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creti di quel sinodo. Ma si discolpava con dire, ch'essendo già il cardinal Federigo in età e in grado sacerdotale, ornato di lettere, e di virtù segnalatissime, fratello dello stesso duca di Mantova, e per tutto ciò migliore a quella chiesa d'ogni altro, raccomandato con assidua intercessione dall' imperadore padre della cognata d'esso Federigo, non avea saputo il papa negarlo. Nel che nondimeno videsi ch'ei lungamente fu duro. E perchè il cardinal Morone gli avea significato (1), che Cesare portava così gran zelo verso l'osservazione di quel concilio, che avrebbe tollerata quasi con piacer la repulsa alla propria sua petizione di quella grazia, il papa essendo premuto (2) dalle instanze dell'oratore imperiale, per difendersi gli disse ciò che intendeva dal suo Legato. L'oratore notificollo a' Gonzaghi, e questi perciò si rammaricarono del cardinal Morone, onde egli lamentossi col papa, che le contezze da

(1) Il dì 17 di maggio nella relazione altrove

mentovata.

(2) Appare da una del cardinal Borromeo al Simonetta degli 8 di giugno, e da un' altra al Morone de' 12 di giugno 1563.

tegli fedelmente da se l'avesser posto in sinistro affetto di così alte persone. E'l pontefice ne senti pena, richiamandosi forte dell'ambasciadore, che senza utilità del suo principe avesse sparsa quella notizia, la quale non potea riuscire se non a semenza d'assenzio. E non ristette finchè non ebbe certificati i Gonzaghi, che 'l Morone insieme col significargli, com'era stato suo debito, una tal disposizione scoperta in Cesare, l'avea confortato per un suo scritto particolare a collocar quella mitra nel cardinal Federigo: e dipoi assicurò il Morone, ch'egli niente era calato dall'affezione di que'signori.

Ma queste cose avvenivano fuor del concilio. Quivi continuandosi nell' adunanze de' padri l'intento del riformare, ed essendosi per alcuni assai ragionato di vietar le dispensazioni, quasi con tal divieto le constituite, e le disegnate leggi fossero per divenir di diamante, togliendosi al papa in perpetuo l'autorità d'allentarle, Diego Lainez che fu l'ultimo, secondo il costume, ragionò in questi concetti (1).

(1) Lettera de' Legati al card. Borromeo dei 17 giugno 1563, e Atti del Paleotto, e di Castel S. Angelo.

Distinse due sorti di riformazioni. L'una degli animi per opera delle virtù interiori: e questa, disse, non poter mai esser troppa; ma non arrivare ad essa la forza dell'umane leggi: doversi lei chiedere alla grazia divina, alla quale ciascuno studiasse di cooperar nel proprio suo cuore. L'altra esser de' fatti appartenenti alla disciplina ed al governo esteriore, la qual è quella che dagli statuti umani prende sua regola, e si rivolge intorno ad alcune cose estrinseche, le quali per se medesime non son buone, ma conferiscono a quelle che per se medesime son buone. In questa potersi peccare così per eccesso, come per difetto. Esser ella un medicamento ordinato dalla prudenza politica. Or l'opportunità del medicamento misurarsi non dalla gravezza del male, non dalla sanità che in altri anni ha posseduta l'infermo, ma dal beneficio che di fatto quel medicamento possa recargli, posto il suo stato e la sua complession presente: dovendo tutte le leggi cedere a quella della carità: onde si dee o ritenerle, o dispensarvi, o mutarle secondo che la carità consiglia: ma tutto ciò con autorità legittima de'supe

riori. E con questa norma andò esaminando le ordinazioni proposte, altre comprovandone, altre rifiutandone. Intorno alla prima sopra l'elezione de' vescovi considerò, tale elezione potersi fare in due modi: o da'cherici, o da' laici: e ciascuno di essi due di nuovo in due modi: quello o dal papa, o pur da'cherici minori: questo o da' principi, o da'popoli. Tutte così fatte elezioni soggiacere a corrompimento, essendo gli umani elettori sottoposti e a peccare, e ad errare. Con tutto ciò inverso di se, migliore essere l'elezione che si fa da'cherici, sì perchè meglio son conosciuti i cherici da'cherici, che da❜laici, sì perchè il cherico per cagion dello stato ha maggiore affezione alle cose divine, e riceve maggior influsso da Dio. Fra l'elezioni dependenti da'secolari, migliore esser quella che vien da'principi: fra l'elezioni che procedono da'cherici, miglior esser quella che si fa dal sommo pontefice, e mediante i cardinali: però che questa ha per suoi autori uomini eccellentissimi, quali deono essere i cardinali instituiti ad aver cura della Chiesa. Ma sì come una tal elezione è ottima quando è ordinata,

così divenir pessima quando è disordinata. Prossima a questa in bontà esser quella che si fa da'suffraganei insieme col metropolitano: e'l terzo luogo di perfezione diede a quella che ha per elettori i canonici, come in Germania. Non per tutto ciò l'elezioni che sono migliori di lor natura, esser migliori in qualunque circustanza di tempo, di luogo, e di persone. Procedette a dire, non doversi restituir l'elezioni a' suffraganei, quasi fosse ciò di ragion divina, come intendevano alcuni. Involgersi in questo un errore contro alla fede, poichè sarebbesi arguito, che l'elezioni fatte d'altra maniera non fossero legittime, e che per conseguente la Chiesa avesse fallito riconoscendo per vescovi quei che non eran vescovi. Coloro che volevano rinovare tali usi antichi, muoversi per instinto del diavolo: e perciò non trattar essi di riporre i digiuni, e le austerità della prisca Chiesa, le quali sono contra la carne, ma questa sorte d'elezione ch'è secondo la carne. Certamente i primi vescovi instituiti dagli apostoli, e mandati da loro a predicare a' gentili, non essersi eletti coll'altrui consentimento. Nė

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