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fornita: quindi negozianti di pelli 4, che fanno affari co' campidanesi e logudoresi.

Al commercio con l'estero sono applicate poche persone, le quali fanno una specie di monopolio. Essi incettano gli articoli, di cui sia fatta richiesta dai negozianti genovesi, coi quali solamente si ha corrispondenza mercantile ; e soglion prendere in appalto i redditi decimali: quindi domandano e comprano quei generi, di cui sappiano esser bisogno nel paese e nelle regioni circonvicine.

Gli articoli di esportazione sono cereali, formaggi, bestiame e stracci; ma l'esportazione si fa sempre più rara. I mercati di Odessa, Tangarog e di Africa, dove frequentano i genovesi, han fatto dimenticare il grano sardo, che è più costoso, e per conseguenza han nociuto gravemente all'agricoltura sarda. Tanti agricoltori, che prima viveano in molta agiatezza, oggi languono nella miseria. Il dazio eccessivo, cui si assoggettarono in Napoli i formaggi sardi salati se ha ridotto a tenue somma il vistoso lucro dei negozianti nei porti sardi sul Tirreno, qui lo hanno poco meno che ridotto a zero. Infine l'esportazione del bestiame che negli anni scorsi si facea per l'Africa è oramai cessato. Sono pertanto pochissimi gli affari commerciali che si facciano con l'estero, e a farli ancor minori si aggiunse alle cause anzi dette il diritto di pedaggio che devesi pagare alla città per il passaggio delle merci sullo stradone alla Torre grande, donde si imbarcano le merci, giacchè per sottrarsi a questo le merci si avviano a Terralba e si fanno uscire da quel porto.

Siffatto deviamento attenuando il reddito del pedaggio, dal quale si avrebbero i mezzi per la manutenzione della strada al porto, è necessario che il municipio supplisca da altra parte; da che cagionasi uno sbilancio nella economia municipale. Fu da questo che si mossero i consiglieri a domandare al governo che interdicesse il porto di Terralba, ma la domanda, come potea prevedere chi avea fior di senno, fut senza effetto. È veramente cosa spiacevole che le condizioni sieno poco favorevoli al commercio d'Oristano, ma potrebbe forse parere men giusto, che nella interdizione del porto di Terralba i dipartimenti che hanno sbocco alle loro derrate in questo fossero obbligati ad allungare di altre venti

miglia il trasporto perchè la somma del pedaggio fosse maggior che non è.

Non tacerò un'altra ragione del concorso al porto di Terralba, dove anche negozianti oristanesi mandano le derrate; ed è perchè mancando in quel porto la sorveglianza degli ufficiali doganali, si può facilmente commetter frodi, e im barcare molto più di quello che sia denunziato in Oristano. Perchè stimi il lettore quanto sia il commercio attivo e passivo del porto di Oristano porrò sotto i suoi occhi lo stato dei redditi doganali dal 1835 al 1844.

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Quindi si deduca la condizione del popolo oristanese, e a intenderla meglio si consideri la sterilità degli anni passati, nei quali il raccolto è stato infelicissimo.

Porto. Presso la torre grande, in fin della strada nuova, sono alcuni magazzini a ricevere e prepararvi i carichi, ma non vi sono abitazioni.

La detta strada cominciata nel 1836 stendesi da Nuracabra al porto per circa 6 mila metri.

Forse con minor dispendio si sarebbe potuto fare opera migliore, l'apertura d'un canale dalla foce del fiume al ponte, con una darsena presso al medesimo, di sufficiente capacità a dieci o a venti battelli. Così sarebbesi rettificato il fiume (il che è da farsi per scemare le inondazioni), sarebbonsi acquistate le molte terre che occupa il letto tortuoso del fiume, e sarebbesi agevolato l'imbarco e lo sbarco delle merci. Fu chi propose di far così con poche variazioni, ma nella deliberazione prevalendo l'autorità del Bua non fu nè pure preso in considerazione questo progetto, non ostante che i suoi vantaggi fossero, quanti ho accennato ed altri an

cora, e fu votato per il suo disegno della strada, non ostante gli svantaggi, che ora si conoscono e allora si sarebbero potuti provedere, principalmente la costosa manutenzione e il danno de' seminati.

Fiere. Quattro volte all'anno si fa mercato in Oristano nella ricorrenza di certe feste: 1.o per la Madonna del Rimedio; 2.° per s. Anna; 3.o per la Vergine d'Itria; 4.o per s. Croce in settembre.

Per s. Anna e la Vergine d'Itria ́i sorgonesi e altri del dipartimento di Mandrelisai vendon legname di castagno, noce, quercia, rovero, tasso ec.

Per s. Croce si mette in commercio fra tanti altri articoli un gran numero di polledri.

1 vasai oristanesi portano in vendita i loro lavori per tutti i dipartimenti.

Religione. Oristano è sede di un arcivescovo, il quale in altri tempi aveva suffraganei, il vescovo di s. Giusta, che prima forse si intitolava da Forotrajano, dove si può supporre la sua sede; il vescovo di Terralba, che senza dubbio ebbe anticamente il titolo dalla città di Neapoli sua sede; e il vescovo di Uselli, che poi fu denominato da Ales, dove si traslocava dopo la caduta di quell'antica città sotto la violenza dei Barbaracini, secondo che ci pervenne per tradizione.

Anche l'arcivescovo cangiava di seggio e di titolo; imperciocchè mentre in sul principio, quando risiedeva nella città di Tarra, fu qualificato arcivescovo tarrense, poscia quando insieme col re d'Arborea partito da quel luogo, troppo infestato dai Saraceni di Africa e di Spagna, doveva con lui porre sua sede nell'antica Ottoca, allora appellata Aristani, cominciò a essere qualificato arcivescovo oristanese, il qual titolo alternò con l'altro di arcivescovo arborese, come avea con questo alternato quello di arcivescovo tarrense.

Esso non ha più che un sol suffraganeo da che nel principio del secolo XVI si incorporò alla sua la diocesi di s. Giusta, e formossi delle altre due (terralbense e usellense) una sola chiesa vescovile (che è quella di Ales) con bolla di Giulio II degli 8 dicembre 1503.

Prima di quell'epoca la diocesi arborese si estendeva sopra

dieci regioni, e queste erano il Sinnis, dov'erano parroc chie circa 20; il campidano Milis con parr. 7; il campidano-Maggiore con parr. 15; il campidano Simagis con parr. 11; una frazione di Parte-Barigadu con parr. 6; Parte-Austis con parr. 3; la Barbagia Mandra-e-Lisai con parì. 7; la Barbagia Belvi con parr. 8; Parte-Valenza con parr. 12; e la Marmilla arborese con parr. 3.

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Quando si fe' l'unione predetta si accrebbero allora altri tre dipartimenti, i quali furono il Guilcieri, poi detto ParteCier Reale e Parte-Cier Suso o Canales con parr. 18; altra frazione di Parte Barigadu con tre parr., e Barbagia-Ollolai con parr. 8 compreso Sorovile.

Noterò qui che il numero delle parrocchie doveva essere ben superiore al notato, e che mi è evidente che nell'epocal in cui il vescovo di Tarra fu elevato alla dignità arcivescovile (come lo fu parimente quello di Torre, per la politica dei regoli, che non voleano i loro vescovi dipendenti dal metropolitano di Cagliari, soggetto al regolo di Plumino o Cagliari) la sua giurisdizione fu accresciuta di intere regioni e di parte di altre a detrimento di Fordongianos e Uselli, dovendosi tenere che la Barbagia Mandra-e-Lisai e Belvi appartenessero primitivamente alla diocesi di Fordongianos o s. Giusta, come apparteneva alla medesima intero il Barigadu e intera la Marmilla al vescovo di Uselli.

In progresso di tempo essendo per le guerre intestine, per le pestilenze ed epidemie, per le carestie, per la tirannia dei feudatari, nei quali furon distribuite le terre dell'abolito regno di Arborea, mancate molte popolazioni, ed essendo state distratte varie parrocchie, segnatamente quelle di Barbagia Ollolai per aggiungerle alle vicine diocesi, oggidì la diocesi arborese ha dentro la sua giurisdizione soli settanta due paesi; e sono sette dell'antica diocesi di s. Giusta, cioè s. Giusta, Pauli Latino, Guilarza, Abba-Santa, Norguiddo, Sorradile e Neoneli; e sessantacinque sue proprie dall'antichità cioè Cabras, Solànas, Donnigala, Nuraginieddu, Massama, Siamaggiore, Simagi, Solorussa, Cerfaliu, S. Vero-Congius, Ollastra, Villanova Truschedu, Fordongianos, Silì, Siamanna, Siapiccia, Villurbana, Palmas, Marrubiu, Bau-ladu, Tramazza, Milis, Seneghe, Bonàrcado, S. Vero Milis, Ceddiani,

Baràtili, Riola, Nurachi, Narbolia, Sorgono, Teti, Tiana, Austis, Ovodda, Aritzo, Tonara, Belvì, Desulo, Meana, Atzara, Gadoni, Gesturi, Villanovafranca, Genoni, Barumini, Isili, Nuralla, Nuragus, Laconi, Nureci, Senes, Assolo, Asuni, Villanova s. Antonio, Mogorella, Busachi, Samugheo, Ruinas, Allai, Ula, Nughedu, Bidonì, Ardaùli, Ortueri.

La cattolica religione è stata sempre nella chiesa e diocesi arborese immune da ogni menomo errore intorno ai dommi e se la santità dei costumi e la disciplina del culto ebbe le sue vicende, come in ogni altra parte, secondo la condizione dei tempi, non pertanto si può asserire che in nessun tempo si venne a quell'estremo rilassamento, che notan le storie della chiesa anche in provincie illustrissime, e non mai si praticarono nel santuario quelle profanazioni che si usavano in altri luoghi. Nel tempo dei Giudici essendo il Giudicato d'Arborea uno dei più gloriosi tra quei dell'isola, la chiesa d'Arborea rifulse pure tra le altre di qualche splendore di dottrina e santità, e per la provvidenza dei pii, savi e religiosi principi che invitarono a stabilirsi in Arborea i Benedittini, chiamando fra gli altri quelli che avessero e sapienza e virtù agli alti uffici del sacerdozio, • per la speciale sollecitudine dei Pontefici che vi inviavano i loro legati, da' quali si bandivano salutari ordinamenti e si operavano le necessarie riforme.

Sotto il regno degli aragonesi e successivo degli spagnuoli la sede arborese fu occupata da prelati di gran merito, tra i quali nomineremo in sulla fine del secolo xv l'arcivescovo D. Giacomo Serra di Valenza, oriondo della Sardegna, che poi fu cardinale di s. Chiesa col titolo di s. Clemente; nella prima metà del secolo xvi D. Carlo di Alagon, che credesi essere stato dei Padri del concilio di Trento; dopo la metà dello stesso secolo D. Geronimo Barbarà, dal quale furono pubblicati i decreti di quel concilio; verso la fine del medesimo D. Antonio Canopolo che fondò in Sassari il collegio Canopoleno con dodici posti gratuiti a favore della diocesi arborese; e nel principio del secolo xviii D. Francesco Masones y Nin che istituiva il seminario in Oristano.

L'insegnamento delle lettere, delle scienze e delle dottrine sacre, che in tempi men lontani faceasi in Oristano da 19 Dizion. Geogr. ecc. Vol. XHI.

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