, lib. I. p. 128 (Siena 1604).

al capitano generale un mastro di campo generale, un capitano generale della cavalleria, ed un generale dell'artiglieria. Ognuno di questi ultimi due aveva con sè un auditore, un foriere maggiore ed un capitano di campagna. Oltre a ciò il generale dell'artiglieria era aiutato da due luogotenenti, i quali dovevano essere già stati capitani di fanteria: il generale della cavalleria teneva sotto di sè un luogotenente generale e un commissario generale. Ciascuno di costoro possedeva una compagnia, quegli d'uomini d'arme, questi di archibugieri a cavallo. Il commissario aveva cura speciale dei posti avanzati, delle perlustrazioni e delle scorte, e comandava tutta la cavalleria in difetto del capitano generale e del suo luogotenente (1).

Però il maggior peso delle faccende cadeva sopra il mastro di campo generale, il qual grado venne introdotto negli eserciti spagnuoli verso il 1540. Da lui infatti dipendeva sia la marcia, sia l'amministrazione dell'esercito, sia la giustizia, sia l'accampamento. Due luogotenenti, e talora anche un sergente maggiore generale lo coadiuvavano nel governo delle schiere; un quartier mastro con due aiutanti ne eseguivano i cenni rispetto agli alloggi, al buon ordine ed alla polizia. Dipendevano altresì dal mastro di campo generale il capitano delle guide, il prevosto generale deputato sopra le condanne, il bagaglio e le marcie, i vivandieri, e per certa parte eziandio l'auditore generale. Aveva questi la cura della giustizia criminale di tutto l'esercito. A tale effetto riceveva dagli altri auditori la notizia di tutti i delitti e processi, e te

(1) Brancaccio, I carichi militari, cap. IX. XI. XII (Milano 1620. La dedica dell'autore è dell'anno 1610).

neva autorità di far carcerare e di condannare issofatto i colpevoli colti in flagrante.

Quanto all'esecuzione, il mastro di campo generale, oppure in suo luogo il sergente generale, riuniva in sè tutte le parti e le volontà dell'esercito. Comandava le mosse, vegliava la disciplina, l'armamento, gli esercizii, ed a suo arbitrio divisava e faceva eseguire nuove forme di ordinanze e di evoluzioni, a descrivere le quali si affaticano gli scrittori militari dei tempi. Qui veramente, stante la mancanza di norme generali, cominciava a mostrarsi la volontà personale dei capi. Ogni mastro di campo, ogni sergente generale aveva le sue idee, e s'incapricciava di metterle in opra: siccome poi le armi da getto non erano state ancora affatto smesse, nè quelle da scoppio affatto perfezionate e ricevute, così grande era la confusione di ogni cosa. Ai bisogni presenti antiche regole con istrane interpretazioni applicavansi; e in vece di esperienze o di sode ragioni, allegavasi con pedantesca erudizione qualche lontana analogia cogli ordini greco-romani.

Erano nel numero delle evoluzioni la forbice, il cuneo, il triangolo, la manica, la lunetta, la sega, lo scorpione, la testuggine, la girandola, il capricorno, il rombo ed il torrione: primeggiavano tra le disposizioni generali di battaglia il naspo, la croce conservata, la dentata, la quadrodentata, il gambero, il gamberello, il ventolo, il molinello, la battaglia quadra, sbarrata, crociata, cornuta, la luna scema, la eroce soda, il cuneo concavo, la forma ovata, la circolare, la bislunga (1). Dalla qual lista due corollarii

(1) Ferretti, Dell'osservanza militare, lib. II. p. 98 (Ve

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