Immagini della pagina
PDF
ePub

Nell'anno seguente di nuovo Gallo Tagliapagani con Jacopo Cerini ed Alberigo Pascemosca navigando ne' mari di Sardegna presso Capo Albo (Capo Caccia) fecero preda ricchissima di due navi genovesi.

Nel 1175 i genovesi essendo passati in Sardegna con grandi forze, e messe in terra di molta gente vi faceano grandi progressi; perchè i pisani vi mandarono i consoli Carone e Paneporro con due galere, i quali mettendo insieme i pisani e i sardi che tenevano dalla loro parte ne cacciarono i nemici a forza; e dopo convocati i giudici li fecero giurare che per l'avvenire non lascerebbero smontare i genovesi in terra, e che tutto il tempo della loro vita sarebbero fedeli alla repubblica di Pisa pagandole il solito feudo; e dopo loro tutti i sardi diedero il giuramento di fedeltà e di obbedienza in mano de' consoli.

In quest'anno Barisone fondava in Oristano uno spedale detto dello stagno in Pisa, e vi pose pisani.

Nel 1181 si mandarono molte genti in Sardegna essendone stati dal senato creati capitani Bernardo Cacciopoli ed Ugone Sanfelice, consoli, per raffrenare l'ira de' giudici che di nuovo avean cominciato a contendere fra di loro con danno inestimabile di quell'isola ; dalla quale i pisani, oltre le miniere d'argento, ne ritraevano molte altre cose, ricchezze ed onori e comodi privati. Era stato il primo a tumultuare il giudice di Arborea, il quale movendosi contro quello di Cagliari e di Torre, ajutato da Ugone Visconti, nobilissimo pisano, gli apportò in un medesimo tempo fierissima guerra e danno. Essendovi arrivati i consoli ebbero molto che fare a spegnere quest'ardentissimo fuoco, e fu di bisogno usare la forza dove la ragione non valeva: ma con l'autorità loro talmente si adoperarono, che le incominciate discordie si sopirono, le quali per quanto si vide dappoi non si erano affatto estinte.

A'consoli, nelle cui mani i giudici avean dato il giuramento di non più dannificarsi l'uno con l'altro, parendo però che le cose dell'isola fossero accomodate, se ne ritor narono in Pisa, ed appena vi furono giunti, che di nuovo i regoli cominciarono a tumultuare ed a mettere sottosopra quel regno. La qual cosa saputasi in Pisa, il senato vi prov. vide mandandovi Bulgarino Visconti, Enrico Cane, consoli,

ed Alberto Gualandi dottore; i quali passarono in Sardegna, e trovando più difficile il negozio di quello che si aveano immaginato, dandone conto al senato, gli scrissero che a loro pareva bene vi mandassero persona di maggior autorità. Per la qual cosa vi si spedì l'arcivescovo Ubaldo, il quale unitosi con i consoli, chiamati i giudici, dopo molte amorevoli parole disse loro: che avea commessione dalla repubblica pisana, quando non si volessero accordare insieme, protestar loro la guerra, con questo che non potessero più per l'avvenire intitolarsi giudici di nessuna parte della Sardegna: alla qual cosa doveano essi molto ben pensare: però che se il senato pisano, governato da tanti prudentissimi uomini, metteva una volta le mani in questa cosa non poteva con suo onore ritrarsene, se non ferma e stabilita che ella si fosse, certificandoli che oltre all'estinguere quel sommo antico magistrato, il senato avrebbe tolto per cagion loro ogni dignità ed onore a quell'isola, e invece di mandarvi a governare i primi gentiluomini della sua città avrebbe man. dato i più vili ed i più crudeli, acciocchè con la ignobilità loro e con l'asprezza fossero un esempio a tutti gli abitatori e particolarmente a loro. Queste sue parole commossero talmente i popoli sardi che quivi si trovarono presenti, che i giudici dubitando d'una gran ribellione verso di loro, condiscesero alla volontà dell'arcivescovo e de' consoli, dandogli piena autorità che facesse la pace a suo modo, che essi avrebbero sottoscritti i capitoli di quella, e dato il giuramento di osservarla. Il quale mandò ad effetto quanto dal senato era stato imposto.

Sentendo i genovesi le discordie di questi giudici per trarne qualcuno al loro partito passarono in Sardegna; ma trovandola in pace e achetate quelle tante rivolte e dissensioni, senza tentar altro se ne tornarono in Genova.

Nel 1188 i pisani impazientiti della poca stima che cominciavasi a far di loro, che consumavano la loro energia nelle discordie domestiche senza badare alla sventura della cristianità in Oriente, mentre si faceano grossi apparecchi e provvedimenti un'altra volta cacciarono dalla Sardegna tutti i mercanti genovesi, togliendo loro le ricchezze e le robe che accumulate si aveano, non potendo patire nè sopportare

che i traffichi loro andassero prosperando felicemente in quel regno loro soggetto. Della qual cosa i genovesi volendosi vendicare, uscirono fuori con l'armata, e giunti in Corsica, oltre il danno che cagionarono a' popoli soggetti a questa città si impadronirono del fortissimo castello di Bo. nifazio edificato da' pisani fin dal tempo dell'imperator Ludovico primo di questo, nome.

Il regno d'Arborea essendosi posto sotto la dipendenza de' genovesi questi ristabilirono i loro affari commerciali nell'Arborea, ma senza esclusione de' pisani.

Nel 1194 i pisani avendo ripreso le armi contro i genovesi ricuperarono il castello di Bonifacio, tolsero loro molte navi, e corsero tutta la Sardegna lasciando memorabile segno di loro. I genovesi uscirono fuora con armata maggiore, ripresero Bonifacio, predarono presso Cagliari la nave domandata il Leone della foresta e un'altra proveniente da Africa, carica di mercanzie.

Nel 1196 si rinnovellarono da' pisani le convenzioni con Costantino giudice di Torre, le quali furono queste: Che i pisani quanto prima manderanno uno de' consoli, con molti nobili, in quell'isola, e particolarmente al Giudicato di Arborea, ne' quai luoghi faranno ricercare Guglielmo marchese e giudice di Cagliari, che gli diano securtà di far pace col detto giudice Costantino, e con tutti quelli del suo regno e terre; che i pisani faccino ogni opera e diligenza, che detto Guglielmo renda al giudice Costantino la sua moglie e altre donne prese contro ogni dovere nel castello di Gociano; che il consolo pisano, destinato dalla repubblica, giunto che sarà in Sardegna, subito si trasferisca nella città di Torre, e riceva in sua mano il sacramento della pace dal giudice Costantino, e il simile faccia egli per i pisani. Fatte queste cose vadino di compagnia a' castelli di Gociano. e Monte-Verri, dove si metta conveniente presidio di soldati, facendoli giurare che terranno detti castelli per il comune di Pisa e per il giudice Costantino in questo modo, che se il prefato Giudice darà a' consoli pisani, e veramente a chi rappresenterà la persona loro, dal giorno che sarà pubblicato quest'accordo per tutto il dì decimoquinto di maggio venticinquemila bisanti o massamurini d'oro e d'argento, la

metà nel detto tempo e l'altra per tutto il mese di giugno, i pisani gli devano restituire detti luoghi; che i pisani operino per tutte le vie e per tutti i modi usando, quando non giovassero le altre cose, la forza, che innanzi che il consolo esca di Sardegna si faccia buona pace fra Guglielmo e Costantino, e il simile intervenga fra esso Costantino Pietro giudice di Arborea; che i castelli che la città di Pisa debba tenere sotto custodia sua fino a tanto che sia fatta e stabilita la pace non saranno da' consoli pisani alienati, nè concessi in feudo a nessuna persona; ma che ogni anno vi manderanno due cittadini di Pisa a governo e per guardia loro facendoli solennemente giurare nelle loro mani, che non offenderanno nè manco faranno offendere le terre nè il regno del giudice Costantino, anzi lo difenderanno in ciascun luogo e lo lascieranno entrare a sua volontà con sei persone nel castello di Goziano. Questi patti furono fatti in Pisa nella chiesa di s. Pietro in Padule, alla presenza de' consoli di Pisa, di Sardo Barice, di Lamberto Bononi e di Gualfredo Grassi, imbasciatori di Costantino giudice torritano e di Gargano Marzucchi, di Ugone Selario e di Gherardo Conetti, nobili pisani, addì 29 marzo.

Nel 1197 un'armata pisana di otto galee, sotto la scorta di Ildebrando Settimi, persona valorosa e di molto grido condusse in Sardegna il consolo pisano e gli altri nobili promessi a Costantino giudice torritano, e i suoi oratori.

Nell'anno istesso accadde un gran rivolgimento di cose nell'Arborea. Pietro de Serra de' Barisone fu assalito da Gugliel mo marchese di Massa e giudice di Cagliari, o Plumino, vinto e fatto prigioniero col suo giovin Barisone natogli da Bina e rinchiuso nelle carceri di Cagliari, e Oristano fu occupato per forza.

Era allora arcivescovo di Oristano un genovese, Giusto di nome, e temendo le soperchierie e vessazioni del marchese e de' pisani, che erano nel suo esercito, andò in altra parte aspettando che il fervore della vittoria si calmasse.

Nell'assenza di lui il marchese con le sue genti spogliò la chiesa di gran parte delle ricchezze, e pretese che la sua usurpazione fosse legittimata con le consuete cerimonie.

Si radunarono pertanto i suffraganei e i principali del

clero, e senza rispetto a' diritti di Pietro ed alla censura papale, dalla quale Guglielmo era colpito, lo elessero a Re e gli-porsero in tutta solennità il baston del comando, o scettro del dominio, sopra tutto il regno arborese.

Nel 1269 il re di Francia Ludovico il santo andando all'impresa di Tunisi con Roberto conte di Chiaramonte, Giovanni Tristano conte e duca di Nevers e Teobaldo re di Navarra e con il Legato apostolico, trasportato dalla fortuna fu costretto a ritirarsi in Sardegna, donde poichè raccolse tutta l'armata navigò verso quella città. Ebbe alcuni vantaggi, prese Cartagine, poi morì per la peste. Il re Carlo venuto con la flotta pisana conchiuse accordo onoratissimo col re di Tunisi, tra'capitoli del quale erano questi: Che in Africa potessero i cristiani pubblicamente predicare il Vangelo e battezzare quelli che si volessero far cristiani; che il re di Tunisi pagasse al re Carlo e a' suoi successori del regno di Napoli quaranta mila scudi; che lasciasse gli schiavi cristiani liberi, che ne avea gran numero e fra essi molti sardi. Dopo che il re Carlo se ne tornò in Sicilia e i pisani nella loro città.

Non indugiò allora a ritornare l'arcivescovo, e dannando i suoi preti di ciò che aveano osato in favore di Guglielmo e in dispetto della sede apostolica, e ricusando di riconoscere come re di Arborea il marchese di Massa prima di una dichiarazione pontificia, provocò contro se il marchese e i preti. Si sparsero gravi calunnie tra il popolo in suo disonore, e due de' cherici ribelli andarono in Roma per interporre appellazione al Papa. Ma cotanto scandalo non durò gran tempo, ed i traviati pentiti de' loro eccessi chiesero perdono, e rientrarono in grazia dell'arcivescovo. A questo felice risolvimento valse assai l'autorità di papa Innocenzo III.

Nel 1273 il giudice di Gallura avendo dopo l'uccisione di Gualfreduccio Oddone, gran gentiluomo ghibellino e pistolese, comandata la morte di Rinieri Remondini e Pancaldo Vacca, e temendo che il senato non gli facesse mettere le mani addosso, venne in Sardegna al suo stato. Dispiacque di tal modo questo fatto alla maggior parte de' senatori, che sedendo nel senato fu stabilito che se gli facesse guerra.

« IndietroContinua »