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te;1 ed il Giordani scrive: Posso affermare che nulla di più eloquente nè di tanto eloquente abbiamo, come la breve ma sublime apologia di Lorenzo de' Medici: vorrei dire che null'altro abbiamo di vera eloquenza. Certo in quella orazione io ammiro una robusta semplicità, a così chiamarla, d'indole affatto greca, ed una stupenda efficacia che più apparisce, quanto più la rileggi, per essere coperta con un'aria disinvolta e facile, presa a bello studio dallo scrittore, che ne dà pure la ragione, dicendo: Io non vorrei che la grandezza delle scelleratezze vi facesse pensare che queste cose fussino finte da me per dargli carico; perchè io son tanto lontano dall' averle finte, che io le dico più semplicemente che io posso, per non le fare più incredibili di quello che elle sono per loro natura. Ma, io dico, dov'è quell' impeto irrefrenabile, quella forza insuperabile di pensieri e di affetti, che fa violenza al cuore ed all'intelletto, e ti travolge come in un torrente? Può essa compararsi con l'orazione per là Corona o con la seconda Filippica, con le quali ha tanta somiglianza di subbietto? E poniamo ancora che possa; essa è unica e breve.

Questa povertà della nostra letteratura non deve però sconfortare i giovani italiani dallo studio nobilissimo dell' eloquenza, o farli rifuggire a fonti straniere, dove seccherebbono più tosto la vena che da natura fosse stata per avventura lor conceduta. Imperciocchè la parte che si dee pigliare dagli altri con l'imitazione, e che si acquista per istudio, quella a noi non manca, ma sovrabbonda. La forma di molti tra' nostri oratori è ottima, e ciò che a loro manca è quello che non si può tôrre in prestito da niuno, ma ciascuno dee trovare in se o averlo acquistato col meditare e con lo speculare, cioè il rigore dialettico e il fuoco delle passioni. Se alle orazioni di Alberto Lollio e alle prediche di Cornelio Musso vescovo di Bitonto tu potessi infondere un poco di vita, quelle forme vuote e quegli insipidi artificii diventerebbero talvolta stupendi lavori di eloquenza. Ma lasciamo dall' un de' lati questi due, che forse sono

' Vedi Opere, Vol. II, f. 309. * Vedi Opere, Vol. II, f. 98.

i più gelidi. Si possono studiare con utilità le orazioni di Pietro Recuperati, di Lorenzo Giacomini, di Alessandro Minerbetti, di Francesco Nori, di Niccolò Arrighetti, di Carlo Dati, di Lodovico Adimari, di Vincenzo Filicaja, del Cavalcanti, di Pietro Accolti, di Vieri Cerchi, del giovine Michelangelo Buonarroti, del marchese Torquato Malespini: le quali sono raccolte nelle Prose fiorentine. Solo vorremmo avvertire i giovani che nello studiare cotesti autori si guardino di non invaghirsi di una certa intemperante esagerazione, di cui per la più parte le loro orazioni son piene: il che forse nacque dall' aver voluto gli autori sopperire al difetto di vera amplificazione oratoria con uno sforzo vano di arte. Ma di questo poco hassi a temere, essendo il nostro secolo (e questa è una delle pochissime parti buone che esso abbia) poco disposto ad eccedere nelle lodi, se l'interesse non lo muove. Con maggior sicurezza e con più frutto si può studiare nelle orazioni di Alessandro Segni, di Luigi Alamanni, e massimamente di Lionardo Salviati e di Benedetto Varchi: ne' quali due ultimi scrittori diresti perfetta la forma oratoria, se qualche volta più disinvolti procedessero e meno intralciati, e più brevi usassero le clausole, e partissero più acconciamente i concetti. Il quale artificio può meglio impararsi dalle poche prose oratorie di Bernardo Davanzati, la cui lettura può tor nare come un acconcio antidoto al difetto universale de' cinquecentisti, di essere soverchi nelle parole. A questi potrebbero aggiugnersi le nobili orazioni dello Speroni e quella del Guidiccioni alla repubblica di Lucca, dove non ti accorgi neppure de' falli del secolo, sebbene essa possa gareggiare, per finezza di lavoro, con quelle del Casa. Non può tornare se non sommamente utile la lettura de' volgarizzamenti fatti dal Caro di alcune orazioni de' Padri della Chiesa greca: generalmente tutte le traduzioni fatte nel millecinquecento dei Padri della Chiesa sarebbero da studiare attesamente da coloro tra' chierici che si dedicano alla sacra eloquenza. I quali che pro non trarrebbero dalle prediche di Fra Giordano da Rivalto? Oh! chi avesse la scintilla oratoria, e sapesse emu

lare quella schietta e cara natia semplicità, non priva di vigore, e usare quella dialettica del frate, spogliandola della eccessiva forma scolastica che ha talvolta; colui riuscirebbe l'oratore più opportuno a' nostri giorni. Dicasi il medesimo dell'omelia di Origene, il cui volgarizzamento si attribuisce al Passavanti, e delle orazioni di Cicerone recate in italiano da Brunetto Latini; il quale avrebbe fatta una traduzione eccellente, se avesse meglio inteso il testo, e non secondato talvolta troppo servilmente l'andare latino. E che diremo, tornando al cinquecento, del Savonarola e di Torquato Tasso, ne' quali sovente, oltre della buona forma, trovi de' luoghi maravigliosi per vera e forte e grande eloquenza? Or, se allo studio de sopraddetti oratori aggiungasi quello del Segneri, principe fra tutti, avranno i giovani italiani esempii di ogni maniera di forme oratorie, e di tutte le perfezioni che si richiedono in questo genere di scritture. Solo si vuole esser cauti a non invaghirsi nelle opere del celebre gesuita di certe parti che sono rettoriche anzi che eloquenti. Non vogliamo qui nominare altri scrittori oratorii, nè del seicento nè del secolo appresso; perchè da essi è più lo scapito che si può temere, pel molto di reo che contengono, che il guadagno che si può sperarne pel poco di buono che vi è mescolato. E più presto commenderemmo la lettura delle orazioni di Antonio Cesari, fiorito all' età nostra, e di alcuni altri contemporanei, da cui si può almeno apparare copia di fina elettissima favella. Ma di essi dee ancora giudicare il tempo.

Al novero che abbiamo tessuto, e che potremmo anche di non poco allungare, ciascuno potrà aver veduto che, se non siamo molto ricchi di oratori veramente eloquenti, ne abbiamo però abbastanza di quelli da cui si possa apprendere quella parte dell' eloquenza che sola può per istudio acquistarsi. Ne potrebbe far fede, per nominarne un solo, Pietro Giordani, il quale se nei grandi subbietti apparve inferiore, non che al tema, anche a sè stesso, ne' più umili riesce vero e perfetto oratore. In quale delle antiche e mo

derne letterature si legge an luogo più eloquente delle poche parole da lui dette in morte di Giambattista Galliadi? Egli è vero che niun' altra scrittura del Giordani può venire in paragone con quella. Ma questo che fa? Non basta ella a mostrare che la nostra lingua e i nostri scrittori possono fornire, a chi da natura vi è disposto, una forma oratoria perfettissima? E non dimostrano questo medesimo le concioni poste in bocca ai loro personaggi da' nostri storici immortali? E chi le andasse da tutti raccogliendo, a cominciare dal Segretario fiorentino e finire allo storico di America, non metterebbe egli insieme un tale e tanto tesoro di eloquenza oratoria, da non farci temere il ragguaglio di veruna nazione e di veruna letteratura? Tutt' altro dunque a noi manca per Ja palma dell' eloquenza, fuorchè la lingua e la natural disposizione dell'ingegno. Quello che ci manca può darcelo Iddio e il forte volere. Ma di ciò non si appartiene di parlare a chi insegna l'arte dello scrivere: alla quale ci piace di porre qui termine.

FINE DELLA PARTE TERZA

E DELL'OPERA.

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ivi

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I. Dell'obbietto o materia del genere didascalico
I. Quali e quante esser possono le forme delle scrit-
ture del genere didascalico.

III. Dell'uso delle tre diverse forme di comporre del ge-
nere didascalico.

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IV. Dello studio e della diligenza che si dee porre nello
stile scrivendo opere didascaliche

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V. Di alcune generali doti dello stile didascalico.

LETTERE.

DELLE LETTERE DIDASCALICHE

I. 1. Benvenuto Cellini a Benedetto Varchi

2. Giorgio Vasari a Benedetto Varchi

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3. Michelangelo Buonarroti a Benedetto Varchi.
4. Raffaello Sanzio al conte Baldassar Castiglione
Osservazioni. .

II. 1. Annibal Caro a M. Bernardo Tasso

2. Annibal Caro a M. Giorgio Vasari.
3. Annibal Caro a M. Silvio Antoniano
4. Annibal Caro al signor Vicino Orsini.
Osservazioni.

III. 1. Vincenzo Borghini a M. Giorgio Vasari
2. Vincenzo Borghini al medesimo.
Osservazioni.

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