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re Carlo suo cognato pupillo, richiedevano contuttociò i padri che niun detto o fatto di quella giornata fosse interpretato per modo che punto diminuisse, o violasse le antichissime prerogative del re di Francia.

Quando il Ferier pose termine al suo parlare, gli succedette con una pomposa orazione Pietro Fontidonio teologo quivi del vescovo di Salamanca, nella quale insieme con le amplissime offerte del re Filippo commemorò altamente i suoi meriti verso la cattolica religione, e specialmente nell'ultima vittoria ottenuta contra il principe di Condé. Tanto che i Francesi vi notarono iattanza, e puntura (1): e il signor di Lansac scrisse all'ambasciador del suo re in Vinegia, che un simil concetto avean altresì gl' imperiali, e che il conte di Luna publicamente ne faceva le scuse. Per contrario da altri non solo riputossi inragionevole quell' accusa, ebbe il dicitore un onorifico approvamento senza mistura di riprensione.

ma

Come il ragionare del Fontidonio eb

(1) L'allegata lettera di Lansac.

be fine, così il conte uscì secondo l'usanza - finchè si deliberasse della risposta: la qual formossi con ogni più abbondante espressione di ringraziamento, e di riverenza verso un re sì grande, e sì pio: ed era dettato di Girolamo Ragazzone vineziano vescovo di Famagosta. Approbatasi questa dall'assemblea, tornò richiamato il conte, e gli fu renduta. Indi egli partissi di subito, per ischifare il contrasto della man sinistra o destra nell' escir con gli altri oratori presso i Legati.

Non però valse a' ministri pontificii il quieto successo per aver quiete in ciò coi Francesi. Era stato da questi franteso uno o due giorni prima della tenuta congregazione, che fosse giunto a' Legati un comandamento del papa (1) in cifera vantaggioso agli Spagnuoli: cioè, che 'l conte sedesse dopo il primo oratore ecclesiastico di Ferdinando (2). Perciò s' alterárono fuor di misura: e il dì che andò avanti alla funzione, Lansac ne fece avvisata la sua

(1) Lettere del Gualtieri al cardinal Borromeo de' 21 di maggio 1563.

(2) Si narra nella già detta lettera de' 24 dell'arcivescovo di Zara.

reina con uno special corriere; benchè poi ammonito d'esser egli, com'è proverbio, corso alle grida, rispose d'averne scritto con forme assai riservate. Ne'lamenti a voce però non mostravasi ricreduto: ed usava parole modeste si ma pesanti. Lodavasi egli dell' oratore spagnuolo, primieramente che gli avesse fatte veder le sue commessioni, ove il re Filippo gli vietava la cedizione ma insieme ancor la rottura co' Francesi: secondariamente, che non avesse accettato l'indebito favor di Roma, indirizzato a fine di franger con la disunione il vigor degli ambasciadori, per non temerli. E non meno lodavasi de'Legati, che non avessero posto in effetto il mandamento: il quale, diceva egli, essendo venuto in cifera, quindi appunto potersi conoscere per inragionevole, e timido della luce. Ma nè il fatto si provava, nè avea sembianza di vero, che da' Legati si fossero preteriti gli ordini del pontefice, venuti loro ad onoranza d' un re, al quale due di essi, i più validi d'autorità, eran soggetti per nascimento. Senza che, pareva contraddizione il narrare, che il conte avesse ricusate le offerte de' presidenti,

e che i presidenti avessero ricusato di mandare ad opera le commessioni favorevoli al conte. Onde e il Gualtieri s'argomentò di rimuover Lansac da quella opinione, e il Ferier suo collega mostrossene alieno, dicendo che 'l fatto de' Legati aveva palesato qual fosse il comandamento del papa. Non era però la suspizione un'ombra fantastica, ma procedente da corpo vero. Avevano i Legati scritta al cardinal Borromeo in cifera e la loro disperazione di conciar quella discordia, e la necessità di prendervi sollecitamente partito, e i rischi gravissimi per l'una e per l'altra banda: pregando il pontefice d'ordine suo spiegato, nel quale nulla si lasciasse pendente dal loro arbitrio. Il papa, veggendo gli affari della religione ogni di peggiorar nella Francia, e parendogli che 'l sostegno unico della Chiesa fosse allora la pietà, e la potenza del re Filippo, s'avvisò che 'l sommo de'mali sarebbe stato lasciar alienare il suo animo. Per tanto statuì di dargli qualche moderata soddisfazione. E perchè la commession di ciò a' Legati venisse più autorevole, e gli rendesse più animosi all'adempimento, scrisse loro egli stesso

agli otto di maggio in questo concetto, e quasi in queste parole. Che 'l re cattolico forte il premeva su quell'affare, sembrandogli strano che l'ambasciador suo non ottenesse qualche luogo nelle sessioni, e nelle congregazioni. Riputarsi ragionevole da se, che s'avesse rispetto ad un tanto principe, e che si trovasse qualche via di renderlo contento: non pregiudicando però alla ragione delle parti nè sopra il diritto, nè sopra la possessione. Parergli onesto, e conveniente quel luogo terzo che i Legati vedrebbono in un disegno cui egli loro mandava, e che di fatto poscia fu dato: nè conoscer lui, che altri se ne potesse giustamente dolere. Questa essere la mente sua, per esecuzion della quale usassero que'discreti modi che intendessero acconci, affinchè l'opera ne seguisse con ogni possibil quiete. Ma che, in ogni avvenimento, lasciassero protestar chi volesse, e adoperar quello che altrui fosse in talento, pur che tal ordine si recasse ad effetto, e di ciò per niuna condizione mancassero. A questa lettera del papa era congiunta una cifera del cardinal Borromeo: il quale significava, desiderare il

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