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cipio si fosse mandato a sua santità il giuramento fatto dal re in Francfort, non sarebbono state di ciò tante controversie: ma ch'era venuto a nome di sua maestà Giovanni Manriquez con una lettera secchissima in sua credenza: ove nè pur esprimevasi l'intento della sua messione. Nel resto si mostrò affettuosissimo desiderio di soddisfare a quei principi: ed a questo fine si proposero varii compensi, e specialmente, che 'l re porgesse l'ubbidienza a titolo della Boemia, dell' Ungheria, e degli altri stati patrimoniali, quale avevala prestata Massimiliano I a Giulio II per la persona, e come tutore di Filippo suo figliuolo, e quale si conteneva ne' capitoli di Barcellona tra Clemente VII e Carlo V; che prometteva di rendergli ubbidienza a ragione di tutti gli altri suoi regni e dominii ereditarii. A che confacevasi l'uniforme consuetudine di tutti i principi cristiani. Ma dietro a tali proposizioni, antiponendo il pontefice in pro della Chiesa la soddisfazione degli Austriaci, e l'unione intera e manifesta fra loro e la sede apostolica, à

a

ne' giorni 19 e 28 di settembre 1563, con aggiunte del papa all'une ed all' altre.

un piato anzi di vocaboli che di cose, in piè d'una lettera scritta (1) al nunzio di questi affari dal cardinal Borromeo, pose egli alcune parole di suo carattere così appunto. Volemo in fine che facciate arbitro sua maestà cesarea di questo fatto: sapendo che per sua pietà e divozione verso questa santa sede, e religion nostra cattolica provederà di maniera, che potremo chiudere la bocca alli maligni e poco amorevoli suoi. Sa sua maestà che le cose del serenissimo re suo, e nostro figliuolo carissimo le avemo sempre volute negoziar tra noi; cosi volemo far adesso, e sempre faremo, rimettendo, e confidando il tutto nella prudenza, devozione, e religione di sua maestà: quale sapemo che'l serenissimo re suo figliuolo imiterà e seguirà per sua bontà onninamente: e queste poche parole volemo che le leggiate a sua maestà cesarea, come se fossero scritte a lei

stessa.

Terminossi poi quest' affare a' cinque di febraio (2) dell' anno appresso in una congregazione concistoriale: essendosi letta quivi un' epistola latina di Massimilia(1) A'28 di settembre.

(2) Tutto sta negli Atti del concistoro.

no al pontefice (1) di tal sentenza: Beatissimo in Cristo padre, signore, signor reverendissimo. Dopo l'umile raccomandazione eʼl continuo accrescimento della mia figliale osservanza, mando alla santità vostra Giorgio conte di Elfenstain, acciò che, secondo il costume de miei antecessori, domandi riverentemente a vostra santità, che faccia e conceda quelle cose dopo la mia elezione a re de' Romani, che i santissimi romani pontefici usarono di fare, e concedere. Adunque professando io di prestare alla santità vostra ed alla santa sede apostolica ora e per innanzi tutto ciò che si troverà essersi prestato daʼmiei maggiori, e specialmente daʼdivi Massimiliano, e Carlo V, e dal serenissimo Ferdinando signore e padre mio, non dubito che la santità vostra dichiarerà scambievolmente verso di me anche in questo tempo la sua benivola inclinazione. Vostra santità mi ritroverà in ufficio osservantissimo della santità vostra, e della santa sede apostolica: a cui Dio immortale voglia concedere tutte le cose felici. Successivamente il pontefice col consiglio, e coll'assenso de'cardinali confermò la pre

(1) Segnata in Vratislavia a' 24 di decembre 1563: e sta nella libreria de'signori Barberini.

nominata elezione, supplendo tutti i difetti sopra contati, ed in quell'atto espressi distintamente. E appresso a ciò fu decretato che nel concistoro seguente, il quale si tenne ivi a due giorni (1), fosse ricevuto l'orator di Massimiliano come orator di re de' Romani. Ed egli, presentate sue lettere di credenza, fe la consueta orazione, promettendo in essa amore, riverenza, osservanza, e ossequio: la qual ultima voce latinamente può valere ubbidienza, ma non usò questa parola.

Ora, tornando la nostra narrazione al precipuo sua tema, nel premostrato ragionamento fra 'l cardinal Morone, e l'arcivescovo di Praga, dopo aver quegli medicata l'asprezza dell'antecedente contrasto per conservarsi l'antica benivolenza di Cesare, senza la quale nè anche sarebbe ei più stato profitte vole ministro al papa, intorno al suggetto della differenza, cioè al soprassedere d'esaminar il decreto sopra la riformazione de' principi, rimase in concordia di parlarne a' colleghi. Ed essi finalmente ristretti insieme consi

(1) A'7 di febraio.

derarono, che 'l rompere coll' imperadore era un rompere il concilio, essendo egli quell'aquila sotto l'ombra delle cui ali il concilio si ricoverava. Senza che, lo sforzo sarebbe riuscito a nulla per la contrarietà del conte di Luna: il quale sapevasi aver detto, che voleva vedere, quando si domandasse a nome del re quel tralasciamento nella sessione, qual sarebbe fra i sudditi di sua maestà che contraddicesse. Intendersi, che in questa parte era egli ancor secondato dal Portoghese; ed essendosi da' presidenti chiamato al consiglio il cardinal di Loreno, secondo l'ordine venuto di trattarlo nella confidenza come un quinto Legato, egli avea non pure approvata quella dilazione, ma soggiunto, che, se'l Brenzio eresiarca avesse chiesto spazio d'essere udito, non sarebbesi dovuto negargliene. Si convenne per tanto: che gli oratori spignessero a Vienna un corriere di cui avverrebbe il ritorno fra otto o diece giorni: che i Legati in questo intervallo avrebbono fatti operare i padri sopra i dogmi, o la disciplina: ch' eziandio se fra tanto non ritornasse la risposta, sarebbonsi ingegnati d'indurli per qualche

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