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furono sulle prime i fondamenti dell'architettura militare. Del resto non scuole, non libri, non consorzio, non esperienze altrui ne facilitavano lo studio. Granchè, se colla pratica materiale dell'arte si propagavano nel discepolo le cognizioni, che il suo maestro da un altro maestro aveva appreso e coll'esercizio di tutta la propria vita aveva corretto e augumentato ! E a ciò si ristringeva il soccorso, che si poteva sperare da altri; il rimanente doveva compiersi per propria virtù.

Tali furono le prime sorti, non che dell'architettura militare, delle belle arti, e di tutte le discipline, che sono fondate sopra l'esperienza e l'analogia. Per la qual cosa non faccia meraviglia, se nella povertà di nozioni precise e speciali l'ingegno alto e potente abbracciava parecchi studi ad un tempo stesso, e nella pratica li riuniva in sè.

Uno di questi uomini fu appunto Francesco di Giorgio sullodato. Pittore, architetto, ingegnere idraulico e militare nella patria sua, già discepolo di quel frate Angelico da Fiesole, la cui evidenza e vivezza d'affetto non ebbe superiori, fu agli stipendii del duca di Urbino, ne decorò il palagio di bassorilievi come scultore, ne ristorò le fortezze come ingegnere, ne trattò le faccende come uomo di stato. Ai Cortonesi edificò la chiesa del Calcinaio, al prefetto di Roma costrusse alcune rôcche, a quei di Lucignano muni la lor terra, al duca di Milano porse buoni consigli intorno al modo di fare la cupola di quel duomo famoso, e insieme col gran Leonardo divisò ai Pavesi la fabbrica della loro cattedrale. Non fu egli appena ripatriato, che il duca d'Urbino, il prefetto di Roma, Virginio Orsini, i Luc

chesi, il re di Napoli andarono a gara per averlo seco: pel suo senno di fatti Otranto fu ritolta ai Turchi, e le sponde dell'Adriatico e le frontiere del regno di Napoli vennero messe in difesa.

Essendo ritornato di nuovo in patria, invano dal re di Napoli fu chiesto e richiesto caldamente alla repubblica di Siena. Francesco conosceva troppo i segreti di quello Stato per confidarsi, andandovi, di rivenirne a sua posta. Fattosi perciò di giunta fonditore e cesellatore di bronzi, tra l'esercizio dell'arte e delle patrie magistrature, e lo scrivere quelle regole, che la lunga esperienza gli aveva suggerito, chiuse gli ultimi anni di una vita gloriosa a sè, utile agli altri (1).

Mori Francesco verso il 1506: ma per tutto quel secolo l'architettura militare fu professione di Italiani. Leonardo da Vinci, il sommo uomo che tutte abbracciava le umane, discipline, propose le casematte staccate, tolse i piombatoi dalle torri, rimosse per breve spazio i torrioni dagli angoli del recinto, contramminò le mura, inclinò il parapetto, conobbe e figurò i cavalieri nella prima e nella seconda cerchia: Vannoccio Biringuccio con giuste ragioni dedotte dalla pratica atterrò l'alchimia, e fondò la parte tecnica della scienza metallurgica; trapanò i pezzi che in prima gettavansi coll'anima; descrisse le granate, le palle incendiarie, i carri e i letti dei pezzi: Niccolò Machiavelli soprastette al progetto di fortificare Firenze, e ne lasciò ai posteri l'esame: Niccolò Tartaglia fu primo a disputare circa gli effetti e la curva dei proietti rispetto all'inclinazione ed alla carica dei pezzi ; (1) Promis, Vita di Fr. di Giorgio, nelle aggiunte al costuj trattato d'architettura militare (Torino 1841).

aggiunse le traverse alle cortine a guisa di piccole piazze d'armi; migliorò i baluardi ei cavalieri, e studiò i modi di rivolgere a difesa le rovine delle mura: Galasso Alghisi applicò la cortina a tanaglia a qualunque poligono: Antonio Melloni adattò i bastioni ai poligoni stellati, elevando nell'angolo della tenaglia un cavaliere, e preparando dietro i baluardi una piazza in ritirata: Pietro Cattaneo dispose a squadra l'angolo del fianco, e trattò delle difese estemporanee: finalmente apparve Francesco De' Marchi, e l'arte del fortificare consegui forma e realtà di scienza (1).

Di codesti autori, alcuni solamente scrissero, alcuni scrissero e operarono. Nessuna vita più di quella degli ingegneri italiani era varia e laboriosa. Un uomo solo, che richiudeva solitamente in sè la pratica di tutte le arti del disegno, perlustrava da un capo all'altro l'Europa, e qua disegnava fortezze, là costruiva palagi, o gettava statue, o dipingeva pareti, o conduceva ignote acque a città lontane, o armato di spada e di usbergo comandava le schiere. I patti dei loro servigi stipulavansi in iscritto. Chiamavasi condotta l'assoldamento, rafferma la rinnovazione di esso: passavasi da una condotta all'altra mediante un ben servito del primo signore (2). Basti ciò per dimostrare l'analogia loro colle milizie venturiere.

Pochi ingegneri italiani ebbero vita più travagliosa di Muzio Oddi, pochi l'ebbero più prospera di Fran

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(1) Promis, Aggiunte citate, Memoria I.

(2) « Terminai il tempo della mia condotta li 20 di maggio: pregai questi EE. SS. a volermi dare un ben servito: << me lo promessero, e sono andati trattenendomi tanto con « diverse scuse, finchè invece di esso mi hanno offerto la

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rafferma ». Lettera inedita di Muzio Oddi dell'A. 1625.

cesco Paciotto, che uguali quanto alla patria ed alla professione la fortuna diversificò troppo ingiustamente. Di entrambi narreremo in breve le vicende, acciocchè servano come di misura per giudicare quelle di tutti gli altri.

Nacque Muzio Oddi in Urbino l'anno 1569, e dapprima si applicò alla pittura; tralasciolla per debolezza di vista, e diedesi alle matematiche. Nel 1595 dovendo quel duca spedire in Borgogna all'esercito spagnuolo un reggimento di tremila suoi sudditi, vi deputò l'Oddi come ingegnere e capo delle artiglierie. Posciachè questi fu tornato in patria, venne nominato architetto ducale, e diresse le feste ordinate pel passaggio di papa Clemente viii.

Codeste prime fortune destarono per avventura in lui fastó e superbia, negli altri invidia e persecuzione. Bentosto per non so quali sospetti fu chiuso in fondo al più infame carcere della Rocca di Pesaro. Quivi a. 1601 stette quattro anni senza luce, otto senza libertà e senz'agio di leggere e di scrivere. Pure, avendo convertito in calamaio un guscio di noce, in stoppaccio la lana delle coltri, in inchiostro la polvere di carbone stemprata nell'acqua, in compasso due bacchettine legate, in carta alcune cartastraccie incollate con poltiglia di pane, giunse a scrivere parecchi trattati intorno gli orologi solari, lo squadro, e altre cose di architettura e geometria.

Alfine dalla prigione passò all'esiglio, e venne rilegato a Milano. Quivi, essendo vacata una cattedra alle scuole palatine, vi concorse, e fu eletto. Così visse tre anni in Lombardia. Nel 1614 seguì, come ingegnere militare, il campo spagnuolo alla guerra del

Piemonte. Nel 1618 provvide ad istanza dei Lucchesi contro le innondazioni del fiume Serchio, visitò per ordine del governo di Spagna le fortezze della Lombardia, e insegnò in Milano l'architettura speculativa. Cinque anni appresso era chiamato a Bologna per controversie d'idraulica, indi a Lucca per dieci anni come ingegnere maggiore di quella repubblica.

Ma in tutte codeste peregrinazioni un sol desiderio aveva egli fisso in cuore, quello della patria sua, e di un poco di riposo. Ora da quella lo teneva lontano un crudel bando; da questo l'invidia degli emuli, e l'acerbità della sorte. Rivide Urbino soltanto nel 1655: ma non potendo piantarvi dimora scelse di starne men discosto al possibile, e si acconciò per architetto del santuario di Loreto. L'anno seguente fu nominato professore in patria: ma questa lieta notizia non ritrovò più che un corpo affralito da somme fatiche e A. 1639 angoscie. Sul letto di morte Muzio Oddi ricevè altresì

dal governatore di Milano l'invito di portarsi colà, col grado di consigliere di guerra e di generale supremo dell'artiglieria. Tardi onori, che il mondo serba a coloro che egli teme od odia!

Nacque Francesco Paciotto in Urbino, quand' essa A. 1521 era ornata stanza di ogni gentile disciplina. Essendo passato a Roma per istudiarvi gli antichi monumenti, cooperò alla fabbrica di s. Pietro, e forse all'istituzione dell'accademia della Virtù, il cui scopo era d'illustrare Vitruvio e tutta l'antica architettura. Colà si insinuò nelle grazie dei Farnesi, che signoreggiavano A. 1551 Parma, e s'industriò di maniera che lo presero ai

proprii stipendii. Nel 1555 il duca di Savoia Emanuele Filiberto gli offerse il grado d'ingegnere ge

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