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dell' assedio, gli aveva confidato anche quello dell'esercito, a fronte del quale militava il conte Maurizio di Nassau.

Fra tali difficoltà brillò specialmente la costanza e il coraggio del capitano genovese. Un dì, per esempio, che un maestro di campo ricusava di guadare una riviera molto pericolosa, egli pel primo, afferrata una picca, vi entrò. Ad alcuni ufficiali, che per tema dell'esercito oştile l'esortavano a sciogliere l'assedio, rispondeva, che chi consigliava ciò era un traditore, e ch'egli piglierebbe la piazza e batterebbe il conte di Nassau. Onde i soldati, tra il rispetto e il timore, obbedivano.

Superato il secondo recinto, non senza meraviglia lo Spinola ne scoperse un terzo, guernito di un fosso e di opere staccate. Ma finalmente, essendo stati espulsi anche da questo, i difensori di Ostenda per mancanza, non già d'animo o d'uomini o di muni22 7.bre zioni, ma solamente di terreno, si arresero. Agli ar1604 ciduchi, che vennero a visitare la piazza, il marchese mostrò il suolo, che era stato tomba a centomila guerrieri, tutto sconvolto dalle mine e dalle cave, fossi ripieni, cortine abbattute, baluardi smossi, mezzelune, fianchi e ridotti in un solo aspetto di desolazione confusi: e fra le rovine andava loro narrando tutte le vicende e i travagli della memorabile oppugnazione (1).

La fama di codesta impresa fu superiore di molto ai risultati che ne derivarono. Tuttavia lo Spinola, es

(1) Balini, De bello Belgico, c. I-VI (Brusselles 1609). — Casoni cit., lib. I. p. 112. Bentivoglio cit., part. III. lib. VII. p. 93 (ediz. di Torino).

sendosi recato tosto a Madrid, ottenne, non ostante gli sforzi degli invidiosi, premii conformi a quella, il collare del Toson d'oro, il grado di maestro e tesoriere generale di campo, e la facoltà d'intertenere a guardia della propria persona una compagnia di uffiziali riformati. Nel ritorno rifece la via di Parigi, dove Alfonso d'Ornano, già fuoruscito e ribelle della repubblica di Genova, ed allora cavaliere dell'ordine di S. Michele e maresciallo di Francia, lo aveva festevolmente accolto. In tale occasione il re di Francia Enrico iv, che parteggiava sempre pegli insorti Olandesi, domandò allo Spinola, quale spedizione egli meditasse per la prossima campagna. «Sire, rispose il marchese, il mio pensiero è di far ponti sopra il Reno, e traghettare l'esercito nella Frisia». Sorrise il re, credendosi burlato, e «come, replicò, faretelo voi, se non possedete alcun luogo nè di quà nè di là dal fiume?» Lo Spinola non aggiunse altre parole: ma quando il re seppe, che la cosa era stata eseguita appunto; «gli altri ingannano, esclamò, con dire il falso, e questo Italiano mi ha ingannato con dire il vero! ».

Di rado si erano veduti a fronte due capitani più ▲. 1605 famosi di Ambrogio Spinola e Maurizio di Nassau. Voleva questi assalire Anversa, quegli la Frisia. Il concetto del Nassau, subodorato dallo Spinola, fu mandato a vuoto; l'impresa della Frisia con molta prestezza e fortuna fu messa ad esecuzione. Traversato il paese di Cleves e la Vestfalia, lo Spinola pose l'assedio alla città di Lingen, e, avendone colmato il fosso per mezzo di certi gabbioni inventati da Pompeo Targone romano, l'astrinse ad arrendersi. Wachtendonk nella Gheldria ne seguitò l'esempio.

L'anno seguente, con due corpi d'esercito raccolti A. 1606 mediante il credito proprio e dei suoi amici, Ambrogio Spinola entrò in campagna, e circondò d'assedio la terra di Rhinberg. Aveva a combattere le intemperie, la bravura degli assediati, la ritrosia delle proprie soldatesche, e la sagacia del conte Maurizio, che giravagli alle spalle con un forte esercito. Ciò non ostante la piazza fu presa, il nemico respinto, gli ammutinati espulsi sotto gravi minaccie: a quei che rimasero fu dato da lui tale esempio, che bastò per sempre.

Col favore di questi vantaggi, il marchese Spinola trattò una tregua onorata cogli Olandesi, e la concluse per 12 anni nel 1609. Dicesi, che quando il conte Maurizio smontato di carrozza, e lo Spinola, sceso da cavallo, si andarono incontro, al rimirarsi l'un l'altro mutarono sensibilmente di colore. I popoli, fino allora guerreggiati dal capitano genovese, accorrevano all'Aia per vederlo e udirlo.

Stabilita la detta tregua, lo Spinola ad istanza del re di Spagna rimase in Fiandra governatore generale. Quando quella fu spirata, e ritornossi alle armi, ebbe egli di nuovo a fronte il conte Maurizio, e la fortuna stette librata tra essi. L'espugnazione di Breda colmò la fama del primo, e riempi di tanto cordoglio il conte A. 1625 di Nassau, che, dissesi, ne morì. Nei tre anni seguenti, lo Spinola veggendo intiepidite per la mutua stanchezza le operazioni della guerra, impiegò i denari e i soldati nell'escavare due canali, i quali servissero a levare alle provincie insorte una parte del commercio colla Germania, e procurarlo invece a quelle rimaste obbedienti.

La guerra di Casale fu cagione, per cui lo Spinola A. 1629 venisse rimandato in Italia a breve e non bella comparsa. A quest'ultimo ed amaro periodo della sua vita soltanto si mostra nella storia d'Italia codest' uomo, già divenuto famoso in quella d'Europa. Misera condizione di un popolo costretto a ricercare le proprie glorie fra quelle delle altre nazioni!

VI.

Ma in nessun Italiano fu più manifesta la bizzarria della fortuna, e la costanza e l'alacrità dell'animo a superarla e trarne profitto, che nel conte Luigi Ferdinando Marsigli.

Nacque nel 1658 in Bologna: passò la gioventù a studiare le scienze fisiche ed esatte. Di 24 anni era a Costantinopoli, occupato ad osservare e descrivere lo stato fisico e morale, là storia politica e la naturale di quell'impero. Tre anni appresso, trovandosi privo del padre, cadetto di famiglia, scarso di averi e contrariato in amore, entrò volontario nel reggimento a cavallo del conte Caprara, che militava in Ungheria.

Alcuni suoi disegni di fortificazione, alcuni suoi pareri e osservazioni militari l'elevarono prestamente al grado di capitano nel reggimento Diepental. Ma un di, essendo stato abbandonato dalla sua gente, cadde in potere dei Turchi, che dopo averlo per tre giorni trascinato nudo e ferito fino al campo loro, il vendettero per sette talleri a un bascià. Furono dapprima i suoi uffici i più vili: quindi passò ai servigi di una bottega da caffè. Sotto Vienna lavorava costretto alle trinciere, quando i Turchi, sentendo che un esercito guidato dal re di Polonia si avvicinava in soccorso

della città, risolvettero di uccidere tutti gli schiavi cristiani. Il sorgere dell'alba doveva segnare il principio della strage.

Lo seppe il Marsigli, e tanto fece nella notte, che sferrossi, e si avviò carpone verso le mura di Vienna. Già aveva oltrepassato il campo turco e le ultime guardie, e giubilava credendosi salvo e libero; allorchè una sentinella morta lo scopriva e respingeva addietro. I suoi padroni lo ricevettero crudelmente con battiture e catene. Bentosto vidersi girare per gli alloggiamenti le carrette fatali mandate a raccogliere gli schiavi destinati alla morte. Egli allora si tenne perduto se non che due soldati turchi, sperando di far guadagno sopra la sua persona, deliberarono di comprarlo e trafugarlo. Messagli pertanto una corda al collo, obbligaronlo colle sferzate a seguitare a piè nudi il corso dei loro cavalli. Durò 18 ore il barbaro viaggio: un poco di biscotto fritto nel grasso di una candela fu al Marsigli unico refrigerio in tanto travaglio.

Giunse così, mortalmente ammalato, al paese dei suoi padroni, che lo serrarono in una stalla, e l'attaccarono, come giumento, alla catena: una povera donna turca per compassione gli fece un giaciglio di paglia. Quivi stette molto tempo lottando colla morte, e non sapendo desiderare la vita; posciachè la disperazione di uscire mai più da quello stato gli aggiungeva dolori a dolori. Pure, come Dio volle, la bontà della sua complessione superò la violenza dei mali: e tosto egli col succo di erbe si ingegnava di delineare le fortificazioni fatte dai Turchi al ponte di Esseck e la disposizione del loro campo sotto Buda, e ne spediva

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