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dicio, gli ricordarono che a ciò avrebbe conferito l'esortazione che sua santità facesse con la sua propria voce di questo tralasciamento al cardinal di Loreno, il quale fra tanto doveva passare a Roma: e narravano, sì grande essere in quella materia la varietà dell'opinioni, che anche ad alcuni di loro Legati era avviso, per niun modo potersi tali matrimonii annullare. Ma prima della prorogazione tentarono (1) di schiarar la verità, e così di levar la discordia, per una esquisita conferenza tenuta sopra ciò il giorno decimo terzo di settembre. Fecesi ella con molta solennità in casa del primo Legato, alla presenza de' colleghi, degli altri cardinali, di tutti gli oratori ecclesiastici, di moltissimi e gran prelati, e de'minori teologi, alcuni de' quali dovevan esser dicitori, tutti gli altri ascoltatori, ed anche di secolari: dandosi quel giorno a ciascuno

(1) Lettere de' Legati al cardinal Borromeo dei 14 e de' 15 di settembre, e una dell'arcivescovo di Zara ne'dì 16 di settembre, e una de' cesarei all'imperadore il dì 14 di settembre: e'l tutto sta ampiamente negli Atti del Paleotto, e in quelli del vescovo di Salamanca a'14 di settembre, ma con qualche leggiera varietà fra di loro.

libera entrata. Furono divisi gli eletti disputatori in due schiere: l'una di quei ch' impugnavano, l'altra di quei che approvavano un tal decreto annullante. Nella prima erano: frate Adriano Valentico vineziano, dell'ordine de' predicatori, che succedette poi allo Stella nel vescovado di Capo d'Istria, Francesco Torres cherico secolare, il Salmerone gesuita, Giovanni Peletier sorbonista, ed un cert'altro inglese. Per la parte contraria venivano : Francesco Furier domenicano, e Diego Payva cherico secolare, amendue portoghesi, Simon Vigor, e Riccardo Drupė sorbonici, e Pietro Fontidonio spagnuolo, teologo del vescovo di Salamanca. Sedeva l'una classe rimpetto all'altra in mezzo della corona.

Prese a dire il cardinal Osio, il quale, si come solo fra'Legati era eccellente nelle dottrine teologiche, così ancora dimostrava più vivo senso nella quistione, e tenacemente aveva afferrata la sentenza opposta al decreto: onde specialmente in soddisfazione di lui, che, dopo il terzo esperimento nell'assemblea riuscito sempre a favore della proposta, non s'appa

gava, e da taluno era notato di pertinacia, si venne a questa novella prova. Ammoni esso gli uni e gli altri: esser loro colà chiamati non per ostentazione di sottilità, ma per inquisizione di verità in controversia di tanta mole. I Legati molto attribuire al giudicio de' padri, ma non però star essi in concilio come alberi insensati, i quali dovessero piegarsi dove fossero spinti dall'impeto della maggior parte: convenir che si movessero ancora dall'intrinsica virtù delle conosciute ragioni. Ne' preteriti discorsi non essersi tolto ogni scrupolo, e in ispecialità: come potesse introdurre questo nuovo impedimento la Chiesa, da che in tutti gli altri impedimenti fin a quell' ora constituiti erasi avuto riguardo a qualche fatto precedente per cui rispetto nascesse l'impedimento fra questa e fra quella persona: ma qui ciò non avvenire. Per tanto sponessero con quiete, e con carità lor pareri.

La prima lite fu sopra la possessione. I fautori del decreto dicevano, esser peso degli avversarii l'argomentare, come di attori; a se bastar di rispondere, come a

posseditori, il cui possesso era fondato nel più comune giudicio così de'minori teologi, come de' padri: ciò esser loro a sufficienza per sostenere il decreto, sol che opposito argomento non gli vincesse. D'altra parte i contraddittori: che il diritto della possessione assisteva a chi difendea l'uso antichissimo della Chiesa contrariando al mutamento. Per converso gli altri: essere anzi in possesso la Chiesa di constituire impedimenti annullanti: onde chi ne le negava iurisdizione in questo caso, prendeva il carico d'attore, ed entrava in obligazion di provare. In fine, il primo Legato impose che profferissero le loro ragioni quelli che promovevano il nuovo decreto. Ma qui suscitossi un altro litigio; però che essi voleano trattar della sola podestà, e non della convenevolezza, la cui discussione dicevano appartenere alla prudenza de'padri, non alla dottrina de' teologi: là dove il Peletier in contrario ponea davanti, che era un'odiosa favella il pronunziare, la Chiesa non può, ond'egli intendea sostenere, che non dovesse. Ma frate Adriano troncò sì fatta quistione, offerendosi di contraddire alla podestà, il

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che, affermava, non avere alcun reo suono mentre si tratta de'sacramenti: nè peggiore in quel caso che quando si nega, essere in balìa della Chiesa battezzar con acqua di rose, e cresimar con olio di noce. Contra di lui dunque insurse il Payva con sì fatto discorso. Stare in facultà della Chiesa l'alterare l'essenza de' matrimonii togliendo valore al contratto, come si mostrava negl'impedimenti da essa posti fra le persone: il che aver ella potuto fare, però che la qualità di tali persone opponevasi ad alcun di que'beni per li quali il matrimonio è instituito. Ora certo essere che più ripugnava a'beni del matrimonio l'oscurità del clandestino, che l'affinità del quarto grado. Risposegli l'altro: i mali che risultavano dal matrimonio clandestino, avvenire per accidente, e per malizia degli uomini: onde non esser la ragion pari fra essi e fra quelli che avvengono per natura, come nel matrimonio fra due congiunti di parentado. Riprese il Payva, che nell'ordinar le leggi, e nell'impedir con esse l'azioni, l'unica regola è il vedere se il male spesso intervenga, o egli intervenga per accidente o per na

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