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bardia. Ma questi mori nel 1556. Il marchese del Vasto che gli successe, per vendetta di antiche animosità col Leyva, diede luogo a mortali accuse contro al Medici, e dopo aver pranzato festevolmente con lui, fece arrestarlo, e formargli addosso un severo processo.

Durò la prigionia del Medici 18 mesi; e sarebbe durata molto più, se un comando espresso di Carlo v non le avesse imposto termine. Indi in poi non incontrò egli più ostacoli alla sua fortuna. Militò sotto Carlo v nelle Fiandre; militò in Ungheria sotto quel re, e gli difese Strigonia dai Turchi; fu nel 1545 generale delle artiglierie imperiali all'assedio di Landrecy contro altri Italiani fuorusciti; compresse i rivoltosi dell'Ungheria, e liberò la persona del re assediato da essi nel castello di Praga; nel 1546 guerreggiò in Alemagna contro la Lega Protestante, contro la quale guerreggiavano pure i più illustri guerrieri d'Italia, come Emanuele Filiberto principe di Savoia, Ottavio Farnese, Francesco d'Este, Giambattista Savelli, Ridolfo Baglioni, Alessandro Vitelli, il duca di Castrovilla, Giambattista Castaldo, Ippolito Porto, che vi fece prigione Gian Federigo di Sassonia, Niccolò e Aliprando Madrucci, il principe di Sulmona, il marchese Malaspina, Giambattista del Borgo e il colonnello Pozzi (1).

I servigi resi da questi Italiani furono tali, che la storia degnò di conservarne particolare ricordanza. Pochi erano e molta fama si acquistarono. Quanto al marchese di Marignano, diremo che dalle guerre di Germania passò a quelle d'Italia. Ma fu quivi breve (1) Conti, Storie, lib. I. II. passim,

la sua fermata; posciachè, avendo ricevuto l'ordine di arrolare in fretta 4 mila fanti, li condusse all'assedio di Metz, dove nuovamente diresse, benchè a malincuore, le artiglierie.

Di colà il marchese di Marignano ritornò in Italia col nome del più esercitato e prudente capitano; perlocchè dall'imperatore e da Cosimo duca di Toscana venne eletto al governo della comune impresa da loro ideata contro Siena. Quivi il Marignano ebbe a fronte quel medesimo Pietro Strozzi, contro il quale - già aveva combattuto sotto Metz, sotto Parma e in Germania. Rara attività e sventura degli Italiani, che, per così dire, li trascinava da un capo all'altro di Europa a ferirsi mutuamente! Il Marignano deliberò di sottomettere Siena mediante la fame; e dopo gravi e lunghe fatiche vi riuscì: però non mai, quanto in quell'assedio, fu tanto spietato verso i nemici, odioso verso gli amici, superbo, avaro, intollerante.

Mori di gotta poco dopo le feste celebrate per l'acquisto di Siena. La sua fama e le sue aderenze agevolarono le strade del pontificato al fratello (1).

IV.

Alla battaglia di Lépanto, nella quale rinnovaronsi i prodigi delle crociate, un'ala sola dei Musulmani non fu vinta, ma anzi ruppe le navi dell'Ordine di Malta e conquistonne lo stendardo. Guidavala un bascià di Algeri, che, appena sbarcato a Costantinopoli, chiese udienza al sultano. Aveva questi con terribili minaccie avvertita la sua corte di non volere

(1) Nel duomo di Milano è la sua statua in piedi per mano del cav. Leone Leoni.

veder persona, nè udire cosa che a Lepanto si riferisse. Occhiali (così nomavasi quel bascià (1)) entrò quasi a forza dal suo principe, ne affrontò la collera, e ne uscì più grande e più stimato. Poco stante col riacquisto della Goletta, fortezza riputata inespugnabile, che da 40 anni era posseduta dai Cristiani, compensava i danni della sconfitta di Lépanto, e ne aveva in premio maggiori onori, e infine il grado supremo di capitano bascià.

Ora questo Occhiali era italiano, nato in Calabria da poveri genitori. Fattosi frate, nell'andare a Napoli per istudiarvi, fu preso dai Turchi : rinnegò, si segnalò colla sua bravura, si impadroni di una nave e si fece corsaro: bentosto, avendo alla prima nave aggiuntone altre, diventò il terrore del Mediterraneo ed il sostegno della mezzaluna.

Ma in quel feroce core era una continua battaglia tra il dovere e l'ambizione, tra la fede antica e il comodo presente. Quei principii religiosi, ch' egli aveva succhiato col latte, quelle pure affezioni di famiglia, fra le quali era stato allevato, stavangli fissi in petto; sicchè talora afferrava colle sue navi il lido calabrese, e mentre le ciurme mettevano a preda e a fiamme le spiaggie, egli recavasi non visto alla solitaria casupola dei suoi parenti, ad abbracciarli e ragionare con loro: poscia piangendo li lasciava per ritornare alla usata vita da musulmano (2).

(1) Cioè Kilig-Ali, da Kilig o spada, nome simbolico da esso lui assunto.

(2) Brantôme, Vie d'Ucchialy, t. II. — Relazione degli ambasciatori veneti, serie III. t. I, p. 382.

Occhiali mori verso il 1577 sotto il regno di Amurath III;

Dalla medesima Calabria trasse i natali nel 1602 Giulio Mazarino, che passò la prima età negli studii a Roma e in Ispagna, e fu poscia uffiziale nella guerra della Valtellina. Essendo quindi entrato nelle grazie del cardinale Sacchetti, lo aiutò nell'assestamento delle cose di Ferrara e di Mantova, e, partito lui, ne sostenne le veci. Uso a trattare alla spagnuola cogli Spagnuoli, alla francese coi Francesi, mediante la pieghevolezza dei costumi, l'affettata modestia, l'attrattiva del discorso e la nobiltà del tratto, si conciliò a mano a mano gli animi del Papa, del duca di Savoia e del cardinale di Richelieu, sicchè ne ottenne onorevoli commissioni in Piemonte, il titolo di monsignore, la vicelegazione d'Avignone, e la nunziatura apostolica a Parigi. Ciò gli conciliò l'odio degli Spagnuoli, e quest'odio gli fruttò l'affezione del re di Francia, e il cappello cardinalizio.

Quindi fu plenipotenziario alle trattative per la pace generale, ambasciatore del re di Francia in Piemonte, compagno nel viaggio di Linguadoca al Richelieu, alla fine successore di lui nel governo di quel regno (1). Il resto della sua vita appartiene alla storia dell'Europa.

Undici anni dopo la morte del cardinale Mazarino, nasceva nei sobborghi di Piacenza da un povero ortolano quell'Alberoni, che, divenuto più tardi cardinale ed arbitro della Spagna, era per isconvolgere

fu sepolto nell'interno di una magnifica moschea ch'egli aveva fatto costrurre a Tophana, accanto alla quale aveva pure innalzato un collegio capace di cento allievi.

(1) Gualdo, Storia del ministero del Mazarino, lib. Í (Bologna, 1677) - Crasso, Elogi cit., p. 355.

-1656

coi suoi maneggi l'Europa. Così l'influenza degli Italiani passava sotto mille aspetti quasi in eredità dagli uni agli altri.

J

Come venturiere, ora colla picca, ora col moschetto in ispalla, il modenese Raimondo Montecuccoli imparò la milizia in Germania sotto la disciplina del conte Rambaldo di Collalto. Aveva questo terribile condottiero, trivigiano di origine, segnalato il suo nome alla Dieta d'Ungheria; perchè, veggendovi collocata nel primo stallo la sedia del principe di Transilvania, levonnela senz'altro, vi collocò invece quella dell' imperatore, e, sfoderata la spada, si mise in punto di mantenervela a forza (1). Dalla Germania il Montecuccoli si recò in Fiandra con un suo cugino, che lasciò la vita poco di poi nell'Alsazia. Quindi passo passo fu alfiere, capitano di corazze, prigioniero, sergente maggiore e colonnello di un reggimento a cavallo. Alla perfine fu l'emulo degno del Turenna (2).

Un Sanese fu quegli, che preservò dagli Svedesi gli Stati ereditarii dell'Austria, e sostitui nella milizia a cavallo la sciabola alla lancia. Ricordar voA. 1599 gliamo Ottavio Piccolomini. Di 17 anni fu venturiere nella guerra del Piemonte, quindi capitano di cavalli in un reggimento mandato dal granduca di Toscana in aiuto dell' imperatore: combattè poscia contro i Turchi e nella Valtellina. Il Wallenstein lo nominò colonnello delle sue guardie: ma essendo lui poco stante caduto in disgrazia, Ottavio passò in Italia alla

(1) Gualdo, Vita del Collalto, nelle vite de' personaggi militari.

(2) Gualdo, Vita del Montecuccoli.

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