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pur che con qualche parola aggiunta, e più ampiamente con lettera particolare scritta da Massimiliano a se, quegli dichiarasse che per fede cattolica da lui promessa in tal giuramento, intendeva quella che professavano i romani pontefici: la qual dichiarazione (diceva il papa) avrebbe valuto a serenare gli animi de'cardinali che doveano consentire al riconoscimento solenne da farsi di Massimiliano a re de' Romani, e che non erano purgati da ogni ombra intorno alle cose preterite. Non meno al rendere ubbidienza contraddiceva Massimiliano, recando in opposito, non apparir ciò fatto nè da Carlo V suo zio, nè da Massimiliano suo avolo : e benchè vi fosse condisceso l'ambasciadore del padre, aver egli ciò adoperato fuori delle commessioni, e perchè il cardinal di Trento e 'l cardinal Morone ve l'aveano confortato, obligandosi di mostrargli che il medesimo avessero usato i prenominati imperadori: il che legittimamente non si provava: onde se a quel tempo con Cesare non fosse valuta di scusa la notizia della retta mente, ne avrebbe gastigato l'ambasciadore.

T. XI.

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Ripigliavasi in contrario dalla parte del papa: che quantunque o pel moderno sacco di Roma, o per la negligenza di conservar le scritture non si trovassero i giuramenti e l'ubbidienza prestata da Massimiliano I e da Carlo V, nondimeno dovea credersi ciò fatto. Del giuramento aversi una forma nel canone tibi domino alla distinzione 93, la qual forma s'era poi andata variando, ma sempre usatasi dagl'imperadori eletti, con parole amplissime, secondo che i pontefici l'avean richiesta, come vedevasi ne'sommarii di Ottone IV, di Federigo II, di Guglielmo', di Ridolfo, d' Alberto I, d'Enrico VII, e di Carlo IV. E in ciò che si apparteneva all'ubbidienza, non solo presumersi essa renduta da' passati imperadori coll'esempio di tutti gli altri re e principi cristiani, ma trovarsi registrato che Carlo IV la promise a parola espressa, e recentemente da Federigo leggersi lei offerta nell'orazione messa alle stamd'Enea Silvio Piccolomini, il quale poi fu pontefice col nome di Pio II. Dietro a ciò, di Massimiliano I avervi notato in un cerimoniale antico, che egli prestò

pe

tubbidienza. Ove il re non volesse nè ricever la confermazione dal papa, nè porgere a lui gli ossequii soliti, debiti, e nulla pregiudiciali, meglio riputarsi, per non multiplicare in amaritudini, rimaner così dall'una e dall'altra parte, finchè Iddio comunicasse maggior lume intorno alla convenienza.

Quanto s'è narrato scrivevasi dal cardinal Borromeo in una instruzione dettata con tal avvedimento, che se per isciagura fosse andata in sinistro, o se al nunzio avvenisse necessità di lasciarla in mano di Cesare per un giorno, ed egli ne avesse ritratta copia, fosse potuta comparire anche agli occhi di Massimiliano senza offensione. Ma oltre a questa era significato in cifera al nunzio, che egli ricordasse all'imperadore le sospezioni conceputesi del figliuolo sì per non aver lui voluto cacciar da se un predicatore eretico, sì per altre operazioni di più momento: onde lo stesso imperadore se n'era assai volte rammaricato col pontefice per lettere di sua mano, mostrando che non istava in poter suo il provvedervi. Quindi muoversi sua santità, e i cardinali a non ren

dersi contenti d'una general significazione, per la quale il re promettesse il mantenimento della religion cattolica, sì come parlava il giuramento dall'ambasciadore offerto, ma a richieder parole esenti da varietà d'interpretazioni, e dichiaratrici di ciò ch'egli intendesse per nome di religion cattolica. Quanto era più eccelso il grado che a lui si dava nel cristianesimo, tanto più di sicurtà doversi, che egli fosse per amministrarlo ad onor di Cristo. Altrimenti non potersi promettere il papa d'aver per quella azione a favor di Massimiliano pur tre voci favorevoli nel concistoro.

Il Delfino, benchè armato di queste ragioni, scontro nuovamente insuperabil durezza in Massimiliano, in Ferdinando, e ne' consiglieri, cagionata, come egli scrisse, non da ripugnanza d'onorare in ogni più alto modo la sedia apostolica, ma da un rispetto assai vistoso, e gagliardo in queste materie, specialmente appresso gli Alemanni, di non alterare il consueto: il qual solo è quello che non ha bisogno d'apologia in difesa. Gli esempii vecchi de' giuramenti i quali allegavansi, esser varii e trasandati, e forse confacentisi

agl'imperadori di quelle età, da'quali conveniva alla sede apostolica riscuoter si fatte cautele per le persecuzioni che ella spesso ne pativa, ma non a' presenti i quali erano veri di lei difenditori, e divoti. Quel giuramento che si leggeva nel canone tibi domino, avere ottenuto l'uso quando l'imperadore, venendo a coronarsi, entrava nel territorio romano, e però non adattarsi al caso presente: ed esser per avventura succeduto ad esso nella consuetudine l'altro, che i re de' Romani prestavano nel ricever la prima corona, e che di fatto avea profferito Massimiliano in Francfort solennemente, e su 'l viso di tanti potentissimi protestanti che dianzi l'aveano esaltato, e che ne fremevano: del cui tenore fia detto appresso. Non averci memoria di un tal moderno giuramento prima che i re de' Romani fossero eletti secondo la Bolla Aurea: ed esser quello d'assai maggior estimazione, come fatto in sì gran celebrità della Germania, che quanto si operasse in un concistoro di Roma. Il più recente che apportavasi di Carlo V, non parer da prezzarsi gran fatto; però che essendo quel principe stato eletto in tempo

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