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a effetto, grande ne sarebbe dovuta l'obligazione a quel cardinale. All'altro rispose il papa una lettera piena di gravità intorno alle false imputazioni apposte a se colà da'Francesi, e pervenute alle sue orecchie: ma condita d'altrettanta amorevolezza sopra la presta conclusion del concilio da lui promessagli: della quale scrivea, che a lui sarebbesi tenuto grado nel primo luogo, negando d'aver mai dato a'presidenti l'ordinazion da lui presupposta di nulla comunicargli. E per verità il contrario al cardinale poteva rendersi manifesto per tanti affari comunicatigli fin a quell'ora: ed avea scritte innumerabili lettere il cardinal Borromeo a nome del papa, commettendo a' Legati gran confidenza e corrispondenza con quel signore, e talora quasi riprendendoli per le querimonie di lui, come scarsi nell'adempimento: e per converso i Legati sempre discolparono appresso il papa, affermando ch'empievan ciò in abbondante misura. Vera cosa è che quasi le ragioni medesime le quali ritennero Pio dal crearlo Legato, il ritennero altresì dal pareggiarlo in confidenza a'Legati: là dove egli d'animo

si

grande, e forse vasto, non rimaneva pieno senza la notizia, e per poco la soprantendenza del tutto. In quell'ultimo negozio sì, che i presidenti ebbero stretta proibizione di non palesar l'ordine dato loro a veruno, salvo al conte: la qual proibizione fu da essi apportata in difesa del loro silenzio contra le doglienze del cardinale. Ed era ciò ragionevolissimo: però che tutta la speranza della quieta esecuzione attenevasi all'improviso. Onde è maraviglia, ch'egli ne riputasse dovuta una tal comunicazione a se: al quale sarebbe convenuto o mancar di fede a' Legati nel rivelarla, o incorrer gravissima accusa presso al suo re, ove mai, scopertosi che ne fosse traspirata a lui la scienza, non ne avesse ammoniti gli ambasciadori. Senza che, il cardinale ne' trattati col Drascovizio s'era mostrato sì rigido, (1) che 'l conte di poi confessò a' Legati, aver sè ad arte non prenunziata loro la sua deliberazione il di avanti al fatto, perchè non ne giugnesse veruna luce al cardinale, del qual ei forse dubitava, non fosse per di

(1) Lettera de'Legati al cardinal Borromeo dei 4 di luglio 1563.

T. II.

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sporre gli animi degli oratori più tosto alla pugna che alla pace.

Benchè veramente nè il cardinale nè veruno de' congiunti a questa o a quella parte mosse fiato per infervorare, ma si per ammorzare quell'importunissimo fuoco. E specialmente Ferdinando in quest'accidente mostrò sensi più di buon imperadore che di parziale austriaco: imperò che, oltre al sentire in prima un sommo travaglio di que'tumulti per ansietà che non ne seguisse il rompimento del sinodo, si commosse fuor di misura in udendo che andasse fama, avere il conte così operato a suoi conforti: onde scrisse agli ambasciadori suoi (1), che in fede d'imperadore egli non era stato nè promotore nè consapevole di tal consiglio. Più avanti, commise loro che si sforzassero a tutt'uomo per la pace, e stimolassero i presidenti a cooperarvi. Ma in questo ei non parve esercitare piena equità: però che mentre si doleva della calunnia apposta a se dalla moltitudine, d'essere stato a parte di quel disturbo, non s'asteneva dal mo

(1) Da Vienna a' 7 di luglio 1563.

strar qualche fede a una assai men verisimile imputazione data al pontefice, quasi a macchinatore per tal via del discioglimento; benchè la maniera usata da Ferdinando nello scriver ciò a'suoi oratori, dà indizio che egli non tanto il credesse, quanto intendesse d'accendere con quella puntura i Legati a riscaldarsi per la concordia. Per la quale considerò varii spedienti, e insieme l'impossibilità d'essi tutti, salvo di quello in cui appunto si convenne, ed intorno al quale comando a'suoi oratori, che per amor della pace anch'essi fosser contenti di non ricever le consuete onoranze. Aggiunse, che ove il partito non conseguisse l'effetto, il che però non credeva, consigliassero il conte che fin a trovarsi compenso, desse colore o di malattia o d'altro, per non intervenire alle messe solenni, e non divenir suggetto di tanto male alla Chiesa. Ma di poi risaputo l'accordo qual egli l'avea divisato, ne mostrò gran letizia (1), e comandò a'suoi, che non solo nel giorno della sessione, ma in qualunque futura solen

(1) Lettere di Cesare a' suoi oratori da Vienna a'4 di luglio 1563.

nità consentissero a non ricever nè incenso

nè pace, tanto che s'aprisse altra via di comun soddisfazione. Sopra tutti il giubilo del concilio fu immenso per veder la nave di Pietro fuori del rischio, il qual parea dianzi inevitabile, di due oppositi scogli.

Fermatasi la concordia, si partì da Trento (1) il signor di Lansac richiamato in Francia, rimanendo il Ferier, e'l Fabri. E dopo il caso (2) intervenuto nel giorno di san Pietro, anche prima dell'assetto, Lansac, e'l conte di Luna eransi onorati più volte di scambievoli visitazioni tra loro: essendo intenti lo Spagnuolo ad osservare i suoi mandati di non venire in disamicizia co' Francesi, e i Franzesi a risentirsi solo contra 'l pontefice, senza gravare i loro principi d'una forte briga col re di Spagna. Così vedesi che, quantunque tutte le passioni sogliano più re

(1) Tutto ciò appare dal Diario a' 7 di luglio, dalla lettera de' Legati de' 29 di giugno, e dal catalogo degli oratori intervenuti alla settima sessione di Pio IV.

(2) Lettera del Visconti al cardinal Borromeo de' 4 di luglio, e lettere scritte dall' arcivescovo di Zara.

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