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CERCHIO II. CARNALI.

INFERNO V. 115-142.

115. Poi mi rivolsi a loro, e parla' io,

FRANCESCA DA RIMINI.

E cominciai: Francesca, i tuoi martiri
Al lagrimar mi fanno tristo e pio.
118. Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri,
A che e come concedette amore,

Che conoscesti i dubbiosi desiri?

121. Ed ella a me: Nessun maggior dolore, Che ricordarsi del tempo felice

Nella miseria; e ciò sa il tuo dottore.

124. Ma se a conoscer la prima radice

Del nostro amor tu hai cotanto affetto, Farò come colui che piange e dice. 127. Noi leggevamo un giorno per diletto

Di Lancelotto, come amor lo strinse: Soli eravamo e senza alcun sospetto. 130. Per più fïate gli occhi ci sospinse

Quella lettura, e scolorocci il viso:
Ma solo un punto fu quel che ci vinse.
133. Quando leggemmo il disiato riso
Esser baciato da cotanto amante,

Questi, che mai da me non fia diviso, 136. La bocca mi baciò tutto tremante:

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:

Quel giorno più non vi leggemmo avante. 139. Mentre che l' uno spirto questo disse, L'altro piangeva sì, che di pietade Io venni meno sì com' io morisse;

142. E caddi, come corpo morto cade.

CANTO SESTO

Al tornar della mente, che si chiuse
Dinanzi alla pietà de' due cognati,
Che di tristizia tutto mi confuse,
4. Nuovi tormenti e nuovi tormentati

Mi veggio intorno, come ch' io mi mova,
E ch' io mi volga, e come ch' io mi guati.
7. Io sono al terzo cerchio della piova
Eterna, maledetta, fredda e greve:

Regola e qualità mai non l' è nuova. 10. Grandine grossa, e acqua tinta, e neve Per l'aer tenebroso si riversa: Pute la terra che questo riceve. 13. Cerbero, fiera crudele e diversa, Con tre gole caninamente latra

Sopra la gente che quivi è sommersa. 16. Gli occhi ha vermigli, la barba unta ed atra, E il ventre largo, e unghiate le mani; Graffia gli spiriti, scuoia, ed isquatra.

19. Urlar gli fa la pioggia come cani:

Dell' un de' lati fanno all' altro schermo;
Volgonsi spesso i miseri profani.

22. Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
Le bocche aperse, e mostrocci le sanne:
Non avea membro che tenesse fermo.

25. E il duca mio distese le sue spanne; Prese la terra, e con piene le pugna La gittò dentro alle bramose canne.

CERCHIO III. GOLOSI.

INFERNO VI. 2857.

CERBERO, CIACCO.

28. Qual è quel cane che abbaiando agugna, E si racqueta poi che il pasto morde, Che solo a divorarlo intende e pugna;

31. Cotai si fecer quelle facce lorde

Dello demonio Cerbero che introna

L'anime sì, ch' esser vorrebber sorde. 34. Noi passavam su per l'ombre che adona La greve pioggia, e ponevam le piante Sopra lor vanità che par persona. 37. Elle giacean per terra tutte e quante, Fuor ch' una che a seder si levò, ratto Ch'ella ci vide passarsi davante.

40. O tu, che se' per questo inferno tratto, Mi disse, riconoscimi, se sai:

Tu fosti, prima ch' io disfatto, fatto. 43. Ed io a lei: L'angoscia che tu hai Forse ti tira fuor della mia mente,

Si che non par, ch' io ti vedessi mai. 46. Ma dimmi chi tu se', che in si dolente Loco se' messa, ed a sì fatta pena, Che s'altra è maggio, nulla è sì spiacente. 49. Ed egli a me: La tua città, ch'è piena D'invidia sì, che già trabocca il sacco, Seco mi tenne in la vita serena.

52. Voi, cittadini, mi chiamaste Ciacco:
Per la dannosa colpa della gola,
Come tu vedi, alla pioggia mi fiacco;

55. Ed io anima trista non son sola,

Chè tutte queste a simil pena stanno
Per simil colpa: e più non fe' parola.

CERCHIO III. GOLOSI.

INFERNO VI. 58-87.

58. Io gli risposi: Ciacco, il tuo affanno

Mi pesa sì, che a lagrimar m' invita:
Ma dimmi, se tu sai, a che verranno

61. Li cittadin della città partita?

S' alcun v' è giusto: e dimmi la cagione, Perchè l' ha tanta discordia assalita. 64. Ed egli a me: Dopo lunga tenzone

CIACCO.

Verranno al sangue, e la parte selvaggia
Caccerà l'altra con molta offensione.
67. Poi appresso convien, che questa caggia
Infra tre soli, e che l'altra sormonti
Con la forza di tal che testè piaggia.

70. Alte terrà lungo tempo le fronti,
Tenendo l'altra sotto gravi pesi,

Come che di ciò pianga, e che ne adonti. 73. Giusti son due, ma non vi sono intesi: Superbia, invidia ed avarizia sono

Le tre faville che hanno i cori accesi.

76. Qui pose fine al lagrimabil suono.

Ed io a lui: Ancor vo' che m'insegni,
E che di più parlar mi facci dono.
79. Farinata e il Tegghiaio, che fur sì degni,
Jacopo Rusticucci, Arrigo e il Mosca,

E gli altri che a ben far poser gl' ingegni, 82. Dimmi ove sono, e fa ch' io li conosca;

Chè gran desio mi stringe di sapere,

Se il ciel gli addolcia o lo inferno gli attosca. 85. E quegli: Ei son tra le anime più nere; Diversa colpa giù li grava al fondo: Se tanto scendi, li potrai vedere.

CERCHIO III. GOLOSI.

INFERNO VI. 88-115.

88. Ma quando tu sarai nel dolce mondo,

Pregoti che alla mente altrui mi rechi: Più non ti dico e più non ti rispondo. 91. Gli diritti occhi torse allora in biechi:

PLUTO.

Guardommi un poco, e poi chinò la testa: Cadde con essa a par degli altri ciechi. 94. E il duca disse a me: Più non si desta Di qua dal suon dell' angelica tromba; Quando verrà la nimica podesta,

97. Ciascun ritroverà la trista tomba, Ripiglierà sua carne e sua figura, Udirà quel che in eterno rimbomba. 100. Si trapassammo per sozza mistura Dell'ombre e della pioggia, a passi lenti, Toccando un poco la vita futura: 103. Perch' io dissi: Maestro, esti tormenti Cresceranno ei dopo la gran sentenza, O fien minori, o saran sì cocenti? 106. Ed egli a me: Ritorna a tua scienza,

Che vuol, quanto la cosa è più perfetta, Più senta il bene, e così la doglienza. 109. Tuttochè questa gente maledetta

In vera perfezion giammai non vada, Di là, più che di qua, essere aspetta. 112. Noi aggirammo a tondo quella strada, Parlando più assai ch' io non ridico:

Venimmo al punto dove si digrada: 115. Quivi trovammo Pluto il gran nemico.

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