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guerra di Mantova. Ritornò di poi in Germania richiamatovi dal Wallenstein, che in questo mezzo era rientrato in favore, per ostare ai progressi degli Svedesi. Alla battaglia di Lutzen fece sette cariche so- 16 9bre pra il nemico, ricevette sopra la sua persona sei colpi di pistola, s'impadroni di 17 bandiere, e nel ritirarsi funestò agli Svedesi la vittoria colla uccisione del loro re (1).

In premio di tanto valore il Wallenstein lo creava generale, e poco dopo maresciallo, e gli confidava i proprii disegni, che, scoperti dal Piccolomini all'imperatore, conducevano il primo a violento fine. Il Piccolomini seguitava senza scomporsi la sua stella; e pigliava precipua parte nella battaglia di Nordlingen, racquistava porzione della Franconia, scacciava i nemici dalle mura di Thionville, li scacciava dal Wolfenbuttel, e assicurava dai loro insulti Ratisbona e la corte imperiale. Ciò fatto, passò a governare le Fiandre a nome del re cattolico. Ma in capo a tre anni l'imperatore lo richiamava in Germania per sua difesa contro gli Svedesi; ed il Piccolomini ne rallentava tosto i progressi colle armi alla mano, e li troncava poi del tutto con un trattato di pace da lui maneggiato e concluso in Norimberga. Mori nel 1656 col grado di principe dell'impero (2).

Fece le prime armi sotto il Piccolomini l'Aretino Alessandro del Borro, che giovinetto si rivolse dalla professione delle lettere a quella delle armi, e più specialmente dell' ingegnere militare. Guerreggiò in

(1) Scelta di azioni egregie operate in guerra da generali e da soldati Italiani ecc., p. 43 (Venezia 1742).

(2) Gualdo, Vite di illustri personaggi.

1632

Lombardia ed in Germania, dove mise in forte la città di Vienna: si trovò alla battaglia di Nordlingen, all'assedio di Stettino e di Ratisbona, alla difesa di Praga, alla espugnazione di Zwickau. Fu poscia in Italia ai soldi del granduca di Toscana, quindi in Galizia di Spagna governatore generale delle armi regie: da ultimo militò contro i Turchi, e in servizio dei Veneziani e della fede cristiana sottomise l'isola di Egina, assali Malvasia, occupò Tenedo e Lenno, e mori delle ferite riportate nel difendersi con una sola nave da tre barbaresche (1).

È inutile che facciamo osservare, come gli Italiani, trovandosi stranieri in mezzo a nazioni straniere, dovevano superare molto maggiori difficoltà per avanzarsi nella carriera delle armi: chè anzi, siccome per questo motivo appunto erano sovente in necessità di cambiar padrone, così le difficoltà rinnovavansi e quasi moltiplicavansi per essi. Potremmo qui in prova di ciò ricordare Guido Villa, marchese di S. Michele, luogotenente generale e maestro di campo generale agli stipendii dei pontefici Urbano vi ed Innocenzo x, del re di Francia Luigi xí, e dei duchi di Savoia; Giron Francesco Villa, generale della cavalleria del duca di Savoia, luogotenente generale del re di Francia, e generale delle fanterie venete in Dalmazia; ed altri molti nomi d'illustri Italiani, che nella carriera delle armi ebbero varia e avventurosa vita. Ma noi ci restringeremo a notare di volo le principali vicende di due soli, del marchese Ambrogio Spinola, e del conte Luigi Ferdinando Marsigli.

(1) Crasso, Elogi d'illustri capitani, p. 294.

V.

Nacque Ambrogio Spinola in Genova nel 1569 da un padre ricchissimo. Lo perdette nella prima età, ed essendo dalla genitrice sviato dallo studio delle lettere, si diede agli esercizii cavallereschi, e ad imparare i rudimenti delle matematiche, le quali allora per opera d'Italiani cominciavansi ad applicare. Però la sua passione era la guerra; ondechè, quando udiva per la bocca di alcuni compatrioti e particolarmente di un Giorgio suo cugino il racconto delle cose operate da loro in Fiandra sotto Alessandro Farnese, quasi fuori di sè, cogli occhi fermi e accesi, col corpo immobile rimaneva. Il desiderio di gloria, un certo presentimento, che ogni grand'uomo ha in sè, della propria fortuna, ne sommuoveva tutto l'animo; sicchè a stento le istanze della madre, le cure delle immense sue facoltà, e poscia quelle di una sposa, di una numerosa prole e delle patrie magistrature lo trattene

vano a casa.

Di lui più bollente il minor fratello Federico cercò dapprima uno sfogo a' suoi ardori guerreschi imbarcandosi sopra le galere della Repubblica : quindi, in qualità di venturiere, andò a militare in Fiandra. Colà essendosi acquistato il nome di valoroso, e la grazia degli arciduchi Alberto ed Ernesto, concepì il pensiero di adoperare, invece delle navi da vela, le galere, per sottomettere quelle provincie circonvolute e penetrate per mille rivolgimenti dalle acque del mare. Ostava a ciò la vastità e furia dell'Oceano, la novità dell'impresa, e la poca esperienza di chi la proponeva. Ma Federico seppe di modo esporre le

sue ragioni innanzi al real consiglio di Madrid, che gli venne dato il comando di dieci galere. Furono i primi risultati conformi perfettamente alle sue aspettative: ciò lo incoraggì ad ideare uno sbarco sopra le coste dell'Inghilterra. Strana cosa, che due Fiorentini, un Genovese ed un Côrso, insomma quattro Italiani (1), siensi nel giro di tre secoli occupati di codesto audace disegno!

Deliberata la impresa segretissimamente, a Federico Spinola fu commesso il carico di allestire la flotta, e ad Ambrogio di lui fratello venne proposto quello di árruolare un corpo di otto mila uomini, e di menarli in Fiandra col grado di maestro di campo. Stava allora questi in Genova lottando infelicemente pel governo della Repubblica con alcuni suoi emuli: perciò non è a dire se cotale offerta gli riescisse grata. La fama dei suoi denari gli attrasse tanta gente che in breve il numero richiesto di ottomila fu oltrepassato di un migliaio. Erano fra questi molti giovani di buona famiglia, e molti vecchi soldati, tutti in ottimo arnese.

Ambrogio li rassegnò in Vercelli, città da lui scelta per farvi la massa, e li divise in due terzi o reggimenti, ciascuno dei quali fu spartito in 20 compagnie. Di un terzo ritenne il comando per se medesimo; affidò l'altro a un Lucio Dentici, ufficiale sperimentato. Quindi promulgò leggi severissime di disciplina; ed avendo distribuito il cammino in giormaggio nate, e la soldatesca in quattro corpi, mandò innanzi i forieri ad apparecchiare vittovaglie ed alloggi con (1) Cioè Pietro e Leone Strózzi, Federico Spinola e Napoleone Bonaparte.

1602

tal ordine che un corpo dormisse la sera là, d'onde l'altro fosse partito il mattino (1).

Stava allora l'arciduca Alberto, supremo reggitore delle armi spagnuole in quelle parti, occupato nell'assedio di Ostenda. Il marchese Spinola andò tosto a rinforzarne il campo, con privilegio di non ricevere ordini da verun altro che dall'ammiraglio di Castiglia, amministrare di per sè la giustizia tra i suoi dipendenti, ed alloggiare e marciare in campo separato.

Trascorse in tale assedio il resto dell'anno. Venuto il verno, Ambrogio passò in Lombardia colla commissione di levarvi altri due reggimenti. Quivi l'attendevano inaspettate novelle, da una parte infauste, dall'altra onorevolissime: cioè, che Federico suo fratello era stato ucciso in un combattimento sul mare, il disegno dello sbarco in Inghilterra sospeso, e la commissione di reclutare soldati ritirata. Però nel medesimo tempo il re di Spagna gli imponeva di ritornar prestamente nelle Fiandre per dirigere quell'assedio di Ostenda, che ormai durava da 22 mesi.

Divenuto così generale quasi prima che soldato, Ambrogio Spinola trovò coi suoi denari e col suo credito genti e mezzi sufficienti per proseguire la guerra gagliardamente: sicchè, guadagnando a palmo a palmo il suolo sopra il nemico, arrivò al secondo recinto di Ostenda. Continuarono nell'inverno i suoi lavori, non ostante la freddezza ed umidità del clima; ma l'esempio e l'oro di lui sostentavano le soldatesche a tollerare ogni cosa. Era poi la fatica dello Spinola doppia: posciachè l'arciduca Alberto, oltre il comando (1) Casoni, Vita di A, Spinola, lib. I (Genova 1691). — Bentivoglio, Guerre di Fiandra, parte III. lib. VII.

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