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verso di Ormèa con otto mila fanti tra spagnuoli, napoletani, liguri e corsi, con alcune squadre di cavalli, e con varii pezzi d'artiglieria. Innanzi a tutto fece avanzare la sua cavalleria, che venne ad appostarsi a poca distanza dal ponte di Nava, e volle ad un tempo che si accostassero a questa piazza molti fanti spagnuoli, che avevano già militato nelle guerre di Fiandra. Stanziavano allora in Garessio D. Carlo figliuolo naturale del Duca, ed il marchese di Trinità, i quali, fatti consapevoli dello avvicinarsi del nemico, si avviarono tosto in soccorso di Ormea con due mila fanti e duecento uomini a cavallo; ma imbattutisi questi in truppe napoletane che erano sotto il comando di D. Antonio del Tuffo, e quindi sorpresi da due altre compagnie capitanate da un certo Spata, cui si unirono altri rinforzi, dovettero ritirarsi col loro condottiero D. Carlo.

L'esercito nemico non trovando allora più ostacoli ad appressarsi a questo paese, lo strinse d'assedio, lo fulminò durante più giorni, ed essendosene impadronito, l'abbandono al sacco de' suoi soldati, che ne uccisero il governatore Giorgio Ancina di Fossano, passarono a fil di spada molti degli abitanti, ed eziandio quelli che avevano cercato un asilo nelle chiese del luogo. Il castello prestamente si arrese, e fu consegnato ai senatori che trovavansi nel campo nemico, e lo ricevettero a nome della repubblica di Genova, mettendovi un presidio di seicento militi sotto il comando di Marco Antonio Brancaccio, mastro di campo di quella repubblica. Ormea rimase sotto la dominazione genovese per nove anni, cioè fino alla pace conchiusa nel dì 11 gennajo del 1635 in questo spazio di tempo i genovesi ne travagliarono la popolazione con ogni maniera di estorsioni. V. Garessio vol. VII, pag. 257 e seg.

Alli 26 maggio dello stesso anno fu investito di questo feudo il cardinale Francesco Adriano de' marchesi di Ceva, e nunzio apostolico presso la corte di Francia. Dopo la morte del principe Maurizio di Savoja, il duca Carlo Emanuele II addì 27 luglio 1658 concedette alla vedova principessa Ludovica sua sorella la facoltà di poter vendere questo feudo per pagare i debiti del defunto marito, e lo stesso Duca nel dì 30 marzo del 1665 acquistò il medesimo feudo di Ormea,

di cui investi poscia (1671) il prelato Francesco Adriano Ceva, nipote dell'anzidetto cardinale.

Estintasi l'antica casa Ceva, lo stesso Duca diede l'investitura di Ormea a Carlo Emanuele Filiberto d'Este-Dronero alli 15 luglio del 1673. Finalmente Vittorio Amedeo II addì 27 settembre 1722 vendette al vassallo Alessandro Marcello Vincenzo Ferrero il feudo, le decime, il pedaggio, tutte le ragioni e dipendenze feudali di Ormea pel prezzo di lire 55000, di cui il Ferrero fu investito con titolo marchionale il 3 d'ottobre dello stesso anno.

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Mentre nel 1744 infieriva la guerra tra i Borbonidi, ed il re Carlo Emmanuele III alleato dell'augusta Maria Teresa, l'esercito gallo-ispano tentò di valicare la montagna denominata la Colla, che divide Garessio dai luoghi di Calizzano e di Bardinetto per condursi ad invadere tutti i paesi della valle del Tanaro, che trovavasi sprovvista di truppe; ma ne fu vigorosamente respinto dalle garessine milizie, alla cui testa erasi posto l'avvocato, e diacono Maurizio Randone (Vedi Garessio). Ciò non pertanto Carlo Emmanuele temendo che i nemici volessero di bel nuovo tentare l'invasione di quella vallea, spediì nel mese di maggio di quell'anno ad Ormea parecchi battaglioni di soldati piemontesi, i quali si appostarono all'isola del Colombino, e nella così detta Fascia della Madonna: ad essi unironsi tosto le milizie del luogo, che stettero in armi fin dopo la metà di settembre. I gallo-ispani sempre bramosi di penetrare nella valle del Tanaro, risolvettero allora di muovere verso il passo di Nava; ma fatti consapevoli che nella terra di Ormea trovavasi accampato un buon nerbo di piemontesi truppe e di miliziotti del luogo, e d'altronde resi avvertiti che il ponte di Nava era minato, tutto che già si fossero innoltrati sino alla fontana del Serpente, retrocedettero, e ritiraronsi nella riviera ligustica di ponente, senza che accadesse alcun fatto d'armi in questi dintorni.

L'anno 1794 apportò agli ormeaschi il terrore, e fu il principio di gravissimi infortunii, che li afflissero dappoi. Avevano i repubblicani di Francia tentato indarno dalla parte 'di Nizza la presa della rocca di Saorgio, considerata da essi come di grande importanza per potersi introdurre secura

mente in Piemonte: eglino adunque invasero la valle di Oneglia, ed avviandosi verso Ormea, procurarono di salire quelle erte montagne per prendere alle spalle la rocca sopracennata. Il re Vittorio Amedeo III nello scopo di far fronte alla forza nemica, sul finire di marzo del 1794 spedì ad Ormea il reggimento della legione leggiera, a cui si unirono i soldati che vi presidiavano il castello, e le milizie del luogo in numero di ducento cinquanta: questo corpo sotto il comando del barone De Lera occupò il colle di Fontanione, e di Montariolo, che divide il genovesato dal Piemonte; e su quelle alture si trovò presto ingrossato da quattrocento armati terrazzani della valle di Oneglia. Sopraggiunse quindi il reggimento di Lombardia, che accampossi al ponte di Nava, per impedirne il passo al nemico. Colà furono erette varie trincee, venne piantata una batteria di cannoni, e si sbarrò il ponte: indi a poco vi arrivarono le due granatiere dei reggimenti Caprara, e Belgioso sotto gli ordini del generale Argenteau, le quali presero posizione lungo la grande via tra Cantarana, e il ponte di Nava: tutte queste truppe sommavano a quattro mila uomini.

Il francese generale Massena, che stava nella riviera, fece muovere verso Ormea i suoi repubblicani, ed accadde una scaramuccia al colle di Fontanione, e di Montariolo; ma i regii inseguiti dai nemici, che erano in numero quattro volte maggiore, si ritirarono con disordine da quell'altura. Il reggimento di Lombardia prevedendo di esser preso di fronte, ed alle spalle per Quarzina, e per la montagna detta Bocchin dell'Asio, dietreggiò verso Ceva. I granatieri Caprara, e Belgioso, senza trarre un colpo di fucile si ritirarono ad Ormea. Una colonna di repubblicani s'impadronì delle borgate di Barchi, e di Prale; mentre un'altra colonna di cinque mila uomini comandata dal generale Laharpe, passato il ponte di Nava, si divise in due parti, di cui una occupò le alture, e l'altra si avviò verso il capoluogo. Una terza colonna discese frattanto da Prale, attraversò la Viozena, e salendo quelle erte montagne, andossene verso il forte di Saorgio, del quale, pochi giorni dopo, si seppe la resa.

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I terrazzani, spaventati allora dal nome francese, migra

rono tutti in Piemonte, ad eccezione degli attempati impotenti alla fuga. Nel giovedì santo, che cadeva il 17 d'aprile, alcuni vecchi sacerdoti, uniti ad alcuni vecchi laici si trassero incontro al nemico portandogli le chiavi del borgo, ed annunciandogli che questo era evacuato dalle truppe, e dalle milizie, e che il castello sarebbesi immantinente arreso. I repubblicani allora si avviarono verso di Ormea; e circa il mezzodì fecero alto presso il tempietto dell'Annunziata: ivi trattennero come statici alcuni dei vecchi che loro andarono incontro; e frattanto il vanguardo nemico, alla cui testa trovavasi l'ajutante Rusca, si avanzò fino alla piazzetta di s. Antonio, e spedì alcuni pochi soldati verso il castello, che subito si arrese, ed il comandante Lipp, ed il presidio ch'erane composto di trenta invalidi, fatti prigionieri di guerra, vennero scortati a Nizza Marittima. I francesi ridussero il castello ad ospedal militare: si fermarono nel borgo quasi durante un anno, alloggiando nella casa bianca, nella fabbrica del lanificio, nella chiesa parrocchiale ed in quella dei disciplinanti: si procacciarono dapprima i viveri con danari, e con assegnati; e poi se li prendevano colla forza; ma quando vennero loro dalla Provenza grosse provvigioni, massimamente di bestie da macello, per cattivarsi l'affezione degli abitanti, ne facevano ad essi parte. Gli abitanti che il timore avea costretti a migrare, informati di quel tratto di cordialità, ripatriarono quasi tutti. Le galliche truppe ivi giunte erano scalze, malamente vestite, e non avevano per bandiere che nudi bastoni: fecero ricerca dei tolonesi, che quivi si erano rifuggiati, ed accusandoli siccome traditori della loro patria, ne moschettarono alcuni.

Il nemico alli 18 di aprile mosse fino a Garessio; si portò al colle di s. Bernardo: indi retrocedendo prese stanza nelle regioni di Trappa, Perondo, Albra, e Chionea. Tutto quel repubblicano esercito trovavasi allora sotto il comando del generale Massena, che diede ordine agli ormeaschi di consegnare tutte le loro armi, come pur anche le campane delle rurali capelle, e del borgo, tranne la campana maggiore della parrocchia: impose quindi una contribuzione particolare alla famiglia del commissario dei confini, che se n'era fuggito, e ne abbandonò al saccheggio l'abitazione. In

sieme con Massena trovavasi in Ormea Robespierre il giovane, in qualità di rappresentante della repubblica. A Massena che dovette partire di là, sottentrarono nel comando successivamente i generali Miollis, Serrurier, e Gentile. Il nemico, prima che vi si trovasse sotto gli ordini del Miollis erasi accampato su tre punti principali, cioè al colle de' Termini, all'isola Pelosa, ed al Prione, formando così un cordone militare da levante a ponente, ond' era custodito l'intiero passo della vallata: non abbandonò tali positure sino al principiar dell'autunno, quando disceso nel borgo di Ormea, crudelmente lo saccheggiò, stabilì quindi l'ospedale nella fabbrica del lanifizio: si pose a smantellare il castello, ed entrato nella chiesa parrocchiale, vi diede alle fiamme il pulpito, i banchi, e quasi tutte le suppellettili sacre. Il numero de' soldati repubblicani, che vi si trovarono nel 1795, sommava a venticinque mila,

Prima di riferire le vicende cui successivamente soggiacque Ormea, osserveremo che il Coppi negli annali d'Italia all'anno 1794 narra, che il generale Massena nel dì 18 d'aprile di quell'anno impadronendosi del castello di questo luogo, vi fece prigioni quattrocento uomini che lo presidiavano, e che vi caddero in suo potere dodici cannoni, tre mila fucili, e magazzini ben provvisti di vittovaglie. Dalle cose anzidette si conosce l'esagerazione di tale racconto; e si vede pure che a questo riguardo esagerò non poco il celebre Botta per essersi affidato ai così detti bullettini dell'esercito francese.

Verso la metà di maggio del 1799 gli ormeaschi uniti agli onegliesi condotti dal conte Ricardi di Oneglia mossero guerra ai genovesi, assalirono la città di Pieve, e la batterono per tre giorni continui: ciò diede motivo ai liguri di chiamare in soccorso un corpo di galliche truppe in allora disperse nel genovesato. Addì 23 dello stesso mese di maggio, in cui ricorreva la festa del Corpus Domini, una colonna di francesi, e di liguri venne da s. Damiano ad assalire le milizie stanziate a Fontanione, ed un'altra cólonna muovendo dalla Pieve, e passando per Montariolo respinse i miliziotti che si erano appostati al Lorino. Da quel giorno sino al 29 di giugno il nemico esercito ch'era com

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