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a preda il paese attorno. Ciò conseguito, si assembravano, e a viva voce eleggevano un camerata per capo dello squadrone della cavalleria, e un altro per capo di quello dei fanti, il primo col grado di governatore, l'altro di sergente maggiore. In egual maniera nominavansi i minori uffiziali. Ma la più delicata elezione era quella dell'eletto e de'suoi consiglieri. Ufficio dell'eletto era di proporre alla turba i nuovi partiti, ch'egli prima librava nel suo consiglio. Abitava nella piazza maggiore, e dalla finestra faceva le proposte allo squadrone riunito; il quale colle grida assentiva, col fremito e talora con grandini di moschettate contraddiceva.

Il terrore poi circondava di sospetto ognuno, e specialmente i capi. L'eletto non poteva rimanere solo mai, nè ricevere lettere nè inviarne senza parteciparle allo squadrone, nè altrimenti aveva libere mano e voce. Pei soldati comuni erano proibiti severamente i giuochi, i furti, le bestemmie, l'ubbriachezza, le bagascie, gli alterchi, i debiti: era pur anche loro vietato qualsiasi personale corrispondenza; e ad ogni sospetto stava preparata un'accusa, ad ogni accusa una condanna, che lo squadrone colle proprie mani e sul fatto eseguiva. Così ad un regolare comando era succeduto un tirannico impero, alla obbedienza la servitù: tanto negli ammutinati prevaleva il timore della propria disunione e della vendetta del principe; e tanto meno pesa il servire a se stesso, che ad altri!

Nè ordinariamente vi era modo di impedire, o di svellere direttamente il male. Talora i capitani imperiali marciavano contro agli ammutinati con gente

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di diversa nazione: ma quasi sempre avveniva come alle pere; il guasto affettava il buono. Si appigliavano allora al partito di ammansarli coll' oro; ed impegnando, spogliando, vendendo, si affrettavano a radunarlo. Ma non di rado neppur codesto rimedio giungeva in tempo; poichè gli ammutinati, indotti o dal timore o dall'avarizia, si erano già recati servire il nemico, e avevano compito il delitto (1).

VII.

In conclusione, i punti di maggiore somiglianza frá le soldatesche dei secoli xvI e XVII, e le compagnie venturiere dei due secoli anteriori erano i seguenti. Prima di tutto lo scopo delle une e delle altre era l'utile ed il piacere privato, non l'onore, non un sentimento politico, superiore all'individuo; poca disciplina e poca costanza, molti vizii, niuna certezza di sussistenza per l'età avanzata, autorità stragrande nei capi, pessimi ordini di amministrazione, il soldato costretto a vestirsi e nudrirsi del proprio, pagato direttamente dal capitano, e da lui a piacere assoldato, congedato e punito. Infine sia nell'una sia nell' altra milizia i capi erano come padroni della soldatesca, sceglievano gli officiali, inalberavano propria insegna (2): il ser

(1) Campana, Imprese di Alessandro Farnese, lib. I. p. 20 (Cremona 1595). — Bentivoglio, Guerre di Fiandra, parte II lib. VIII.

(2) Ancora verso il 1700 il colonnello nominava, o almeno proponeva, il luogotenente colonnello del suo reggimento: perlocchè questi uffici mettevansi come all'incanto. Nel 1693 il conte Marsigli scriveva a un amico di avere rifiutato due mancie, una di 600 fiorini, l'altra di 400, stategli offerte per la nomina del suo luogotenente colonnello

vire era volontario, piuttosto mestiere che officio; la scala dei gradi poi incerta e arbitraria, sicchè da soldato a maestro di campo fosse talora un sol passo. Andrea Cantelmo militò come semplice venturiero nella Valtellina e in Germania, passò di colpo in Boemia capitano di due insegne di cavalleria, tornò venturiere nella guerra di Casale, quindi sali a maestro di campo di un terzo napoletano, poi generale d'artiglieria, ed alla fine maestro di campo generale e governatore in Catalogna (1). Cosi Ambrogio Spinola dalle cure domestiche passava al comando di nove mila soldati. Il marchese Villa di sette anni era capitano di cavalli, di venticinque colonnello, di trentaquattro maestro di campo generale del duca di Savoia (2).

Le differenze tra le compagnie di ventura ele soldatesche del xvi e del XVII sec. erano le seguenti. Le compagnie di ventura stipendiavansi a grosse masse ineguali ed eterogenee, ciascuna delle quali diveniva una parte vistosissima dell'esercito, che perciò non aveva unità fissà di forza: il principe, non trattava se non se col condottiero, nè riconosceva nella compagnia altra autorità dopo lui: quindi il condottiero era solo garante di tutte le sue genti, ed a suo piacere le raccoglieva, le armava e le eserci-, tava in pace ed in guerra.

Al contrario presso le soldatesche del 1500 e del

e del suo sergente maggiore. Fantuzzi, Vita del Marsigli, p. 139.

(1) Lionardo da Capna, Vita del Cantelmo (Napoli 1693). (2) Gualdo, Vite di personaggi militari (Vienna 1674). Rostagno, Viaggi del M. Villa.

1600 le compagnie erano piccolissime, prossimamente uguali di numero e di forma, e costituivano realmente l'unità di forza dell' esercito. Il capitano riceveva bensi la sua patente dal colonnello, ma essa era spedita in nome del principe; e non il solo colonnello, ma ognuno dei capitani rispondeva delle soldatesche. Le mosse poi di tutte le parti dell'esercito erano coordinate; poichè un maestro di campo, oppure un sergente generale, immediatamente nominato dal principe, riuniva in sè tutti i comandi. Inoltre la instituzione degli auditori, sebbene imperfetta sia nella idea sia nel fatto, restringeva molto l'autorità coercitiva dei capi. Si aggiunga, che nel XVI secolo piccola era l'importanza di un capitano, epperciò più docile la volontà di lui e delle sue genti.

Per lo contrario al potere giudiziale dei condottieri di ventura sovente, tranne i casi capitali, nessun limite era prefisso, nè in fatto nè in iscritto (1). Oltre a ciò, stante la propria potenza, si mostravano eglino molto più indocili, insolenti ed infedeli; perchè o col lasciarsi vincere, o col ricusare di combattere potevano a piacimento trasferire i vantaggi della guerra da questa a quella bandiera. Infine i condottieri di ventura erano a cavallo, i capitani del XVI secolo erano a piedi: quelli concludevano coi principi i patti del loro servigio, come da pari a pari; questi li ricevevano: qualche colpo d'artiglieria a scaglia sarebbe bastato nel 1600 a distruggere qualsiasi compagnia ;

(1) « Dichiarando ancora, che il detto signor Malatesta <«< possa eleggere et capsare et punire i capitani delli sopradetti fanti, quando accadesse, et li fanti....». Vermiglioli, Vita di Malatesta IV, docum. XII.

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quella di Francesco Sforza resistè molti anni, per così dire, alle forze di tutta l'Italia, e lo elevò al trono della Lombardia.

Niun uomo di guerra ravvicinò tanto una milizia all'altra quanto quel Wallenstein, che nel 1625 propose all'imperatore di Germania di arruolare un esercito contro i Protestanti. Avutane licenza, riuni 30 mila uomini, e scacciò dall'Ungheria il Mansfeld, capitano anche esso famosissimo di venturieri. Quindi si avviò verso il Weser e il Baltico, rifacendo per via l'esercito insino a centomila uomini, enorme massa, che nulla costava all'impero, e di per sè si alimentava con infinito strazio dei popoli. Così la guerra, che rovina gli eserciti, augumentava il suo : nè i più vili soltanto vi concorrevano; anzi la licenza, le ricompense, la fama di tanto duce attraevano a servirlo giovani della prima nobiltà. Le contribuzioni da lui levate in sette anni sopra la Germania settentrionale arrivarono a sessanta milioni di talleri; e A. 163J vidersi cadaveri di persone morte di fame, colle bocche piene di erbe crude, e i vivi cercare il pasto nei cimiteri, e le madri nutrirsi della propria prole. La pubblica voce accusava il Wallenstein di tante miserie: onde l'imperatore lo depose. 11 condottiero si ritirò alle sue terre, trascinandosi dietro cento carrozze, quale a sei, quale a quattro cavalli: ma l'esercito, tostochè restò privo della sua presenza, si ridusse dalle cento alle quaranta migliaia di soldati.

L'anno dopo, trattandosi di salvare la Germania dagli Svedesi, l'imperatore mandò a chiamare il Wallenstein ai patti che egli pretese: e in capo a pochi mesi ebbe questi radunato un nuovo esercito, e ri

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