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Avrebbe questo accidente assicurato a Francesco Maria della Rovere la possessione del ducato di Urbino, se non gli fossero mancati denari, viveri ed ogni cosa opportuna a tener viva la guerra; tantochè quell'accrescimento di soldatesche gli riusciva piuttosto di danno che di profitto. In conseguenza egli determinò di discostarsi dall'inimico, e portare la guerra nella Toscana, provincia da molto tempo rimasta incolume dai furori della guerra. Ma prima pensò di mondare l'esercito dai traditori, e specialmente dal Maldonato, capitano degli Spagnuoli, che si trovavano ai suoi servigi.

Aveva costui fin dal principio della impresa aperto co'nemici trattative esiziali alla vita ed allo Stato del duca. Alcune lettere intercettate comprovavanlo evidentemente, e gli Spagnuoli medesimi lo sapevano tanto bene che per non venire riputati complici del tradimento aveano in un apposito scritto riprotestato al duca la propria fedeltà. Pure il Maldonato nè era fuggito, nè aveva tralasciato i suoi colpevoli maneggi: anzi un dì spinse l'audacia al punto che minacciò il duca il quale con lui trattenevasi. Ciò indispetti le soldatesche che, radunatesi a suon di tamburo, mandarono supplicando il duca, affinchè volesse palesare i nomi dei traditori.

Il duca, che aveva da lunga mano preparato tale scena, dopo aver reso alle squadre molte grazie, narrò loro le trame del Maldonato, mostronne le lettere, le patenti e i salvocondotti inviatigli dal nemico, e per ultimo ne fece leggere da Federigo di Bozzolo il legale processo. Stavano i rei nel centro delle ordinanze circondati da picche, e a stento il duca po

teva trattenere le soldatesche dal mandarli a pezzi. Terminata la lettura del processo, le invitò a prendere quella risoluzione che stimassero. In pochi istanti il Maldonato e i suoi complici vennero oppressi di ferite; le bagaglie loro diventarono premio dei giudici ed esecutori (1).

Assicuratosi in tal maniera dell'esercito, il duca di Urbino si accostò a Perugia, e dopo averne ricavato una taglia del valore di 10 mila ducati, si volse addosso a Città di Castello. Ma la fama dei progressi ostili il costrinse a ritornare frettolosamente addietro. Per istrada saccheggiò la città di Iesi, e disfece un corpo di ottomila papalini. Se non che il tempo da lui vanamente speso nell'assedio di Corinaldo finì per consumare le sue forze. Si aggiunse che Lorenzo de' Medici trovò modo di scemargliele ancora più, promettendo tre paghe di ingaggiamento a chiunque abbandonasse il campo ducale. Oltreacciò gli ambasciatori dei re di Francia e di Spagna minacciavano tuttodi di richiamarne le soldatesche delle rispettive nazioni.

Stretto da tante necessità, dopo avere indarno tentato di insignorirsi di Pesaro, di Rimini ed anche di qualche luogo della Toscana, Francesco Maria della Rovere si piegò a concludere un accordo col papa. In forza del quale accordo venne prosciolto dalle scomuniche, e parti con Federigo da Bozzolo e colla scorta di 100 uomini d'arme e di 600 fanti in cerca di migliore fortuna. Dieci anni più tardi sfogava poi, come vedremo, le sue vendette sopra Roma e sopra

(1) Leoni, Vita di Francesco Maria della Rovere, II. 249.

un altro pontefice della medesima stirpe Medicea. Dei soldati che avevano militato in questa guerra, alcuni passarono agli stipendii della Spagna, i più si dispersero per l'Italia (1).

-1520

Il sommo pontefice si valse del vantaggio della A. 1518 vittoria per isterminare i residui delle signorie, che ancora duravano nello Stato della Chiesa. Chiamò a Roma sotto la falsa fede di un salvocondotto Giampaolo Baglioni, signore di Perugia, unico superstite dei condottieri che nel 1502 avevano congiurato contro il duca Valentino, e dopo aspre torture gli fece recidere il capo. Quindi col braccio specialmente di Giovanni de' Medici privò della vita e del dominio Luigi Freducci, figliuolo del famoso Oliverotto, l'Amadei, il Zibicchio e il Samiani, che rispettivamente tiranneggiavano Fermo, Recanati, Fabriano e Benevento. Ciò indusse tutti gli altri principotti a recarsi a Roma e giurarvi obbedienza.

Per ordine del medesimo pontefice, Giovanni de'Medici ripose pure in istato il signore di Sermoneta, ed occupò varie altre terre. Poscia avendo subodorato che il marchese di Pescara radunava di nascosto gente nell'Abruzzo, con tanta celerità gli marciò contro, che lo sorprese e fece prigione. Tostochè però seppe che il marchese operava d'intelligenza col papa, lo rimise in libertà (2).

Successe ancora sul finire dell'anno 1520, che un

(1) Vermiglioli, Vita di Malatesta Baglioni, doc. VI. — Guicciard. XIII. 314. - Ammirato, Storia, XXIX. 332. — Jovii, Vita Leonis X, lib. IV. p. 80.

(2) Ammirato, Opuscoli, t. III. p. 182. · Anonimo padov.,

ms. cit. dal Muratori AA. 1520.

Vol. IV.

corpo di tremila Spagnuoli destinati a ritornare in Ispagna sbarcarono contro il volere dei proprii capi sopra le spiagge della Calabria, e si avviarono verso Roma, con grande spavento del sommo pontefice, il quale dubitava ch'essi fossero per unirsi col duca di Urbino e cogli altri malcontenti per tirare qualche gran colpo. Ma un po' le armi opposte ad essi nella Marca di Ancona, un po' le minaccie e le persuasioni non tardarono a sperperarli (1).

IV.

Furono codesti torbidi, non so se dirò meglio, reA. 1521 liquie della guerra passata, o preludii di quella che nel 1524 suscitò il papa Leone x, in sostanza per la lusinga d'ingrandire la propria casa e riavere Parma e Piacenza già possedute da Giulio antecessor suo, ma sotto il pretesto di scacciare i Francesi dalla Lombardia, e darla a Francesco Maria Sforza, figliuolo di Ludovico il Moro, già duca di Milano. Col papa si alleò Carlo v, imperatore di Germania e re di Spagna; coi Francesi si confederarono i Veneziani; i quali tuttavia, ricordandosi dei danni e delle beffe guadagnati nelle alleanze passate, erano risoluti di procedere freddamente, e piuttosto pensare alla difesa propria che alla offesa altrui.

Nel campo spagnuolo-pontificio il comando supremo toccò in apparenza al marchese di Mantova, ma nel fatto a Prospero Colonna; quello delle fanterie spagnuole fu dato ad Alfonso d'Avalos marchese di Pescara, e quello dei cavalleggeri italiani a Giovanni

(1) Guicciard. XIII. 364.

de' Medici. Oltracciò molti fuorusciti milanesi colla persona di Francesco Maria Sforza dovevano erompere in Lombardia dalla parte di Como.

Comandava i Francesi il signore di Lautrec, povero di denari e di consigli; e sotto di lui militavano il signore di Lescuns suo fratello, e Federigo Gonzaga da Bozzolo sovraccennato. I Veneziani avevano commesso il carico della guerra a Teodoro Triulzio, col grado di governatore. Stavano inoltre con essi Marcantonio Colonna e il duca di Urbino, quegli senza titolo e grado, come soldato del re di Francia, questi trascinato dalle solite speranze dei fuorusciti. Del resto non pochi Tedeschi e Svizzeri a soldo servivano l'una e l'altra parte.

Cominciò il Colonna le ostilità, mettendo l'assedio alla città di Parma; ma bentosto, sbigottito dall'avvicinarsi dell'esercito francese, abbandonò l'impresa, e, avendo traghettato il Po a Brescello, si alloggiò tra il fiume e Casalmaggiore, col duplice intento e di alimentare più facilmente l'esercito, e di tenere in rispetto i Veneziani. Marciògli dietro il Lautrec: ma, siccome si l'uno che l'altro non voleva nè fare battaglia, nè essere il primo a muoversi, così i due eserciti stettersi a fronte senza far niente circa un mese, finchè gli Svizzeri, che militavano sotto il Lautrec, vennero richiamati in patria. Ciò costrinse i Francesi a ritirarsi al di là dell'Adda, ed a fortificarne la destra sponda.

Prospero Colonna non fu lento a seguitare il corso della propria fortuna, ed essendosi avvicinato all'Adda, quasichè volesse sforzare il ponte di Cassano, vi distese in faccia le sue genti. Ma nel medesimo tempo

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