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Qui egli considerando la sua gran perdita disegnò di vendicarsi e con la vendetta cercare di esser rimesso nel suo stato; e sapendo trovarsi l'Imperatore in gran bisogno per le molte guerre fatte, augurossi che l'avrebbe favorevole se gli offerisse un'onesta somma di danaro. Perchè però potesse essere raccomandato a Cesare e ajutato a riprendere il suo stato, si volse a' genovesi, e per i suoi ambasciatori promise, che avrebbe tenuto il giudicato di Arborea come vassallo della repubblica e si sarebbe interamente sottoposto ad ogni loro comando.

I genovesi credendosi acquistare parte della Sardegna deliberarono di ajutarlo, e subitamente armate otto galere le mandarono in suo favore.

Accortisi i pisani di questo movimento mandarono in Sardegna Ildebrando Orlandi console acciò accomodasse le discordie risorte fra questi giudici; il quale giuntovi fece giu rare a tutti, che non si dipartirebbero giammai dall'amicizia de' pisani e che inviolabilmente osserverebbero quanto fosse loro imposto. E mentre Ildebrando facea queste ed altre cose giunse nell'isola Rinieri Alferioli, console egli pure, con otto galere, e fu per essi che gli ambasciatori imperiali che erano con i genovesi passati in quelle parti non poterono fare cosa nessuna in favore del giudice d'Arborea, il quale imbarcossi portando seco grandissima quantità d'oro e d'argento e molte altre cose di gran valore.

Giunto in Genova espose al senato le sue disgrazie, quindi si parti accompagnato da molti ambasciatori genovesi, ed a' 10 di agosto giunse in Pavia, dove si trovava l'Imperatore. Dal quale essendo stato accolto con molti segni d'amore, ebbe in pubblica udienza la promessa che non solo gli restituirebbe il tolto regno, ma lo accrescerebbe di maggior dignità ed onore. E così Federico, essendosi dimenticato in tutto della grande amicizia già per molti anni tenuta con i pisani, alienandosi senza occasione da loro, il giorno me. desimo con molta solennità e festa coronò re di Sardegna questo Barisone, essendo presenti alla sua incoronazione Enrico Cane e Benedetto Barucci, consoli pisani, e molti altri nobili di quella repubblica, i quali apertamente si scusarono con sua maestà, dicendo che poi non si maravigliasse

se di questo fatto nascessero guerre ed odii immortali, perchè la città di Pisa non poteva sopportare tale ingiuria, che un suo vassallo e feudatario si onorasse di titolo regio, e che egli, se desiderava la pace di quella città, non doveva porvi mano. Ma l'Imperatore a cosa che dicessero i consoli non volle porger orecchio.

Barisone ritornato in Genova vi fu accolto con grand'onore, e vi dimorò fino a' 22 di novembre, nel qual tempo adunò, parte con i suoi danari e parte con l'ajuto de'genovesi, molte genti per tornarsene nel suo regno, parendogli di già dominare tutta la Sardegna; ed avendo ottenuto dalla repubblica di Genova otto galere benissimo armate e tre grandissime navi si mise in viaggio.

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In questo mezzo i giudici di Sardegna intendendo siffatte cose da' pisani ne sentirono gran dispiacere, ed il simile ancora i sardi: ed avendo con molta fretta messo insieme molta gente di nuovo saccheggiarono il giudicato di Arborea, e rovinarono e distrussero il castello di Capra abbruciando molti luoghi d'importanza. Ed i pisani per difensione del resto dell'isola vi mandarono con sei galere Ildebrando Bamboni console, Marzucco Gaetano e Lamberto Lanfranchi, acciò che non lasciassero entrare nell'isola nè il nuovo re nè i genovesi che erano seco.

L'Imperatore fece poi ragione ai diritti dei pisani, e intimata una dieta generale, fece intendere a'genovesi che vi dovessero intervenire insieme col re Barisone, i quali subitamente vi concorsero. E così essendosi ragunati molti arcivescovi, vescovi, duchi, principi, marchesi e baroni di tutta la Germania, vi si trattò di molte cose, dopo le quali l'Imperatore con bello ed ordinato parlare espose a quei signori il torto che avea fatto alla città di Pisa, quando diede it regno della Sardegna al giudice Barisone togliendolo a chi di ragione si spettava, quindi si fece venire innanzi il console Uguccione e investì il comune da lui rappresentato di tutta la possessione della Sardegna, sottomettendogli di nuovo tutti quattro i giudici e le persone dell'isola, con questo però che la città di Pisa sempre lo riconoscesse dall'imperio romano. Della quale concessione e investitura se ne fece un pubblico privilegio, il quale a nome dell'Imperatore e di tutta la dieta il principe di Boemia giurò di osservare.

I pisani tenendo per certo che i genovesi oltre a chiamarsi di questo fatto offesi avrebbero cercato di rimettere Barisone nel possesso del giudicato d'Arborea, fecero nuovi apparecchiamenti per la nascente guerra. La quale non tardò molto a discuoprirsi; perciocchè tornati i genovesi impetuosamente si mossero e con molte galere passarono in Sardegna avendo in loro compagnia questo Barisone, con il quale pervenuti sicuramente nell'isola e nel porto di Longone, vi pigliarono quattro saettie pisane, sopra le quali erano molti mercanti di quella città.

Dubitando di quello che era già avvenuto i pisani aveano mandato verso la Sardegna Pietro Visconti e Guglielmo Bottacci, consoli di quell'anno, con undici galere bene all'ordine, i quali prima di toccar l'isola avendo presa una galera dei corsari di Diana, città allora potente nella Spagna, andarono poi in Cagliari, dove trovarono sette altre galere della repubblica. Quivi da molti intesero come i genovesi aveano sbarcato in terra i cavalieri ed i soldati del giudice Barisone; ma che egli facendone grande istanza da loro questo non avea potuto ottenere, dicendo così che voleano prima essere rimborsati della spesa per lui fatta in Genova ed alla corte dell'Imperatore, siccome era stato loro promesso non solo con pubbliche scritture da lui, ma con solenne giuramento ancora e di più gli richiedevano trentamila lire di moneta genovese, che gli aveano prestate in Genova. Il giudice non trovandosi sì gran somma di danaro, volea per sicurtà dare alcuni de' suoi più nobili per ostaggi ed ancora una parte del detto debito, ma quelli non vollero mai acconsentire. Mentre si trattavano queste cose i due consoli si divisero l'esercito per andar a trovare i nemici, ed il console Pietro andò con l'armata alla volta loro, l'altro per terra.

La qual cosa avendo presentito i genovesi lasciando la gente di Barisone in terra ed alcune navi e saettie, rimontando ne' loro legni si partirono dall'isola e giunsero a salvamento a Genova alli sette di febbrajo; e ripieni di furore e di gran rabbia, non essendogli riuscito quello che si avevano immaginato, rivoltarono tutta la furia e lo sdegno loro sopra il giudice, e non guardando al titolo regio, nè a nessuna altra cosa, lo misero miseramente in prigione.

I consoli pisani essendo assai potenti in terra ed in mare pigliarono molti mercanti genovesi, che per l'isola erano sparsi, e dopo non avendo più contrasto la Sardegna torno tosto alla loro obbedienza, eccetto Portotorre che si era ribellato, all'assedio del quale rimase il console Guglielmo, l'altro ritornossene pien di gloria e vincitore a Pisa.

Nell'anno seguente, che era quello del 1166, occorse che mentre Guglielmo Bottacci cercava che senza spargimento di sangue gli pervenisse nelle mani detto Portotorre, molti pisani senza sua saputa scesero in terra, ed entrando alquanto dentro nell'isola assaltarono la villa (di Ottava)..... cercando di rovinarla ed affatto distruggerla: ed opponendosi i sardi a'primi assalti gagliardamente, i pisani con molta vergogna e con lasciarvi ottanta de' loro morti, furono ributtati. Ma correndovi Guglielmo con lo sforzo di sue genti, non solo vendicò la morte de' suoi, ma si impadronì ancora del tutto; e tal fine ebbe questa pericolosissima guerra di Sardegna. La quale acciocchè più non avesse a rinascere fu comandato a'giudici che si trasferissero in Pisa, e così Guglielmo dovendosene con l'armata tornare ve li condusse. E questi furono Barisone giudice di Torre, Pietro suo fratello giudice di Cagliari e quello di Gallura.

Giunti costoro in Pisa fu subito radunato il senato, nel quale i giudici diedero conto delle amministrazioni dei loro giudicati, e di quanto aveano fatto contro il giudice d'Arborea avanti che l'armata pisana passasse nella Sardegna, delle quali cose ne furono ringraziati. E venendosi dopo alla nuova confermazione de'suddetti giudici, si fece con tutte quelle solennità, che l'altre volte; ed essi avendo prestato in mano dei nuovi consoli il solito giuramento, si obbligarono dare alla repubblica pisana un donativo di seimila lire pisane, e ciascun anno per feudo dei loro giudicati cento lire della medesima moneta e dodici paja di falconi, e rinnovare queste cose ogni volta che si creassero gli altri consoli, o con le proprie persone, o per mezzo de' loro ambasciatori. E i pisani, volendosene di poi ritornare detti giudici, mandarono ad accompagnarli, con una galera, Guglielmo Bottacci e Leone Pulta, i quali del mese di maggio arrivarono in Sardegna. Nel qual luogo avendo questi due capitani recate a fine al

cune cose che aveano in commessione dal senato di fare, e visitato tutte le fortezze dell'isola se ne ritornarono in Pisa.

Nel 1167 il console pisano Griffi partito da Pisa con una galera per capitolare con Ammiramumino, re del Marocco e di Bugia, che avea domandato la pace e accompagnato fino in Sardegna da cinque altre eguali navi fu presente alla preda che queste fecero della nave che i genovesi avevano mandata nel giudicato di Arborea per esser pagati di quanto erano creditori dal giudice Barisone, che era da loro tenuto in prigione, sopra della quale furono fatti prigioni cinquanta genovesi.

Avendo queste cose sentite i genovesi armarono del mese di giugno nove galere, con le quali navigarono a Cagliari. Nel qual luogo furono ricevuti dal giudice Pietro, il quale contro il giuramento fatto davanti ai consoli in Pisa si era ribellato, ed accordatosi con loro capitolando di esser amico e confederato della repubblica di Genova. Del che avendo avuta notizia i pisani mandarono in Sardegna Stefano Massa e Pietro Erici, consoli, con diciassette galere, acciocchè vedessero di rimediare a tali inconvenienti. I consoli sopra la costa di Cagliari scopersero l'armata nemica, la quale fuggendo si salvò, e navigando a Cagliari il giudice Pietro non li volle ricevere, se non con patto, che perdonandogli il commesso errore di nuovo lo affermassero nell'officio del giudicato. I consoli avendo visitato tutta la Sardegna se ne tornarono a Pisa.

Nel 1171 essendo nate alcune discordie fra' giudici sardi, la repubblica destinò per sopirle il console Carone, Turchiarello Turchi e Guidone Barbetti, dottori di legge. E la galea su cui era il console essendo stata presa da' genovesi si armarono subito quattro galere, delle quali furono capitani Bulgarino Anfossi, Morello Morelli, Guido Fornari ed Ugone Luggi, i quali corseggiando ricompensarono molto bene il danno fatto alla loro patria. Nello stesso tempo Gallo Tagliapagani e Sigerio Gismondi scorrendo con due galere il mare di Arborea, fecero preda di una nave genovese, e dopo girando la Sardegna ne presero altre due con una galeotta nel mese di settembre.

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