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dosi prelati d'ogni paese, i quali ne tenesser consiglio, e ne formassero i decreti. L'altra mentovata lettera, o più veramente scrittura, che arrivò all' imperadore insieme con quella del cardinal Morone, fu del cardinal di Loreno; e gli venne portata dallo stesso vescovo di Conad: alla quale s'aggiunse una più lunga significazione in voce, mediante il vescovo di Rennes (1) orator francese. Il cardinal di Loreno, secondo ch'è uso di ciascuno il porre se stesso nel luogo meno esposto all'accuse, in vece di significare all' imperadore, come il partito che allora si trattava dal papa, era stato introdotto dal Ferier, e da lui; gli fece sentire: che il papa, bramoso di finire il concilio, gli aveva proposto di terminarlo con la vicina sessione; offerendogli la legazion di Francia, con facultà di poter dispensare nelle leggi ecclesiastiche a suo giudicio in salute di quel regno. Il che la carità della patria consigliavalo di non ricusare, dove sua maestà

יך

approvasse. Cesare dunque, dimorante a que' giorni in Vienna per cagione d'una

(1) Appare da una dell'imperadore agli oratori da Vienna il dì primo d'agosto 1563.

dieta, avendo l'animo occupato da si disfavorevoli informazioni, rispose primieramente al cardinal Morone in forma temperata, ma grave e sospecciosa, per questo modo. Congratulossi che la sessione avesse conseguito buon fine; ed assicurollo con parole di grandissimo onore, che riceveva in ottimo senso ciò che da esso gli era esposto. Maravigliarsi lui forte di quanto gli aveva notificato da sua parte il vescovo di Conad, che'l re cattolico tendesse alla prolungazion del concilio, e ripugnasse ad ogni rilentamento del diritto ecclesiastico per quelle regioni che 'l domandavano: da se non vedersi qual fine potesse aver la serenità sua in questo consiglio; nè credersi ch'ella dovesse contrariare al pro dell' altrui provincie. Egli certamente non approvar la lunghezza; e desiderar che'l sinodo s' accortasse, perchè il mondo ne sentisse il frutto, e le chiese ricuperassero i loro prelati: e però non ispiacergli il proponimento che'l cardinal significavagli avere il papa, di sollecitare il fine coll'opera unita degl'Italiani, e dei Francesi. Ma il tutto doversi fare in canonica forma, non lasciando senza decisione

verun di que' punti, per cui s'era venuto all'adunamento: e non trattandoli per fretta con minor cura del consueto, e del convenevole: perciò che, se in altra guisa il concilio si fosse repentinamente troncato, ne sarebbe venuto gravissimo scandalo, e pericolo di maggior separazione della Chiesa, con più di male che se mai non si fosse raccolto. E perchè il Legato gli aveva scritto, che per quel tempo tratterebbesi la sola riformazion generale, proceden dosi dipoi alle particolari in acconcio di ciascun regno, gli ricordava che da sua paternità reverendissima nella legazione d'Ispruch era stato a se présupposto, volersi stabilir sollecitamente tutto ciò che riguardasse il beneficio de' suoi vassalli, e che non si fosse già stabilito o in quella, o nelle precedute convocazioni: il che tanto più conveniva, però che quegli stessi punti conferivano ad utilità in gran parte del mondo cristiano. Non doversi nè Cesare nè i presidenti ritrarre da ciò per la contraddizione d'alcuni prelati all'allargamento di qualche divieto ecclesiastico: poichè sì com' egli non contrastava al bene delle provincie altrui ; così non era diritto che

l'altrui ostacolo pregiudicasse al sovvenimento delle sue. Un concilio dinominarsi generale, perciò che, abbracciando e sollevando tutti, non misura le ordinazioni col pro e col piacere d'un sol reame: ancorché non s'avvisava egli che i prelati spagnuoli si dimenticherebbono della carità, e della ragione. In quanto poi confortavalo di proporre al concilio i bisogni particolari delle sue terre, perchè fossero trattati immantenente dopo la riformazion comune; star lui di fatto sul deliberar di ciò così intorno al calice, come intorno all'altre dispensazioni delle leggi ecclesiastiche. Dapoi che avesse pienamente determinato, ne darebbe contezza a'Legati. Sperar lui che, se gli occorresse di chiedere alcuna cosa al papa, o al concilio, vi farebbono la meritata considerazione: non essendo egli per domandar grazia di suo temporale interesse, ma di giovamento spirituale a' suoi sudditi, all' imperio, e alla religione, per fine di conservare quelle reliquie di essa che rimanevano. Aggiugneva, che ove poi nulla impetrasse, non avrebbe potuto altro, salvo lasciarne la cura a Dio: ed esser molto da temere, non si prendessero i popoli di lor

propria balia quelle coseche avvisassero per necessarie a se stessi, e la cui concessione riputassero che sarebbe stata agevole, e senza scrupolo della Chiesa. Se ciò fosse per riuscire a profitto, lasciavalo giudicare da sua paternità reverendissima: nel cui amore ed aiuto singularmente si confidava.

Alla significazione del cardinal di Loreno rispose Ferdinando (1) con una scrittura assai asciutta; ma non senza spargervi alcune stille dell' acerbità che aveva nell'animo. Essergli arrivata a notizia fuor d'opinione una voglia tanto accesa del papa verso il finimento, che vi procedesse per vie non battute, e ripide: non aver sè prima creduto che gli umani rispetti potesser tanto. Ove ciò si ponesse in effetto, prevedersi da lui molto scandalo. Intorno al suo desiderio della celerità, scriveva gli stessi concetti narratisi nella risposta al Morone. E finalmente sopra la legazion di Francia, che'l cardinale affermava proffertagli dal pontefice, chiedendo il consiglio di sua maestà per l'accettazione, di

(1) A' 30 di luglio 1563.

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