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nerale colla provvisione di sessanta scudi al mese. Il Paciotto accettolla con licenza del Farnese, come accettò poco stante un simile invito dal papa Giulio III. Poscia ritornava a Parma, e fortificava al suo principe a. 1558 le terre di Montecchio e Scandiano. L'anno seguente ad istanza del duca Emanuele Filiberto passò in Fiandra ai servigi del re cattolico, dal quale poco stante era creato cavaliere ed ingegnere maggiore, e donato di una ricca collana e di sei mila scudi. Di colà frattanto dirigeva la costruzione delle nuove fortificazioni del Piemonte e del palazzo incominciato in Piacenza per Margherita d'Austria.

Essendo stata proclamata la pace, il Paciotto si recò a Parigi, dove si festeggiavano le nozze del duca di Savoia. In certo viottolo due malandrini l'assalirono per ispogliarlo della collana: egli, messa mano alla spada, uno ne uccise, l'altro ne ferì. Ciò gli valse alte lodi e pingui doni per parte dei principi raccolti in quella città. Finite le feste rivalicò egli le Alpi al seguito della duchessa sposa; e tosto si occupava a dare consigli alle città di Lucca e di Genova intorno le loro fortezze, ed a munire pel duca di Savoia le piazze di Savigliano, di Nizza e di Vercelli. Nel 1564 ricevette da Madrid la patente d'ingegnere maggiore della Lombardia, e l'invito di recarsi colà in poste, per dare il suo parere circa i disegni di una cittadella presso Tunisi, e della chiesa e del monastero dell'Escuriale.

Da Madrid il Paciotto ritornò in Piemonte carico di doni e di onori, visitando per via le fortificazioni del regno di Napoli, ordinando nuove riparazioni alla cittadella di Milano, e compilando lo specchio di tutte

le fortezze della Spagna. Fece anche una fuggevole visita alla nativa Urbino. Nel 1562 diede principio in Piemonte a quella rete di fortezze, che ne furono per lungo tempo la salvaguardia. La prima di tutte e la più celebre fu la cittadella di Torino; sicchè il duca d'Alba, che arruolava in Italia un esercito per domare le Fiandre, pensò di farne costrurre una simile in A. 1567 Anversa. A tale effetto chiese per certo tempo al duca Emanuele Filiberto la persona del Paciotto, e lo menò seco.

L'anno seguente Francesco Paciotto presentava al A. 1568 duca di Savoia i disegni di due nuove fortezze, l'una in Borgo in Bressa, l'altra a fronte di Ginevra: quindi, avendo deputato il proprio fratello a farli eseguire, si recava in patria, dove la corte ei cittadini gli avevano preparato feste solenni. Ma infami calunnie di tradimento presso il duca di Savoia erano per amareggiargliele. Dopo gravi difficoltà ottenne di sottoporre le sue discolpe ad un'apposita deputazione, e ne uscì innocente. Volle egli allora vedere in viso coloro, che l'avevano A. 1572 calunniato. Ciò fatto, lasciò per sempre i servigi del

Piemonte, ed assunse l'incarico di ingegnere maggiore della Chiesa colla sovraintendenza di tutte le fortezze. Cominciò allora ad operare in lui quel tormento, che il mondo invidia e reputa gloria, cioè cercar quiete, e non trovare che onori. Il re di Francia l'invito a visitare le sue fortezze, il duca d'Urbino lo nominò conte di Montefabbri, il papa lo inviò ad asciugare le paludi Ravennati; e il Paciotto andò ancora tre volte in Toscana, una nel regno di Napoli ed una a Mantova; a Roma poi, a Ferrara, a Ravenna frequentemente: a Livorno costrusse un fortino: al re di Spagna mandò

i disegni di nuove fortezze nell'America; talchè forse le mura di quel s. Giovanni d'Ulloa, che vennero testè squassate dalle artiglierie francesi, furono costrutte giusta i suggerimenti di lui.

1591

Mori di 70 anni. Ma prima compilò un elenco di 15 luglio tutte le cose da se stesso fatte o ideate, di tutti gli inviti avuti, delle lettere patenti, delle onorificenze, dei regali, delle provvisioni, dei titoli conseguiti. Fu armato cavaliere, ebbe dal re di Portogallo la croce dell'ordine di Cristo, fu stipendiato da quasi tutti i principi d'Europa, di cui chi gli dotò la moglie, chi gli donò case ovvero entrate, chi gli regalò collane, tazze, denari o vesti (1).

V.

Un'altra cosa degna di venire avvertita in codesti ingegneri mercenarii è la facilità, colla quale dalla propria occupazione di difendere e di oppugnare le piazze passavano all'esercizio diretto della guerra, e da questo a quella.

Ciò succedeva in primo luogo, perchè molti capitani di guerra trattavano, come professione secondaria, l'arte dell'ingegnere. Tale fu Francesco Maria della Rovere duca di Urbino, che contese lungo tempo presso i posteri a Francesco di Giorgio l'onore d'aver inventato i bastioni, e che pure va glorioso d'avere saputo coordinare nelle espugnazioni i lavori di pala e di zappa, e di avere terrapienato muri e ripari, costrutto cavalieri non tanto per le ritirate quanto

(1) Le notizie relative al Paciotto e all'Oddi sono estratte dalla dotta storia, tuttora inedita, dell'architettura militare di Carlo Promis.

per la difesa delle cortine e offesa della campagna, e rimosso le artiglierie dalle casematte, e postole sopra piazze e cannoniere scoperte (1). Aggiungeremo, che tra i molti generali italiani, i quali con egregi fatti prolungarono in Europa la fama guerresca di una nazione che più non era, pochi furono, i quali non divenissero generali d'artiglieria, e non conoscessero bene l'arte del fortificare. Accenneremo fra questi soltanto il marchese di Marignano, Pietro Strozzi, Ambrogio Spinola, Andrea Cantelmo, Torquato Conti duca di Guadagnolo, Lelio Brancaccio, Alessandro del Borro, Carlo Andrea Caracciolo marchese di Torrecusa, Girolamo Caraffa marchese di Montenegro, Giovan Francesco Serra (2).

Del resto ancora nel xvir secolo in Francia ciascun reggimento aveva parecchi officiali, che spontaneamente si applicavano all'arte dell'ingegnere, per riceverne alla fine il titolo. Allora senza rinunziare al primitivo lor grado, si conducevano qua e là alle operazioni degli assedii. Tale fu l'educazione del maresciallo di Vauban (5).

In secondo luogo eranvi non pochi ingegneri, che all'uopo levavano una compagnia o ne accettavano dai principi il comando, epperciò professavano ora l'una, ora l'altra occupazione, ora tutte e due simultaneamente. Già quasi tutti portavano il titolo di capitano. Carlo, figliuolo primogenito di Francesco Paciotto, dapprima fu capitano e colonnello ai servigi della Francia, poscia ingegnere del duca di

(1) Leoni, Vita del duca di Urbino, lib. III. p. 457. (2) Di questo personaggio esiste una vita ms. in Genova nella biblioteca Durazzo.

(3) Allent, Hist. du Génie, p. 42.

Mantova nelle guerre d'Ungheria, quindi capitano di una compagnia di fanti all' assedio di Kanisa, e capitano al soldo della Spagna nella guerra del Piemonte: mori poi governatore di Sinigaglia.

Insomma, Bernardino da Vimercate, profugo, soldato ed ingegnere; Gabriele Tadini da Martinengo, ingegnere delle fortezze nell'isola di Candia, e colonnello delle milizie venete; Leonardo Signorelli da Perugia, poeta, ingegnere, capitano di fanti e capitano generale delle artiglierie durante l'assedio di Firenze (1); il Bellucci da S. Marino ingegnere del granduca di Toscana, e capitano di una compagnia di 200 fanti sotto le mura di Siena (2), bastino ad esempio di questa operosità italiana, che sospingeva il Castriotto, il Maggi e Camillo Marini a perdere la vita in lontani paesi, e traeva il genovese Bosio sino in Russia e il Ridolfini da Camerino sino in Transilvania, quello per fondervi bombarde di grandezza straordinaria, questo per adoperarvi contro i nemici palle infuocate.

I grandi assedii erano l'esca a cui tutti codesti valentuomini accorrevano. I Paesi Bassi, pieni di luoghi e per natura e per arte fortissimi, furono il campo più luminoso del loro sapere; talchè sembrò talora che tutta l'Italia vi si fosse riversata. Quale Italiano infatti vi fondeva le pernici, sorta di mortai, dai quali dovevano sortire nel medesimo tempo bombe e granate con danno e sterminio grandissimo (5); quale vi (1) Con ferma di un anno, ed uno a beneplacito. Varchi, Storie, t. IV. p. 214.

(2) Adriani, Storie, lib. X. 547. Promis, aggiunte cit. passim. (3) Un certo Petri.

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