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con maggiore equità e fortuna tentato ed eseguito dai principi vissuti qualche secolo dipoi. A poco a poco quelle associazioni che nel medio evo avevano invaso la pubblica e la privata esistenza, perdettero il diritto di governarsi assolutamente, di proclamare statuti, di difendersi armata mano, e quindi tutti gli altri più importanti privilegi; finchè o sparirono affatto, o assunsero scopi e forme affatto civili e sottoposti alle leggi comuni.

Servano di esempio i corpi d'arti e mestieri. Abbiamo veduto (1), quanto fossero numerosi e potenti sotto i Comuni italiani. Caduti i Comuni, tralasciarono essi pure di introdursi colle armi in pugno nel maneggio delle pubbliche cose. A mano a mano l'autorità suprema li andò sempre più indebolendo, e se lasciò loro alcuni diritti, furono questi del tutto innocenti, come festeggiare il santo Patrono, soccorrere i poveri e gli infermi della compagnia, trovare ricapito agli apprendisti, pregare in comune pace ai defunti. In molti siti venne anche tolto loro il diritto di sottomettere ad un esame chiunque aspirava ad aprir bottega: in altri paesi venne compita l'opera, e il nome e la sostanza di tali instituzioni furono affatto aboliti (2).

Dicasi lo stesso degli ordini cavallereschi. L'ultimo di essi, che perdesse la sua forma politico-militare, fu quello di Malta. La necessità di ostare alle invasioni dei Turchi e alle insolenze dei corsari, lo tenne in piedi. Tostochè quelli furono depressi, questi annientati, l'ordine cadde, e i principi d'Europa se ne impadronirono. Oggidì gli ordini cavallereschi sono (1) V. Parte I, cap. VIII, § 8.

(2) Cosi fece il re di Sardegna nell'Editto dei 14 agosto 1844.

nelle mani del potere supremo un innocuo anzi utilissimo strumento per ricompensare i pubblici servigi, ed onorare la virtù. Accrescono perciò la ricchezza dello Stato.

In

evo and guisa il moltiforme edifizio del medio

evo andava disfacendosi. Altri caratteri, altri mezzi, altri scopi distinguono e distingueranno ognora più le associazioni che nascono in seno alla presente civiltà.

II.

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E cosa certa, che le doti individuali non hanno in tutti i tempi lo stesso valore. L'individuo fornito di pregi straordinarii può molto nei primordii delle umane discipline e instituzioni: passato un certó punto di civiltà, egli si ritira e gli sottentrano le masse. Quel trovato, per esempio, che in un istante di celeste entusiasmo la sua mente travide, e quindi fermò, raggruppò ad altre idee e formulò, non è sì tosto venuto a pubblica notizia che il mondo già lo modifica, lo perfeziona, l'applica, lo mette a frutto ; sicchè del primo concetto rimangono appena poche incerte vestigia.

Perciò dalla mente inventrice il mondo non richiede che uno sforzo oltre le cose conosciute o tentate segnato il solco, mille altri vi si precipitano, e lo spingono avanti con fresche forze. E già qualunque disciplina è tanto vasta, che prima di giungerne ai confini il genio individuale si trova come stanco. Fa un breve passo più in là nel dominio della scoperta, e tosto, per così dire, si dilegua sotto la propria fatica. Mirabile magisterio della natura per ripartire sopra

un molto maggior numero di persone i beni di gloria e di ricchezze, e stringere coll'esca del proprio perfezionamento individuo a individuo, e nazione a nazione !

Ciò che si è detto della scienza, vuolsi dire eziandio delle altre parti della umana esistenza. Oramai industria, commercio, agricoltura, arti e pubblica educazione per mantenersi e progredire esigono grandi capitali, grandi forze, grandi mezzi, che l'individuo non ha, e che a stento i più potenti principi potrebbero radunare. A codesto uopo suppliscono le associazioni, che, riunendo a un fine comune gli sforzi parziali di migliaia di individui, li sollevano ad effettuare cose straordinarie e infinitamente superiori alla potenza di ciascuno.

Però un immenso spazio separa quello spirito di affratellanza armata, che signoreggiò il medio evo e determinò la instituzione delle compagnie di ventura, dal moderno impulso ad associarsi grandioso e pieghevole, che compensa per così dire le disuguaglianze naturali tra individuo e individuo. Tuttavia la differenza essenziale, che, generalmente parlando, distingue le associazioni del medio evo dalle odierne, si potrebbe, a nostro avviso, ridurre in eiò che le prime erano contro della società, o almeno fuori di essa; epperciò assumevano forme politico-militari: le seconde si mettono sotto la protezione delle leggi, e ben lungi dal detrarre nulla al supremo potere, intendono anzi a favorirne e compierne l'azione in quelle parti, in cui esso, stante la sua generalità, non può insinuarsi; perciò la loro forma è del tutto pacifica. Codesta differenza è un enorme acquisto,

che la presente civiltà va ultimando sopra la barbarie del medio evo.

T

A siffatto genere di pacifiche associazioni appartengono quasi tutte quelle, che dal xv secolo in poi sorsero ad incremento delle scienze, o delle arti, o della religione, o della pubblica economia. Tali furono le infinite Accademie d'Italia e fuori; tali le compagnie comiche ordinate una volta in modo molto più stretto e talora anche più stabile d'oggidì (1). Che se qualche associazione o tentò o parve che tentasse di rendersi independente ovvero ostile verso il potere supremo, non tardò questo a combatterla e comprimerla. Così nel xvii secolo il governo di Napoli disperdeva le Accademie dei Sereni, degli Ardenti e degli Incogniti (2), e la repubblica di Venezia scioglieva l'Accademia riunita da Luigi Priuli presso Treviso (3), e quella della Fama, stabilita da Federigo Badoaro al proposito d'illustrare e pubblicare i classici antichi (4).

Potrebbonsi, è vero, allegare contro il nostro asserto le odierne associazioni segrete, che in certi paesi sono potenti e numerose quasi non meno delle associazioni del medio evo, e che non meno di esse traggono fuori della società il proprio sostentamento e la propria azione. Ma osservisi in primo luogo, che il mistero

(1) Basti per tutte quella compagnia detta dei Gelosi, che nel 1577 recitava a Parigi nel palazzo Borbone commedie italiane, V. Napione, Dell'uso e dei pregi della lingua italiana, lib. II, c. III, §. IV.

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P. III.

(2) Parrino, Teatro dei Vicerè, t. I,
(3) Ranke, Hist. de la papauté, t. I, p. 187.

(4) Tiraboschi, Storia della letteratura ital. t. VII. lib. 1, §. XVIII-XIX.

stesso, di cui debbono esse armarsi, è una prova del progresso fatto dopo il medio evo in favore del potere supremo e della umana civiltà; perciò torna in conferma della nostra sentenza: ed infatti nel medio evo esse associazioni non avrebbero dubitato di levare palesemente lo stendardo contro la pubblica autorità. In secondo luogo, generalmente parlando, le unioni segrete non nascono, o almeno non diventano rigogliose se non se là dove gli ordini pubblici sono imperfetti ed insufficienti: perfezioninsi questi, e quelle spariranno, per lasciare libero il campo ad innocui e fruttuosi sodalizii.

Ciò posto, egli è evidente che il governo e il principio di associazione saranno dal proprio interesse sempre più guidati a giovarsi l'un l'altro, quello per allargare il cerchio della propria influenza e vantaggiare se stesso nel vantaggio de' suoi dipendenti, questo per assicurare la propria conservazione e moltiplicare i proprii mezzi di operare. Tal risultato è conforme all'indole dei tempi ed ai bisogni non meno dei popoli che degli Stati. Gli abusi, a cui recentemente lo spirito di associazione applicato alle grandi intraprese industriose ha dato luogo, nè provan nulla in contrario, nè bastano a distruggerne i progressi servono bensì a dimostrare da una parte la grandezza di questi, dall'altra la necessità di uniformarli e sottometterli al pubblico bene.

Immensi vantaggi sono adunque da aspettarsi dal mutuo concorso del governo e dell'associazione, sia nella morale sia nella materiale esistenza; poichè non v' ha dubbio che nè gli individui nè le masse si perfezionano, senza mescolarsi e cooperare di comune

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