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un pane di munizione al prezzo di mezzo scudo al mese, ed al prezzo di dodici scudi gli si somministrasse pure ogni anno una vestitura compiuta. Quanto al mangiare ed al dormire, permise ai soldati di unirsi per far camerata, ma non più di cinque insieme (1).

Certe norme eransi pur anco introdotte nella distribuzione del bottino. La preda, se era fatta da un solo, apparteneva tutta al predatore; se era fatta da molti, dividevasi tra essi, computandosi però il capitano per dieci uomini, l'alfiere per cinque, il sergente per tre, il caposquadra per due. Ma in prima se ne levava una parte tale che bastasse a riscattare i prigioni, curare i feriti, e compensare i danni dei cavalli perduti o deteriorati nella fazione. In certi eserciti si costumava di mandare a bottinare a volta a volta ora questa ora quella compagnia, a patto che ciascuna ritenesse il proprio guadagno. Altrove solevasi distribuire una porzione del bottino anche a coloro, i quali erano rimasti negli alloggiamenti. Dovunque ne erano esclusi quelli, che nel combattimento si fossero mostrati vili e dappoco. Che se qualcuno nella divisione del bottino commetteva frode contro i compagni, non solo veniva privato della sua parte, ma condannato in una multa eguale al valore di essa.

Nei fatti d'arme i cavalli avevano diritto a doppia porzione di bottino: nelle espugnazioni delle terre la parte loro era eguale a quella dei fanti. Le cose sacre non cadevano nella ragione del bottino: le navi, le insegne, le munizioni e le artiglierie acqui

(1) Cinuzzi, La vera milit. discipl., lib. I. p. 91. 108; lib. III. p. 15.

state in guerra appartenevano al principe; così pure la persona del generale nemico, ma i soldati avevano diritto ad una mancia di 12 mila ducati. Le campane e le artiglierie scavalcate di una città presa d'assalto (ma solo in Italia, e verso il 1600) spettavano al generale dell'artiglieria; le artiglierie imboccate spettavano ai bombardieri. Ricuperandosi sopra il nemico alcuna cosa, ritenevala il ricuperatore, non il primo padrone. L'autore e conduttore di una scorreria aveva diritto a due parti del bottino oltre quelle che gli competevano secondo il suo grado (1).

VI.

A trascinare la preda e le bagaglie impiegavasi una immensa turba di carri e di carrette, che marciavano alla coda dell'esercito. Oltre a ciò, siccome ognuno doveva pensare a mantenersi e vestirsi, così dopo il vero esercito ne veniva quasi un altro di armaiuoli, calzettai, sellai, calzolai, mercanti, speziali, barbieri, tavernai, fornai, vivandieri, ferrai, falegnami e rivenditori, quale per sopperire alle necessità delle soldatesche, quale per comprarne e permutarne i guadagni, quale per solleticarne i diletti e le vanità. Molti soldati conducevano seco la loro donna, col paggio, colla cameriera, col mondo muliebre: ognuno poneva il suo sforzo a far bella attillatura, e siccome a quel modo era certo di trovare più pronti stipendii, così lo faceva e per naturale leggerezza e per interesse: del resto i popoli pagavano tutte le spese. « Vidi io (affermava un vecchio guerriero) buon nu

(1) Alimari, Istruz. milit., p. 257 (Norimberga 1692). — Cinuzzi cit., lib. II. p. 230,

<«<mero di Spagnuoli e nostri corrotti Italiani con «< cappe di velluto foderate di damasco, e di raso in << generale per insino a'soldatuzzi di picca secca (1), e << privati archibugieri con cappe almeno foderate di «ormesino, con catene al collo, puntali alle berrette, << spade indorate, colletto, giuppone e calze di velluto << o di raso imbottonati, ricamati e fregiati d'oro, con <«<altri pomposi adornamenti (2) ». Insomma si calcolava a tremila il numero dei carri opportuni a un esercito di 24 mila persone (5). È facile arguire il grave impaccio, che ne dovevano sentire non meno le operazioni militari che la interna disciplina. Ora si consideri, che codesti inconvenienti si raddoppiavano per ciò, che essendo solitamente gli eserciti composti di varie nazioni, per non pregiudicare all'onore di veruna, invertivasi tutti i di l'ordine della marcia, sicchè all'avanguardia camminassero le genti ora di questa ora di quella nazione (4).

Pari alla vanità e allo scialacquo delle soldatesche erano le loro pretensioni. Per la presa di ogni bicocca, per ogni fortunato scontro, richiedevano paghe doppie, sacco, caposoldi: altrimenti scoppiavano

(1) Era così chiamato il soldato armato della sola picca, senza nissun'altra arma difensiva od offensiva.

(2) A. Cicuta, Della militare disciplina, 192 (È lo stesso libro che quello dell'Adriano cit. ).

(3) «Gerto sogliono essere in un esercito di 24 mila sol«< dati, fra quelli dell'artiglieria, de'viveri, de' particolari e « de'vivandieri, per lo manco tremila carri, e sendo ogni «< carro con tre o quattro cavalli, occupa almeno sedici passi; <«< talchè posti tutti in fila un presso l'altro vengono ad oc«cupare quarantottomila passi, che sono ventiquattro miglia « d'Italia » Brancaccio cit., c. VIII. p. 134.

(4) Brancaccio, I carichi milit., VIII. 136.

in minaccie, riunioni e tumulti. Nelle guerre di Fiandra ancor più che in quelle d'Italia e della Francia, cosiffatti abusi erano, quanto frequenti, rovinosi : designavasi un'impresa, tendevasi uno stratagemma, e già ogni cosa preludeva ad un buon esito; quando ecco la tal compagnia, il tal reggimento sollevavasi a domandare le paghe ovvero i compensi della guerra, e in poche ore il vedevi rubellarsi, ed o passare al nemico, o depredare le campagne. Frattanto l'occasione fuggiva per sempre. Quindi i risultati erano sempre inferiori agli apparecchi, l'utile allo spendio, e le imprese parevano piuttosto rette dal caso che da altro.

Che se per esempio un Emanuele Filiberto di Savoia, principe e guerriero, poteva tenere le proprie squadre docili e regolate, non ugualmente il poteva un Filippo i re di Spagna, ignaro della milizia, e signore di tanto paese, che nel medesimo istante aveva guerra in America, in Europa, alle falde delle Alpi e de' Pirenei. Disastrose essendo le strade, mal sicura l'arte del navigare, mal congegnata la macchina della pubblica amministrazione, a gran pena giungevano alle provincie gli ordini e i soccorsi. Perlocchè era mestieri di concedere un dispotico potere alle autorità locali, nè quasi mai l'esecuzione di un divisamento poteva essere accompagnata da quella concordanza in tutte le sue parti, che ne accerta la riuscita.

La prima e la più terribile conseguenza di questi difetti nell'amministrazione militare erano gli ammutinamenti, per evitare i quali sovente i ministri spagnuoli erano come costretti a continuare la guerra per quanto ingiusta o disastrosa. Non i comandi di

Carlo v, non le esortazioni del contestabile di Borbone spinsero nel 1527 gli imperiali a saccheggiar Roma, ma sì la dura necessità di mantenerli. Spogliata la Lombardia, consunta Milano, gli Spagnuoli e Tedeschi chiedevano minacciando i soldi serviti: Roma, la città ricchissima di tutta Italia, nemica a Cesare, odiosa alle schiere luterane, s'affacciò allo sguardo come un premio e un diversivo opportuno: il Borbone in tale impresa non fu tanto il guidatore quanto il guidato.

In simile guisa due mila cinquecento Spagnuoli, trovandosi creditori di molte paghe, lontani dalla patria e senza mezzi di ritornarvi, rinnovarono nel 1844 gli esempi delle prime compagnie di ventura. Scacciati e svaligiati i proprii capi, si avviarono depredando verso il Ferrarese. Essendo respinti dalle forze del papa e della Lombardia, rovesciaronsi in Lunigiana, e, finchè il paese lo comportò, vi si soffermarono. L'inopia li cacciò sul Lucchese, la rapina li crebbe di seguaci; dimodochè i ministri cesarei, disperando di domarli per forza, fecero mostra di essere con loro di accordo, e di mandarli sopra il territorio di Siena per castigo di quei cittadini (1).

Nelle guerre di Fiandra la frequenza di questi ammutinamenti procacciò loro una certa qual forma. Già la tardanza delle paghe ne era la più comune çagione. Levata allora l'obbedienza ai capi, il comando passava in tutta la moltitudine sollevata, che per fuggire altro titolo più reo chiamavasi degli alterati o dei malcontenti. La prima cosa, che facevano, era quella di sorprendere qualche buona terra e fortificarvisi, per mettere di colà a contribuzione e (1) Adriani, Storie, lib. V. p. 359.

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