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capitano, e in pari misura veniva esercitato. La infingardaggine, la vigliaccheria, la perfidia (1) contaminano la storia militare del xvi e del xvii secolo.

In secondo luogo, e già altrove l'avvertimmo, le soldatesche mercenarie non potevano ammettere stabilità di disciplina. Nelle milizie nazionali il generale, non meno del capitano e del soldato, è eletto e pagato dal principe, che a sua voglia lo manda qua o là, lo sospende dall'ufficio, e lo assoggetta, quand'egli pecchi, al rigore dei tribunali. Perciò l'uomo di guerra, scorgendo sopra qualsiasi rispetto di amicizia o di pietà elevarsi inesorabili leggi, scritte, palesi, da secoli senza riparo eseguite, e veggendo intorno a sè innalzati ad impedimento di fuga tutti i poteri dello Stato, da una sola mente mossi, ad un solo scopo ordinati, o non trasgredisce la legge, o, se la trasgredisce, quasi non spera nemmeno di sfuggirne il peso.

<< nerlo, che ve asicuro che favite ha uno aficionatisimo ser« vitore di V. Exc. et per eserli io tanto afecionato servi«tore me dà ardire de rechiederle ....».

(Molini, Docum. di storia italiana, num. 159).

(1) A. 1553.... <«< Gli rispose, che lui era paratissimo, <«< ma che avvertisse bene che il trattato non fosse doppio, «<e che loro tutti fossero tagliati a pezzi. Rispose il detto << signor Ascanio, che molto bene a ciò pensato aveva; e «< che ordinaria che essendo il trattato doppio, riuscisse in << terzo.... Pensando il signor Piero che il signor Ascanio << dovesse andare con gente grossa per fare il trattato in << terzo, ordinò che riuscisse in quarto: imperciocchè....

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Sozzini, Rivoluz. di Siena, p. 193. (Archivio storico, t. II). A. 1554. « Il march. di Marignano scrisse una lettera al capitano G. Zeti, quale era a guardia di Montereggioni per <«< i Franzesi, e gliela mandò a nome del signor P. Strozzi con sigilli falsi per cavarlo di detto castello: ma non gli riu« scì........ » Ibid. p. 237.

Al contrario nei tempi andati poteva il reo rinvenire perdono nella bontà o nella bizzarria del suo capo. D'altra parte pochi passi bastavangli per evitare la pena: ogni altra schiera, ogni altro sito gli offeriva impunità e guadagno; sicchè l'incertezza del castigo era quasi di stimolo a mal fare.

In sostanza nè i costumi nè le leggi valevano a tenere a freno le milizie mercenarie, e ben giustamente si poteva asserire che lo Stato perdeva tanti uomini, quanti si davano a tale esercizio. «Mettevasi (narra un recente storico della Svizzera) la più forte ed operosa gioventù ai soldi altrui, e fallivano all'agricoltura le braccia, e spesso incolte abbandonavansi le campagne. Al suo ritorno portava in patria ricchezze che le servivano per opprimere il popolo, titoli ed insegne di nobiltà che avvilivano quelli di minor sorte, il corpo corrotto dalle crapule e da ogni sorta di vizii, ed esempi nefandi di licenza. Rotta la ugualità civile tra cittadino e cittadino, facilmente scioglievasi quella tra cantone e cantone. I re trovavano ben essi il modo di accarezzarne le avare cupidigie: ambasciadori, messi, agenti, seducevano i principali personaggi, e smembravano la provincia in fazioni. Tal cantone diventava francese; tale era veneziano, tale spagnuolo; ma svizzero non più. . . . . Le terre straniere furono tomba ai corpi ed alla glo-. ria degli Svizzeri » (1).

II.

Un risultato, a produrre il quale concorsero senza dubbio le compagnie di ventura, fu l'equilibrio poli(1) Zschokke, ch. XXX.

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tico che si potè dire cominciasse con esse verso il 1350 tra i più ricchi ed i più vasti Stati dell'Italia. Firenze, Venezia e Roma, potenti in denaro, stettero contro a Milano, Napoli e Verona potenti in territorio: l'oro pareggiò le partite.

Nelle guerre odierne scende un popolo contro l'altro, animato da proprii affetti ed interessi. Si combatte, si vince dall'una o dall'altra parte con sangue e con danni: il perditore chiede pace, e, ottenutala, se la tien cara per saldare le sue ferite; e altresì l'ha cara il vincitore per assecurarsi e usufruttare gli acquisti. Tutti gli altri principi, stante il vantaggio del proprio commercio e riposo, restano, per così dire, garanti di quell'accordo. Per altra parte, siccome le battaglie sono decisive, brevi e rari gli assedii, grossi gli eserciti, veloci le loro operazioni, così molto più presto la fortuna palesa a qual lato essa inclina; qualsiasi pur lieve dimostrazione che facciano le altre potenze per affrettare il fine della contesa, condurrà il più debole a ricevere oneste condizioni di pace.

Inoltre, atteso l'odierno sistema della leva militare, benchè la finanza entri grandemente a determinare la potenza di uno Stato, tuttavia (massime nel principio delle ostilità) questa valuterassi soprattutto dalla popolazione e dal costei animo verso il governo e la causa abbracciata. Più tardi, nella feracità del suolo, nella ricchezza dell'industria, nell'abilità dei capi, nel sentimento dell'onore nazionale e della gloria privata, ritrovano gli accorti principi forze recondite e sovente meravigliose, onde resistere lungamente agli assalti esterni.

Per l'opposito, nei tempi di cui trattiamo, la nazione prendeva quasi nessuna parte personalmente alla guerra; la quale perciò senza sdegno e senza sangue conducevasi da uomini prezzolati. Condottiero a condottiero opponevasi: l'ultimo scudo procacciava l'ultimo soldato. Perciò la forza militare degli Stati, le conseguenze di una lunga guerra, la vittoria e la sconfitta si misuravano a denari; e le repubbliche, che più ne avevano, calcolavano fino a qual tempo il nemico poteva resistere loro (1). Come le disfatte

(1) « Risp..... e insino che si fece la 'mpresa dello 'mpe<< radore previdono i Fiorentini, che delle due cose, avea <«< a seguire l'una, cioè, o essere il duca (Gian Galeazzo Vi« sconti duca di Milano) vinto dalla forza de' nemici, o se << si difendesse con molta gente, che si recasse addosso a « soldo, che la disordinata spesa il facesse pericolare: e quasi « aveano molti fatta la ragione colla penna in mano, e di« ceano come di cosa certa: tanto può durare; perchè sa«peano lo intrinsico dell'animo de' suoi terrazzani e a Fi<< renze s'era deliberato di tenere tanta gente che bastasse « alle difese, e poterla pagare e mantenere in perpetuo bisognando....

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« Dim. Or dimmi, perchè lo stare a lunga guerra non potea consumare i Fiorentini, come il duca?

« Risp. Dicoti di no per la ragione già allegata, che egli «< colla sfrenata volontà s'avea arrecato a dosso peso e soma <«< impossibile a poterla lungamente portare e sostenere, e << era veduto e conosciuto per li Fiorentini che v'aveva a schioppare sotto: e i Fiorentini, come v'ho detto, eglino << s'erano come prudenti regolati con misura a tenere quella << gente e spesa, la quale, essendo bisognato, avrebbono sem<«< pre potuto mantenere » (Dati, Cronaca, p. 67).

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Ecco in qual modo il medesimo autore (1. cit. p. 128) calcola il risultato delle guerre sostenute dalla repubblica di Firenze sulla fine del XIV secolo.

« Nella guerra dei Fiorentini col papa, dal 1365 al 1368, spesero 2,500,000 fiorini d'oro.

erano di lieve danno, così le vittorie di lieve profitto: ondechè le liti non si estinguevano quasi mai: le paci diventavano tregue, le tregue guerre occulte.

Mediante cosiffatto sistema i territorii delle potenze belligeranti non variavansi in modo sensibile. Se ciò non fosse stato, se Firenze e Milano avessero dovuto impiegare in guerra soltanto i proprii sudditi, invano la prima, padrona appena di Arezzo, di Pistoia e di pochi altri luoghi, si sarebbe messo in capo di opporsi al duca Gian Galeazzo Visconti, le cui provincie estendevansi dalle Alpi a Ravenna. Ma quella e questi si trovavano in necessità di valersi delle compagnie di ventura; e le compagnie di ventura dall'indole e dall'interesse proprio erano condotte a tenere sempre la bilancia librata fra i combattenti. Così, dopo tante guerre sostenute dalla Lega dei Fiorentini e Veneziani contro Filippo Maria Visconti, che ebbe egli perduto o guadagnato? Così Firenze consumò tanti anni inutilmente intorno a Lucca, e i papi buttarono via tanto denaro per assoggettare i principotti della Romagna, e Ladislao re di Napoli vanamente aspirò alla signoria d'Italia.

Ciò che noi diciamo è tanto vero, che dopo mezzo

« Nella seconda guerra col conte di Virtù dal 1395 al 1398, spesero 1,800,000 fiorini.

<< Nella terza guerra dal 1401 al 1404 spesero 2,500,000 fiorini, computati quelli dati all'imperatore.

<< Nella guerra di Pisa del 1405, che durò un anno e mesi, spesero 1,500,000 fiorini.

Cosi ragguagliando il fiorino di Firenze a L. 16. 66, secondo il ch. cav. Cibrario, la somma totale spesa dalla repubblica in codesti dieci anni e mezzo di guerra monterebbe a 138 milioni circa.

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