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scritture, dove il subbietto di sua natura è talvolta difficile ed oscuro, e sempre molto rileva che sia bene inteso da' lettori, la chiarezza dello stile non è solo un pregio da meritarne lode, ma un gravissimo debito. Or noi, avendo di questa qualità, che è comune a tutti gli stili, già ragionato avanti nel trattato dello stil narrativo, non toccheremo ora se non di alcune sue parti proprie al genere didascalico. E da prima diremo che molto giudizio e diligenza si ha da usare in disporre ed ordinar le clausole non solo, ma ancora gl'incisi di esse; e parimente si dee molto attendere a ben disporre i concetti secondarii che spiegano o rafforzano i principali. E, quanto agl'incisi, noi dicemmo, parlando dello stil narrativo, che ordinariamente si hanno a disporre secondo l' ordine di successione o nel tempo o nello spazio perocchè questo è l'ordine reale de' fatti che si narrano o delle cose che si descrivono. Or nel genere didascalico si ha a seguire le più volte un altr'ordine, che è il logico, ovvero l'ordine col quale il concetto si è presentato e svolto nella mente dello scrittore. E quest' ordine alcune volte non è lo stesso che quello di tempo: onde sovente è mestieri di non mantenere puntualmente l'ordine che dicesi diretto grammaticale, ma quello che dicesi inverso, ed in simili casi la trasposizione è naturale e non artificiale, ed è richiesta dal concetto stesso. Che l'ordine logico sia diverso da quello di tempo, si può chiaramente scorgere da questo esempio. Se io, levandomi il mattino, veggo le strade umide e fangose, subitamente dico tra me medesimo che la notte ha dovuto piovere. Sicchè di queste due idee, della pioggia, cioè, e dell'umido delle strade, prima si è destata nella mia mente quella dell'umido e del fango, che della pioggia, quantunque la pioggia, essendo la cagione dell' umido e del fango, avrebbe dovuto esser prima. Onde, se io voglio comunicar con altri queste idee come sono sorte nella mia mente ho a dire a questo modo: Levatomi stamane, per mo' di esempio, e fattomi alla finestra, avendo vedute le vie bagnate e fangose, ho 1 Vol. I, pag. 499, e seg.

pensato che la notte avea dovuto piovere. Per contrario, se io stando in letto, ho sentito tutta notte lo scroscio della pioggia, volendo il mattino uscir di casa, mi metterò in piè gli stivali, pensando che le strade debbano esser fangose e molli. E però, volendo esprimer queste idee con l'ordine col quale esse sonosi presentate alla mia mente, parlerò prima della pioggia e poi del fango: ed in questo mio discorso l'ordine logico non è diverso o contrario a quello di tempo. Laonde, nelle scritture didascaliche, dovendo noi significare i nostri raziocinii, e questi non potendo proceder che logicamente, non di rado ci avverrà di non dover seguire, scrivendo, l'ordine di succession di tempo, ma quello di raziocinio.

Oltre a questo, i gerundii e le particelle sospensive, con le quali s'intreccia e si aggira il periodo, non si adoperano solo per dare altezza, nobiltà ed armonia alle clausole del discorso, ma hanno in sè un valor logico, in quanto che i membri e gl' incisi retti dalle particelle sospensive, o condotti per gerundii, si appresentano alla mente del lettore come concetti secondarii, e mostrano le attenenze che essi hanno col concetto principale. Perchè questa teorica, che non è punto lieve, sia ben compresa, arrecheremo in esempio il primo periodo dell' Oratore di Cicerone, 'dove verremo mostrando tutte queste cose: 1 Pensando io soventi volte meco medesimo, fratel mio Quinto, e riandando con la memoria le antiche cose, quelli sogliono parermi beatissimi, i quali in una ben ordinata repubblica divenuti chiari per onori e per fatti egregi, poterono vivere per modo che fosser senza pericolo ne' pubblici negozii, e con dignità e decoro nell' ozio. In questo periodo sono concetti secondarii il pensare e ricordarsi che fa Cicerone delle antiche cose, l' esserci stati uomini chiari per onori e per gloria, e l'aver potuto questi intramettersi ne' pubblici negozii senza pericolo, e l' essersi goduto

1 Cogitanti mihi sæpenumero, et memoria vetera repetenti, perbeati fuisse, Quinte frater, illi videri solent, qui in optima republica, cum et honoribus et rerum gestarum gloria florerent, eum vitæ cursum tenere potuerunt, ut vel in negotio sine periculo, vel in otio cum dignitate esse possent.

l'ozio con dignità. Ciascuno di questi concetti potrebbe star di per sè, ed esser principale; ma, perchè so no espressi e co' gerundii considerando e riandando, e col relativo i quali, e con le particelle sospensive per modo che e la congiuntiva e, sono tutti subordinati al concetto principale, il quale è quelli sogliono parermi beatissimi. Or, se si mutasse la forma di queste clausole, ed i concetti che esse racchiudono fossero significati, non per gerundii nè per via di particelle e modi congiuntivi, ma per verbi di modo finito e non dependenti, tutto il pensiero racchiuso in questo periodo diventerebbe oscuro e confuso, anzi non sarebbe più inteso. Il perchè l'intrecciar giudiziosamente e modestamente i periodi nello stil didascalico, non solo giova all'armonia, ma giova alla chiarezza, ed è richiesto dalla ragione.

Molto rileva ancora lo sceglier bene i concetti secondarii; chè si ha a lasciar dall' un de' lati tutti quelli i quali svolgono la mente dall'idea principale racchiusa nella clausola, la quale nel genere didascalico in particolar modo spesso può esser naturalmente difficile ed oscura. Sono da tralasciar pure quei concetti secondarii che non sono propriamente necessarii, ma che si potrebbe credere che giovassero a fare il principal concetto più chiaro, e in iscambio l'oscurano e il fanno più difficile ad intendere. Arrecheremo di questi difetti alcuni esempii, ed il primo il torremo da Simboli trasportati al morale del padre Daniello Bartoli, il quale, quantunque sia da tener maraviglioso scrittore, nondimeno pagò il tributo al suo secolo nelle sue opere minori, tra le quali è da annoverar questa de' Simboli. Egli vuol dire in questo luogo che, quando giudichiamo con poco avvedimento, abbiamo a dolercene. Or si vegga come egli, per abbellir questo semplicissimo concetto, lo ha quasi oscurato, sopraccaricandolo di alcune superflue particolarità e circostanze. Ecco le sue parole: Ahi quanto è sovente ad avvenire che le colpe di un misero innocente ci sembrino sol in quanto rappresentate irrepugnabilmente provate, che poi, riconosciuta e chiarita, quando che sia, la malvagità e la passione, la simplicità o l'inganno

del non veridico rapportatore, noi, se punto della coscienza e dell' onor ci cale, vorremmo esser sotterra, anzi che aver dentro il rimprovero, o in sulla faccia il rossore dell' essere stati in danno altrui così leggieri al credere, così precipitosi al condannare (Lib. I, 5). L'altro esempio è del Varchi, il quale, come che fosse egli pure tra' migliori scrittori del cinquecento, nondimeno, volendo dar più distinzione e chiarezza a' suoi concetti, li allarga troppo, e forse ne scema la chiarezza; come in questo luogo: 1 Coloro i quali pensano che le scienze si possano insegnare a beneplacito, e come viene loro alle mani, e per dirlo più veramente, a caso, mostrano male che sappiano che di tutte le arti e di tutte le scienze sono i semi in noi, ed i principii da natura, e che chi insegna o impara alcuna cosa, deve sempre seguitare lei: onde non è dubbio nessuno che le scienze si debbano insegnare secondo quell' ordine medesimo che la natura le fece; e perciò devemo sempre cominciare le scienze le quali sono prime secondo la natura. Noi crediamo che questo periodo sarebbe stato per riuscir molto più chiaro, se l'autore avesse tralasciato di ripetere certi concetti con diverse parole. Dappoichè che chiarezza aggiungono qui le due particolarità come viene loro alle mani, e per dirlo più veramente, a caso, aggiunte alla prima a beneplacito? Similmente, avendo detto che le scienze si debbano insegnare secondo quell'ordine medesimo che la natura le fece, che mestier era di ripetere quasi que sto medesimo concetto, dicendo e perciò devemo sempre cominciare da quelle scienze le quali sono prime secondo la natura?

Ma, non meno che in questo modo, peccasi ancora contro la chiarezza didascalica tralasciandosi, per contrario, quei concetti secondarii che veramente conferiscono a dar maggior lume al pensiero principale. Ed in questo vizio sogliono talvolta cadere i grandi uomini, i quali, per l'altezza del loro ingegno, vedendo essi chiaramente le cose, e discorrendo ra

'Degli ordini delle dottrine ec. Pros. var. Vol. II, pag. 289, edizione di Firenze, 1841.

pidamente da un obbietto ad un altro, credono che anche gli uomini mediocri possano seguitarli nelle loro profonde speculazioni. E ciò si vede avvenir non di rado ad Aristotile, il quale ebbe ed avrà sempre mestieri di larghi e sottili comenti, per poter essere bene inteso.

II. Un'altra principal dote dello stil didascalico, la qual molto conferisce pure alla chiarezza, è la purità; e non sappiamo intendere come o tanto poco sia curata, o sia tanto disprezzata da' dotti e scientifici uomini. La purità è posta non solo nell' usar vocaboli proprii della lingua nella quale si parla o scrive, ma ancora, e più, nell'uso delle frasi e de' modi di dire, e nel lor legamento e nel giro e nella movenza delle clausole, secondo il genio di essa lingua. Ed avendo così diffinita la purità, non intendiamo di dire che la nostra lingua, come tutte le altre lingue vive, non debba nè possa patire alcuno accrescimento. Ma in questo a noi pare che si debba por mente a tre cose: qual parte della lingua può ricever questo accrescimento; quando questo si può fare, e quali sono le scienze che possono dar questa facoltà; da ultimo quale è il modo che deesi tenere in farlo. La parte della lingua che può essere accresciuta, come concordemente avvisano tutti i più dotti uomini, è quella de' vocaboli chè il formar nuovi modi di dire, e frasi nuove, è facoltà conceduta solo a pochissimi, i quali, essendo stati da natura dotati di nobile ingegno, profondamente studiarono ne' greci, ne' latini e ne' toscani scrittori. Di che chiaramente si scorgerà la ragione, se si consideri che in essi è posta l' indole propriamente e la particolare essenza e natura di una lingua, ed il bene o male adoperarli fa la purezza o l'impurità della favella. Senza che, per semplicemente significare i nostri concetti, non ci è mai necessità di frasi e di modi; ed è meglio spiegare i nostri pensieri o con minore efficacia o senza grazia e leggiadria, che o falsamente o barbaramente. Ne' vocaboli, per contrario, si ha ad usare non minor diligenza; ma, se anche si erri talvolta nella loro scelta, questo non muta la natura o l'indole della scrittura; e,

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