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ciò che gli altri eserciti avean osato fare nell'elezione dei cesari, congiurarono contro Vitellio, ed acclamareno imperatore Vespasiano. Si afferma da qualche storico, che Vitellio, appena fatto consapevole della militar cospirazione, fosse venuto nella risoluzione di rendere immortale il suo nome col sacrificarsi alla pubblica quiete. Checchè di ciò sia, vero è che il popolo romano già infastidito di lui, e sperando sorti migliori sotto un nuovo cesare, lo trasse alle Scale Gemonie, ch'era un luogo infamissimo, e lo fece in brani. Così nel breve spazio di un anno e mezzo l'impero soggiacque alla dominazione di tre Principi; sette mesi obbedi a Galba, tre ad Ottone, otto a Vitellio; e l'Augusta de' torinesi non ben ́seppe in quel tempo sciagurato qual fosse il romano imperatore, sinchè Vespasiano, migliore di tutti, che parve aver preso le redini con violenza, regnò con tanta dolcezza, che Torino sotto a lui, e a Tito suo figliuolo potè godere tredici anni 'tranquilli, e ristaurare le sue rovine; ma nelle umane cose ben sovente avviene, che ha più forza la malizia, che non la virtù. L'invidia entrò fieramente nell'animo di Domiziano contro il suo fratello Tito, chiamato la delizia dell'uman genere, e col veleno lo uccise; non dubitando di acquistar l'impero col fratricidio.

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S'ignora l'epoca precisa in cui la cristiana fede s'introdusse in Torino, e nella torinese contrada: il Pingone, il Tesauro, il Giroldi, ed altri pretendono che il vangelo fu primamente bandito in questa capitale, e nelle altre subalpine terre da s. Barnaba, il quale vi sarebbe venuto per ordine del principe degli apostoli, da cui sia stato creato primo vescovo della Gallia Cisalpina; ed il Tesauro afferma che appunto s. Barnaba gettò in questa città le prime fondamenta della religione cattolica nell'anno cinquantesimoprimo dell'era nostra, settimo del pontificato di Pietro, e nono dell'impero di Claudio; ma siffatte asserzioni sono al tutto prive di fondamento.

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Sembra per altro non potersi rivocare in dubbio, che nel

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primo secolo dell'era nostra la luce evangelica siasi sparsa. non solo in Torino, ma ben anche nelle altre subalpine terre, non già per opera di s. Barnaba, che secondo gli Atti degli Apostoli predicò in ben altre contrade, ma sibbene per mezzo di altri uomini apostolici, e primamente di s. Luca. Ed in vero s. Epifanio ne rende certi che l'evangelista s. Luca ebbe l'incarico da s. Paolo di venire in Italia e nella Gallia a predicarvi la fede di Gesù Redentore. Tre gravissimi scrittori di cose ecclesiastiche, cioè il Fleury, il Ceillier, ed il Tillemond, appoggiati all'autorità di s. Epifanio, sono d'accordo nell'affermare che s. Luca venne a compiere l'evangelica sua missione in Italia, ed il Tillemond crede ch'egli. sia venuto ad evangelizzare nella Gallia cisalpina, di cui il Piemonte era parte..

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Circa la metà del secolo dell'era nostra, non v'ha dubbio che vennero anche in Torino, e in altre terre subalpine non pochi di quei cristiani che furono sbanditi da Roma per decreto dell'imperatore Claudio, i quali, come osserva Eusebio di Cesarea, non vivevano neghittosi, nè timidi osservatori della santa religione da loro professata, ma facevano da per tutto con prudente zelo l'ufficio di vangelista; ond'è che il celebre Fleury dice che di tanti cristiani espulsi da Roma, e di tanti sacerdoti mandati dalla chiesa romana nel primo secolo in diversi paesi, si può ragionevolmente supporre essersene condotti, alcuni nella Gallia ad annunziarvi la Buona novella; e noi pure c'induciamo di leggieri a credere che alcuni di loro siensi pure recati nella subalpina regione, ove per andar nella Gallia eranvi, come tuttora vi sono, due strade militari anche frequentate da numerosi trafficanti, cioè quella delle alpi Cozie, e l'altra delle alpi Graje.

Venendo al secolo u della chiesa, non mancano prove abbastanza certe e positive che in Torino, e nella torinese contrada già era conosciuto ed osservato il Vangelo. S. Giustino e Tertulliano, parlando in generale della propagazione di nostra fede, affermano che in tutte le nazioni, anche barbare, invocavasi in quel tempo il nome del Crocefisso Gesù; ed il secondo di que' grandi uomini, non dubitò di asserire che tante nazioni, le quali le armi romane non avean poluto

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conquistare, già ossequiose si prostravano a Gesù Cristo Salvatore: Hispaniarum termini, et Galliarum diversae nationes, et Britannorum inacessa Romanis loca, Cristo mero subdita etc.; e si hanno a notare le parole Galliarum diversae natio -. nes; fra le quali si comprendono anche i Galli cisalpini. Nel medesimo secolo ir evangelizzò in Piemonte s. Calimero vescovo di Milano, la cui diocesi estendevasi certamente in tutte le terre subalpine. In un antichissimo codice della biblioteca ambrosiana si legge che quel santo vescovo con Pevangelica sua predicazione, e co' suoi iniracoli, condusse quasi tutta la gente figure all'adorazione del vero Dio, e di Gesù Crocifisso: Ora si sa che i Romani chiamarono, quasi sino alla caduta del loro impero, promiscuamente col nome ora di Gallia, ed ora di Liguria la subalpina contrada, S. Calimero dopo aver governato la vasta sua diocesi dall'anno. 158 sino al 191, o come vuole l'Ughelli sino al 187, ricevette la corona del martirio.

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- Nella prima metà del secolo m si sparse più abbondantemente nei nostri paesi l'evangelica tuce per opera dis. Dalmazzo. Questo santo, che meritamente si chiama l'apostolo del Piemonte meridionale, nacque in Magonza, e fu alla religione cattolica, ed alle buone lettere educato da Vitricio. Morti i suoi parenti nella persecuzione di Decio, vendette le proprie sostanze, e per le Gallie giunse nella nostra contrada. Entratovi per la via Emilia, fermossi in un castello degli Auriatesi, posto tra il Gesso e il Vermenagna, ove bandi con grandissimo frutto il Vangelo: venne dappoi agli altri Vagenni della pianura, guadagnando molti alla fede; ed è questo il motivo per cui il suo culto mantiensi da tanti secoli nella città, e nel territorio di Saluzzo. Andò insino a Cimela, già capitale della provincia romana delle alpi marittime; ond'è che rimane il suo nome ad ardue. vette di s. Stefano e del Vesubia. Ritornò agli Auriatesi; venne a Torino, ove intrepidameute predicando `il Vangelo, ottenne che non pochi se ne facessero osservatori; indi recossi a Pavia; di là venne a predicare nelle città d'Acqui ́e d'Alba (253): ricondottosi poscia in Auriate, fuvvi cercato a morte, e soffri il martirio in riva al Vermenagna addì 5 'dicembre dell'anno di Cristo 254, siccome ricavasi dagli

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atti del martirio di quel santo, conservati dal Berardengo, e dal Meiranesio. Ond' è, che di niun altro martire, come di questo, è così estesa la veneranda memoria nelle terre pedemontane, e nelle montagne che ad esse appartengono. Dalle cose anzidette si può agevolmente conoscere l'ertore del Meiranesio, il quale asserì che i primi comincias menti della fede cattolica in Torino si debbono ripetere dall'età dei santi martiri Solutore, Avventore ed Ottavio dei quali risplendette la religiosa fortezza circa l'anno 286. Si vede eziandio, come siasi allontanato dal vero un recente scrittore, da cui fu detto che non dovettero essere martiri tra noi prima di s. Dalmazzo e dei tre predetti martiri ; chè i romani magistrati, stabiliti in tutte le città dell'impero per ragione del loro ufficio dovevano eseguire gli editti di proscrizione e di morte fulminati dagl'imperatori tiranni contro i seguaci del Vangelo. Nelle leggi delle XII tavole era proibito ai Romani di seguitare qualunque nuova religione non approvata dál sénato: le quali leggi non essendo state rivocate che da Costantino, ne avveniva che sotto i cesari suoi antecessori, lo spargimento del sangue cristiano non cessava mai intieramente, se pure eccettuisi il tempo della dominazione di Antonino detto il Pio, durante la quale si professò, e praticò securamente il culto cristiano, perbè, siccome osserva l'Orsi nella sua storia ecclesiastica tom. 2, lib. 3, cap. 51 e segg., Antonino Pio, quantunque gen→ tile, pur conobbe e la ragionevolezza del cristianesimo, la necessità che vi era di lasciar ad ognuno la scelta della religione.

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Negli altri tempi, da Claudio sino a Costantino, da per tutto vi furono martiri, siccome osservò il Muratori, e dopo di lui ampiamente dimostrò monsignor Airenti arcivescovo di Genova nelle sue Ricerche storico-critiche intorno alla tolleranza religiosa degli antichi Romani. Genova, presso il Bonaudo, 1814.

L'asserzione di questi due dotti autori è viemmeglio avvalorata da una preziosa memoria che trovasi in un antichissimo codice della biblioteca ambrosiana, ove si legge, che sotto Elio Adriano, il quale regnò dal 119 sino al 159, la cristiana religio ne fu barbaramente travagliata in tutto

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il romano impero, e singolarmente in quella parte d'Italia, quae Cisalpina Gallia, nomen habet. Ed è perciò che il benemerito P. Semeria nella sua Storia della chiesa Metropolitana di Torino dice non esservi luogo a dubitare che sotto i successori di Elio Adriano altre crudeltà siansi esercitate contro i fedeli prima del martirio de' Tebei, avvenuto nel Vallese Fanno 286, o al più tardi nel 287, e che molti eroi della fede abbiano in Piemonte, per sostenerla, perduto gloriosamente la vita. Il sangue de' martiri, diceva Tertulliano,non che estinguere la fede, ne accende l'ardore, e diviene una feconda semente di nuovi credenti. Che se di tutti questi illustri testimonij della fede non possiamo avere oggidì chiara e distinta notizia, ciò avviene dalla ferocia di Diocleziano, il quale non solamente perseguitò nel più tirannico modo i cristiani, ma fece abbruciare tutte le scritture, che dopo diligente, ricerca potè rinvenire appartenenti alla chiesa: non di meno, siccome osserva il predetto benemerito P. Semeria, la divina provvidenza volle che di molti martirizzati in Piemonte sią venuto il nome a nostra cognizione, e che il loro culto da que' primitivi tempi sin al giorno d'oggi siasi gloriosamente propagato: tali sono s. Dalmazzo, di cui parlammo qui sopra, s. Mombotto nella valle di Stura, s. Magno in quella di Varaita, s. Costanzo nella valle Mairana, i santi Antonino, Marchisio e Giorio o Giorgio in val di Susa, e più altri ancora che in differenti parti del Piemonte sono venerati come santi proprii e particolari, che in que' luoghi, sebbene in diversi tempi, perdettero la vita per la fede di Cristo..

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Per riguardo ai ss. martiri Solutore, Avventore ed Ottavio, dobbiam dire, ch'essi ben con ragione chiamansi torinesi, e che perciò si allontanano dal vero quegli scrittori, dai quali si pretende aver eglino appartenuto alla legione Tebea, il cui martirio avvenuto sotto il feroce imperatore Massimiano, presso ad Agauno, nobile castello del Vallese nella Svizzera, fu da noi stesamente riferito nell'articolo s. Maurizio Vol. XVIII, pag. 520 e segg. Vero è che il Baldessano ed il Gallizia, ed altri dopo di loro vogliono che quei tre martiri fossero Tebei; ma uomini di sommo ingegno, e di vastissima sacra erudizione forniti altramente ne pensarono; tali sono, per tacer degli altri, il Ruinart, il

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