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I venturieri italiani dopo le Compagnie.

I.

Dappoichè l'Italia perdette sotto i colpi dello straniero il possesso e il sentimento della propria indipendenza, l'individuo italiano, grande per natura, ambizioso e solitario, non ritrovando nel suo paese un sufficiente campo alla guerresca sua attività, fu necessitato a portarla fuori di patria. Quivi fra immensi ostacoli, per variissime strade seppe egli pur giungere sovente ai sommi onori, e compensare quasi colla gloria dei privati suoi sforzi la ignavia pubblica della nazione.

Ciò indurrebbe a credere, nè affatto a torto, che lo spirito di ventura, il quale aveva invaso il medio evo, e prodotto o fomentato la instituzione delle compagnie, continuasse a reggere i destini degli Italiani. Ondechè codesti sforzi individuali si dovrebbero considerare come un seguito della milizia venturiera dei secoli antecedenti. E per verità noi credemmo pregio dell'opera di raccogliere i tratti più caratteristici di alcuni venturieri italiani del xvi e del xvII secolo, e riferirli qui, quasi a compimento della storia militare d'Italia.

Senonchè la milizia non era che una delle molte forme, sotto le quali lo spirito italiano, compresso nel suo nido nativo, esalava nelle altre parti del mondo. La causa che lo sospingeva fuori di patria a faticosi e strani conati, era molto più potente e intrinseca, che non la continuazione dello spirito di

ventura. Ci scusi perciò il lettore, se prima di entrare in quei racconti ce ne dilungheremo alquanto per ricercare cotal causa; il che ne condurrà ad esaminare brevissimamente le condizioni sociali e politiche dell'Italia e degl'Italiani nei secoli accennati. Ad altri uomini e tempi apparterrà la cura di formare di tutti quegli sforzi individuali una storia degl' Italiani fuori d'Italia, e sopra di essa appoggiare quella delle maggiori scoperte, che onorino la presente civiltà.

Grandi veramente, e quasi incredibili, furono i danni arrecati all'Italia dalla dominazione degli Spagnuoli. Nel 1550 tale era la miseria della Lombardia, che le genti non ardivano uscir dai villaggi, se non in compagnia, per tema dei lupi, che divoravano femmine e fanciulli: Milano, che nel sec. xv noverava per comun voce 300 mila abitanti, nel xvi più non ne aveva che 100 mila: il Fuentes, uno pur dei migliori governatori di essa provincia, mandava in galera chi voleva (1): a Napoli il vicerè D. Pietro di Toledo faceva scannare da un suo schiavo tre nobili giovanetti, sol perchè si erano opposti con qualche parola alle insolenze dei birri, che menavano via un pover uomo (2) i governatori vendevano le cariche: i magi

(1) Verri, Storia di Milano, t. IV. p. 73, 144. 175 (Milano 1825).

(2) Conti, Storie, lib. II. f. 37.

Nell'anno 1579 il vicerè « risolse un dì di fare che Napoli mangiasse pane di radiche di certa erba chiamata << pan porcino; che poi si sospese, dicendo che ciò era fatto << solo per vedere se in occasion di bisogno potea servire ». Un'altra volta mandò soldati a levar dal monastero di san Sebastiano la figlia del principe di Stigliano per accasarla a forza con un suo figlio.

Relaz. di Napoli (Tesoro politico, t. I. 317).

strati se ne rifacevano a forza di angarie sopra i sudditi (1): il governo per far denaro infeudava i Comuni ancor liberi ai baroni, che soffocavano nel sangue le voci della giustizia, e vita, onore e sostanze, ogni cosa occupavano. Scadeva l'agricoltura, e tuttavia le imposte moltiplicavansi insino al quintuplo: il lavoratore, che nulla possedeva, s'ebbe a querelare di dover pagare otto ducati l'anno di tributi ; ma le querele furono vane. Lo Stato profittava della industria serica: i vicerè ne gravarono l'esportazione di un carlino per libbra, e l'industria scemò (2). Le marine chiedevano difesa, i porti agevolezze, i terreni protezione; e invece tutto l'oro, tutte le forze dello Stato mandavansi oltre il mare, ad ingrassare piuttosto i ministri che il principe (3).

Questi erano i mali ordinarii. Quando essi erano giunti al colmo, i sudditi, dopo avere invano supplicato a voce e per ambasciatori, rimostrato e sussurrato, afferravano le armi, e si rivoltavano. Se non che da una parte la naturale incostanza e le intestine emulazioni loro, dall' altra le migliori armi, e talora anche le ingannevoli offerte dei dominatori non tardavano a

(1) Ranke, Hist. des Osmanlis et de la monarchie espagnole, pag. 455.

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(2) Ranke, 1. c. pag. 386.

(3) « Era il proverbio divolgato: il ministro di Sicilia rode, quel di Napoli mangia, et quel di Milano divora ». Relaz. di Milano (Tesoro polit. t. I. p. 326).

<<< Il duca di Sessa.......... in 25 mesi che governò lo Stato « di Milano, nell'ultima guerra con Francia, ne cavò due « milioni e 70,000 scudi d'oro... e questo oltre l'entrata ordinaria, che importò intorno ad un milione e sette in « ottocento mila ducati »>.

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Relaz. di Milano, p. 477 (Relaz. venete).

quietarli. Allora il popolo, accortosi di avere addoppiato agli antichi mali i nuovi, alle vecchie imposte quelle cagionate dalla rivolta, spatriava a stormi.

A codesti esigli aggiungevansi quelli prodotti dal diverso sentire in materia di religione, e da tutte le personalità proprie dei piccioli Stati. Nel xvII secolo per esempio tal copia di Italiani protestanti si trovava in Ginevra, che ogni giovedì vi si predicava nel loro idioma (1). Da una lettera patente del re di Francia appare che i gentiluomini Italiani alimentati dalla cassetta dei suoi risparmii nel 1585 sommavano al numero di 21, fra i quali un Caracciolo, un Ubaldini, un Alamanni, tre Giustiniani, un Fieschi, un Marcello, nomi storici (2). Quali fossero nell'esiglio le costoro miserie, i pensieri ed i travagli, parte si può argomentare dalla storia degli esuli di tutti i tempi, parte dimostrerassi più sotto (3).

(1) Leti, Italia regnante, t. 1. p 37 (Ginevra 1675). (2) Cabinet de Mr Courcelles (titoli originali presso S. E. il cav. Saluzzo).

(3) I seguenti brani di lettera basteranno a mettere al nudo la condizione dei profughi Italiani nel 1530.

« La Exc. V. sia advertita, che appresso de Poiteu sta <«< impegnato ala hostaria lo marchese de Montesarchio e lo « sig. Ferrante suo fratre senza posserse movere de lì in tanta «< extrema necessità, che è una compassione.

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....

*

« Suplico piaza avere ancho per raccomandati li sopto scripti, che tutta la guerra hanno servito con me al re «< cristianiss.; et se per avventura serà dato rollo per alcuno « de noi altri a la Exe. V. la certifico ecc... .. »

* M. Caracciolo, Capitano E. di Actia, Capitano Camillo di Monte, G. G. Caracciolo, G. P. Lizio, Cristoforo Luceri, Capitano M. Lanzalunga, Capitano Niccolò Graffiano.

Lettera del principe di Melfi al Montmorency.

Molini, Docum, di storia italiana no 356.

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