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stato un paese così nominato, il resto del cui popolo ritirossi in Oschiri, e diede a questo paese il suo diritto sopra il proprio territorio.

Abbiamo indicato nelle chiese silvestri quella di Castra, che dista da Oschiri circa un'ora; e ora aggiungeremo che la medesima appartiene a' monaci di s. Benedetto, dell'abitazione dei quali vedonsi chiare le vestigia.

A mezzo miglio da questa chiesa vedonsi sopra un poggio molte parti dell'antica múraglia che chiudeva il castello di Castra, luogo forte nel tempo dei romani, e sparso di memorie de'medesimi, monete, corniole ben incise e altre anticaglie preziose. Di questa città abbiam già parlato nel suo luogo, dove potrassi ricorrere.

È tradizione che Oschiri sia stato formato dagli avanzi di Castra; ma è più probabile, che quando i castresi ridotti a pochi abbandonarono il luogo nativo, non cominciarono già, ma piuttosto accrebbero la popolazione di Oschiri.

Credono gli oschiresi che le famiglie, che sono tra essi, cognominate de Castra o de Castro, sieno di quelle che si ritirarono le ultime da quel castello.

In distanza di un'ora dal paese, a ponente, nel luogo che dai molti olivastri fu nominato Monte Olia, in un'eminenza maggiore d'altre circostanti appariscono le vestigia di un nuraghe, e intorno altre costruzioni noraciche, o ciclopiche, o pelasgiche, come piaccia nominarle ad altri, e alla falda della collina in sulla via reale una gran porta composta nei piè retti e nell'architrave di enormi pietre, e quindi lungo la via varii grandi sassi fitti nel suolo.

A 300 passi da questo punto verso Oschiri trovasi una fonte cinta di fabbrica, dalla quale si crede che per un canale si derivasse l'acqua al castello di Castra.

Da questa fonte a Monte Olia si possono vedere scoperte molte antichissime fondamenta.

Nelle tanche prossime a questo monte sono molte cavernette di quelle che ho sempre creduto fatte per depositarvi i cadaveri di persone notevoli.

Ho già indicate tutte le benemerenze del Bua, e prima di chiuder l'articolo spiegherò quelle altre cose, che furono in quest'oschirese degne di lode e i maggiori meriti,

pei quali si distinse in luogo più alto e in sfera più larga. Nato nella classe pastorale da famiglia agiata, mostrò uno spirito superiore allo stato, primeggiò fra i coetanei per ingegno, ottenne un'amplissima dottrina sulle cose sacre, e potè ancora comprendere nel suo animo altre scienze utili. Fu cosa ammirabile, che egli in quell'isola, dove i più erano ancora lontani di tre secoli dall'età presente, fosse con pochi altri eletti di paro con gli uomini de' paesi più culti; ed era ammirabile in lui il desio che sentiva della miglior sorte della nazione, l'ardore a promuover le cose e a eccitare i neghittosi.

Istituito primo sacerdote col titolo di vicario sopra i suoi compaesani intese a educarlo, istruendolo nella morale, inculcando i veri principii, combattendo i pregiudizi, e declamando contro gl'infingardi.

Così nel pulpito. Poi quando trovavasi in mezzo a' popolani studiava illuminarli sui veri loro interessi, li esortava ai miglioramenti, li guidava negli sperimenti, e per contraddizioni e ostacoli non si stancò giammai. Le sue sollecitudini fruttificarono, ed egli ebbe la consolazione di veder molte cose riformate al meglio.

Comechè in luogo lontano dalla sede del governo, in una terra che era fuor delle vie maggiori, il suo merito non restò ignoto; si ammirò il suo genio, si fe' plauso al suo zelo e si desiderò che la sua intelligenza e attività potesse in miglior situazione produrre frutti maggiori.

Presentato dal Sovrano al Papa per la sede d'Arborea, il vicario d'Oschiri divenuto arcivescovo d'Oristano e amministratore del vescovado di Nuoro, mostrò di esser degnissimo del posto, e rispose alle grandi speranze che si erano concepite su lui. Sarebbe opera lunga a voler dire quanto egli fece per la religione, per il culto e per preparare alla chiesa sacerdoti pii e illuminati, il seminario d'Oristano compito, quello di Nuoro fondato, l'istituzione dei missionarii, delle maestre pie..... Delegato apostolico sopra i regolari compose i turbamenti che eransi destati nella prima delegazione, rilevò quelli che ingiustamente erano stati dimessi, compresse i temerari, e spiegò una prudenza e giustizia che solo i ciechi non seppero vedere. Fu biasimato perchè avesse

chiuso alcuni conventini, dove non era alcuna osservanza regolare, nè uomini che potessero o sapessero assistere ai parochi o soffrir l'incomodo di far alcune orette di scuola ai piccoli; ma i più lo lodavano di ciò che facea con ragione e per il maggior bene. Il Bua avrebbe voluto che tutti si occupassero del bene del prossimo e non sapea soffrire i pecchioni.

Nello studio del miglioramento delle cose patrie egli animò tutti quelli che formavano qualche disegno vantaggioso, e li ajutò con tutti i suoi mezzi; egli che intendea la saggezza degli ordinamenti del governo per la prosperità del regno li secondò secondo il suo potere; e se si vinsero molte difficoltà, se si tolsero tanti ostacoli, se si poterono effettuare molte riforme, fu merito del Bua, che interveniva e adoperava le persuasioni e la sua autorità. Io non voglio qui formolare un'approvazione universale, perchè contradirei a me stesso che in alcuni luoghi mostrai contraria opinione alla sua; ma credo poter dire, che se talvolta ingannossi fu perchè considerò le cose da tutti i loro lati e giudicò con adeguate nozioni. Ma chi non erra?

I viaggiatori di distinzione che percorrendo l'isola passavano in Oristano restavano tanto ammirati dell'alta sua intelligenza, delle sue idee superiori, del suo studio per il bene, quanto incantati del suo spirito, della dignità delle sue semplici maniere e della cordiale e splendida ospitalità. La città di Mariano e di Leonora pareva allora interessante agli esteri; dopo la sua morte i passeggeri la guardano dalla vettura e seguono il corso, perchè non v'ha nella medesima un albergo, dove possano riposare con comodità persone use ai comodi.

La morte vietò che egli potesse compire molti disegni, e fu deplorata in Nuoro ed in Oristano. Il capitolo arborese, composto di persone rispettabili per molte parti, che ono. ravasi di aver un capo di tanto merito, e lo venerava con quel rispetto di cui era degna la sua autorità, e lo amava con quell'affetto di cui eran degne le insigni sue qualità, credette aver con lui perduto il suo decoro e splendore. Il che io noto in onore degli uomini venerabili di quel corpo, nel desio che sia esempio agli altri la loro officiosa subor

dinazione, che fu veramente edificante, e la loro consensione · unanime, la quale provò la loro intelligenza, e lo studio per il bene della chiesa e per il miglioramento della cosa pubblica.

OSIDDA, o Osilla, villaggio della Sardegna nella provincia di Nuoro, compresa nel mandamento di Pattada sotto la giurisdizione della prefettura di Sassari. Faceva parte del cantone di Montacuto nel regno del Logudoro.

La sua situazione geografica è nella latitudine 40° 31', e nella longitudine orientale dal meridiano di Cagliari 0° 6' 30".

Siede alla estremità dell'altipiano bittese a piccola distanza dalla sponda sinistra del Tirso in un terreno piuttosto piano, già che sono pochi e non molto notevoli i rilevamenti del suolo, ed è cinto da una densa selva di quercie, mescolate piuttosto raramente da lecci, la quale slargasi a gran raggio in questa e in quella parte, ma non verso oriente, dove la regione si sgombrò per l'agricoltura. Questa selva stendesi in là del territorio e forma il gran ghiandifero che occupa molte parti del territorio di Benetutti e Nule, e producesi in quello di Pattada sopra una superficie di circa 60 miglia quadrate, nella qual limitazione non è se non una piccola parte del bosco immenso, che con poche interruzioni continuasi intorno.

Il clima è freddo d'inverno ed assai caldo di estate. Nella prima stagione suol cadere gran copia di neve che non lascia soventi discoperto il suolo che dopo venti o trenta giorni: nell'altra rompono talvolta alcuni furiosi temporali, mentre nelle intermedie piove spesso. Nell'autunno comincia a vedersi la nebbia e frequentemente involge ne'suoi vapori opachi il paese, la selva e le terre culte. Essa non è dannosa che quando le quercie fioriscono.

Il territorio degli osiddesi non oltrepassando nella sua lunghezza le 9 miglia, e nella larghezza le 6, si può computare di un'area di miglia quadrate 50, la quale a'medesimi pare assai ristretta. L'abitazione è ben situata perchè quasi nel centro.

Abbiamo notato poche elevazioni del suolo, ed è questo vero perchè esso non si gonfia in eminenza, che a due

terzi di miglio a libeccio-ostro-libeccio, a maggior distanza ma meno notevolmente all'ostro, quindi a ponente-maestrale in là del fiume, e a levante in distanza d'un miglio ma con poco risalto.

Sono nell'osiddese non meno di 30 fonti e alcune considerevoli. Quattro di esse sono molto prossime al paese, e tre delle medesime coperte a fabbrico. La maggiore scarseggia nella siccità estiva, mentre le altre continuano a profonder la stessa misura. L'acqua che danno è fresca, pura e leggerissima qual è quella che scaturisce dalle altre che sono ne'salti, fra le quali sono notevoli per abbondanza quella che dicono di Pilàdre, propinqua a'termini con Bitti, la fontana di Cherunèle presso a' medesimi termini, ambe in distanza di un'ora dal paese, che scorrono dentro questo territorio e vi si perdono, e la fontana dell'Archimissa poco distante dall'abitato e meno dal fiume Sas Ladas, entro il quale si versa nell'inverno.

Scorrono tra i salti osiddesi due fiumi, uno detto il Mannuleri, che proviene da'salti di Buddusò, ed è il Tirso ; l'altro è l'anzinominato Sas Ladas originario dalle fonti dei salti di Bitti che si versa nel Mannuleri al greco-tramontana

del paese.

Su' medesimi non è alcun ponte, e per varcarli, quando sono gonfi, è necessario passare sopra una o due travi; le quali se dalla cresciuta piena sieno trasportate bisogna arrestarsi in sulla sponda se non si vuole risicar della vita. Non molto lungi dal paese è una paludetta, che però suole svanire nell'estate.

In questi salti si trovano soli cinghiali, volpi, lepri, martore e donnole. Accade di rado che si formi qualche compagnia per la caccia maggiore. Gli uccelli comuni sono qui pure, e numerose non meno che altrove le pernici.

Popolazione. Gli abitanti di Osidda si computano capi 428, distinti in maggiori d'anni 20, maschi 145, femmine 137, minori, maschi 86, femmine 90, in 106 famiglie.

I numeri medi del movimento sono di nascite 15, morti 6, matrimoni 2.

Nella foggia del vestire non si distinguono dai prossimi bittesi, e nel carattere fisico e morale hanno simili note. 39 Dizion. Geogr. ecc. Vol. XIII.

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